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da Campomarzio 19

Egregio Dottore,

mi permetto di scriverVi a seguito della puntata di “Ulisse” avente per oggetto lo sbarco angloamericano di Nettunia del 22 Gennaio 1944, andata in onda sul “noto” canale RAI 3, il 18 Aprile 2015. Mi sento in dovere di scriverVi prima di tutto come Italiano (nel senso mazziniano del termine) e poi come ricercatore, per non sembrare, prima di tutto, uno zelante professorino intento a “fare le pulci” al Vostro programma. So benissimo che errare è umano, ma sono anche convito che perseverare sia diabolico, caro Dottore!

Il mio intervento si rende necessario anche perché la Vostra redazione si era pure interessata a un mio studio sull’evento storico in questione (Lo sbarco di Nettunia e la battaglia di Roma) e mi sento in dovere di esternarVi pubblicamente le mie riflessioni. Infatti, nonostante un nuovo approccio nell’elaborazione del programma, con immagini a colori e il largo utilizzo di figuranti, che rappresentano una bella novità in linea con le esigenze televisive di oggi, l’intera ricostruzione storica sprofonda nel “vecchiume”, riproponendo la consueta vulgata antifascista e anti-italiana come ci veniva propinata a scuola negli anni ’80, dimenticando l’enorme progresso degli studi storici di questi ultimi anni, che tendono a superare le versioni di comodo politicizzate.

Durante tutta la trasmissione mai una volta è stata citata la Repubblica Sociale Italiana, né i suoi reparti che vennero schierati in difesa di Roma in quella Primavera del 1944, al fianco dell’alleato germanico. E questo è quanto meno sospetto. Vorrei sapere se Voi (o chi Vi scrive i testi) siete un ignorante, nel senso almirantiano del termine, ossia ignorate l’esistenza della RSI e delle sue Forze Armate, oppure la censura ideologica che è stata fatta corrisponde ad un preciso piano di epurazione politica di un passato scomodo che non era il caso di ricordare, per lasciare inalterata l’impostazione pedagogica dell’intera puntata. Infatti, sul fronte di Nettunia furono impiegati il fior fiore dei reparti della Repubblica Sociale Italiana, penso agli Aerosiluranti, ai barchini della Xa Flottiglia MAS, ai reparti di terra come il Battaglione Paracadutisti “Nembo”, il Reggimento Paracadutisti “Folgore”, il Battaglione SS Italiane, il Battaglione “Barbarigo” della Decima MAS, il I Battaglione M “IX Settembre”, senza dimenticare i ragazzi della 5a Compagnia Studenti Volontari Romani (Granatieri di Sardegna) e quelli dei Battaglioni del Genio dell’Esercito Nazionale Repubblicano. Nulla, tutto ciò è “dimenticato” nelle oltre due ore di trasmissione in cui ci si dilunga su episodi marginali della guerra e si fantastica sulla Resistenza (che a Roma fallì completamente il suo compito). Si parla dell’inumana deportazione degli Italiani di religione israelita residenti a Roma (16 Ottobre 1943), ma ci si dimentica la deportazione (più numerosa) dei Carabinieri (che servivano lo Stato Nazionale Repubblicano di Mussolini), avvenuta sempre nella Capitale il 7 Ottobre precedente. Si parla dell’attentato di Via Rasella e della drammatica rappresaglia delle Fosse Ardeatine dimenticando di citare le Convenzioni internazionali di guerra e le disposizioni relative alla legittima reazione di un esercito regolare attaccato da illegittimi belligeranti quali erano i partigiani. Non si cita mai la parola comunismo – che fu la fede della stragrande maggioranza dei partigiani – probabilmente per non disturbare l’impostazione politica della trasmissione dove le parole più usate sono “libertà” e “liberazione”, termini politici e non storico-militari. Caro Dottore, probabilmente Voi continuate ad ignorare la situazione storico-politica di quell’Italia. Eppure il sospetto che tale terminologia sia riconducibile ad un impostazione pedagogica di stampo antifascista sarebbe dovuto nascere solamente ascoltando le parole dei “popolari” testimoni di quel tempo da Voi riportate. Mentre Voi parlavate pomposamente di “libertà” e “liberazione” ad ogni occasione, i testimoni parlavano di voglia di pane, di cioccolata e i Comandanti angloamericani di occupazione. Altro che “libertà” e “liberazione”! Dimenticate forse il famoso detto malapartiano che solo gli schiavi sentono il bisogno di essere liberati?

Ma dove si giunge al paradosso è nella camminata al Cimitero Militare di Guerra USA di Nettuno dove sono stati ricordati i numerosi cognomi italiani presenti sulle croci, dedicando un – giusto – pensiero ai figli degli immigrati italiani che vennero mandati a combattere contro quella che era la loro vera Patria. Anche in questo caso si dimentica di dire che si trattava nella stragrande maggioranza di coscritti di leva, che combatterono contro l’Italia fin dal 1942, in Africa Settentrionale e in Sicilia. Caro Dottore, bastava fare pochi passi e raggiungere il Campo della Memoria di Nettuno, il Sacrario del Caduti della RSI, per comprendere che v’era un altro tipo di Italiano che non si vergognava di essere tale (come quelli dell’U.S. Army; cfr. razzismo statunitense). Italiani che, volontariamente, rimasero al fianco dell’alleato germanico per continuare a combattere per l’onore d’Italia. Così come molti giovani di Nettunia corsero – volontariamente – ad arruolarsi sotto le bandiere della Repubblica Sociale Italiana per un sincero e generoso, quanto straordinario, amor di Patria. Probabilmente sono parole che suonano noiosamente retoriche a chi ha parlato degli scontri del 9-10 Settembre 1943 a Roma, dimenticando di dire che a guidare gli insorti v’era il Gen. Gioacchino Solinas dei Granatieri, una fascista che tale rimase anche successivamente, aderendo alla RSI insieme a tanti altri soldati protagonisti dei quelle giornate (altro che “combattenti per la libertà” come li avete etichettati).

Così sono stati dimenticati anche alcuni episodi-simbolo – certamente marginali nel contesto di quell’immane conflitto, ma comunque da citare – come le uccisioni da parte dei soldati statunitensi di alcuni civili di Nettunia, dello stupro e del successivo massacro della giovane diciassettenne Giulia Tartaglia, la vicenda del Brigadiere dei Carabinieri Salvatore Pitruzzello (primo caduto della RSI sul fronte di Nettunia). Invece ci si è dilungati sul papà di un cantante dei Pink Floyd, omettendo di dire – ovviamente – che probabilmente a spazzare via il Plotone britannico di cui faceva parte non furono i Germanici, ma i Paracadutisti italiani del Battaglione “Nembo” che, in quei giorni e in quel settore, travolsero le linee inglesi, mettendo in fuga numerose unità nemiche.

Si parla dell’accoglienza riservata dai romani agli Statunitensi che occupavano l’Urbe, dimenticando – o ignorando? – quello che avveniva nelle stesse ore quanto non pochi franchi tiratori fascisti presero le armi e bersagliarono, insieme ai soldati germanici, le truppe nemiche. Ci furono ben tre giorni di combattimento e la First Special Service Force subì perdite scottanti, più di quelle ricevute in un mese di impiego al fronte di Nettunia (dove, tra l’altro, si vide opposta al Battaglione “Barbarigo” della Decima MAS). Ma non solo. L’euforia dei primi giorni scomparve presto e in molti venne ripensato totalmente l’atteggiamento verso quelli che erano semplici soldati stranieri. Ma non vorrei sembrare fazioso. Per questo, a Voi che avete più volte pronunciato la parola “libertà” come sommo desiderio della popolazione italiana – dimenticando, ancora una volta?, il famoso motto tutto italiano “o Fanza o Spagna, purché se magna” – preferisco ricordare le parole di Corrado Barbagallo che su “L’Avanti!”, quotidiano socialista, nell’Estate di “liberazione” del 1944, così descriveva la situazione nella Capitale: “Sarà forse una esagerazione; sarà forse un fenomeno di ipersensibilità, ma è certo che tutti sentono che, oggi come oggi, a un anno di distanza dalla caduta del Fascismo, la nostalgia di quel passato è più diffusa che non fosse alla vigilia del climaterico 25 Luglio 1943. […] Molti di quelli che un tempo si dicevano suoi fedeli sono passati al campo opposto, e alcuni vi lavorano anche con profitto. Invece ha avuto luogo inattesa fioritura fascista nella massa degli indifferenti di un tempo. […] Moltissimi di quelli che sono malcontenti dell’andamento delle cose attuali […] sono stati all’improvviso colpiti da nostalgia fascistica, e anelano a ritorno di quel passato che, se non ottimo, (essi esitano ad affermarlo) fu migliore dello stato presente. […] Questa folla variopinta costituisce un esercito, disposto spensieratamente a inalberare i colori del fascismo. Che gli si dia una guida, un capo, un organo di propaganda, ed essa si affretterà ad applaudire e a seguirli”. Dov’è la “voglia di libertà” caro Dottore? Dove sono i suoi “liberatori”? Ecco, a conclusione di questa lunga e opportuna lettera non posso non citare dell’Agente del FSS britannico Norman Lewis che, nel Settembre 1944, aveva già compreso la drammaticità della realtà italiana: “Comunque […] sono arrivato alla conclusione che, in cuor suo, questa gente [italiana] non deve poterne proprio più di noi [Angloamericani]. Un anno fa li abbiamo liberati dal Mostro Fascista, e loro sono ancora lì, a fare del loro meglio per sorriderci educatamente, affamati come sempre, più che mai fiaccati dalle malattie, circondati dalle macerie della loro meravigliosa città, dove l’ordine costituito non esiste più. E alla fine, cosa ci guadagneranno? La rinascita della democrazia. La fulgida prospettiva di poter un giorno scegliere i propri governanti in una lista di potenti, la cui corruzione, nella maggior parte dei casi, è notoria, e accettata con stanca rassegnazione. In confronto, i giorni di Benito Mussolini devono sembrare un paradiso perduto”. Ma come è possibile? E tutto quello che avete sostenuto in oltre due ore di programma?

Probabilmente, questo non interesserà Voi, ne la Vostra redazione, ma mi è sembrato giusto evidenziarlo per correttezza storica e dignità di Patria. Parole emblematicamente mai pronunciate durante la  Vostra trasmissione.

 

Pietro Cappellari

Nettuno, 19 Aprile 2015

L’Istituto Carlo Alberto Biggini si stringe nel cordoglio ai familiari del dott. Yusuf Mohamed Ismail Bari Bari, barbaramente ucciso il 27 Marzo scorso in un attentato a Mogadiscio. Pubblichiamo di seguito un’analisi dell’On Cristiana Muscardini a quasi un mese dall’attentato.

Il  27 marzo scorso, in un attentato terroristico a Mogadiscio è stato ucciso l’ambasciatore somalo all’Onu, dott. Yusuf Mohamed Ismail Bari Bari. L’ambasciatore era stato più volte al Parlamento europeo, fin dal 2009 come relatore al convegno organizzato dal Ppe, a parlare di Somalia, terrorismo e pirateria. La sua uccisione è stata sicuramente programmata e gli Al Shabaab, che nell’attentato hanno ucciso diverse altre persone, hanno avuto cura di impedire che l’ambasciatore, già ferito gravemente al ventre e rifugiatosi al primo piano, potesse essere soccorso: hanno infatti fatto saltare le scale che portavano al suo rifugio. Yusuf  era riuscito a chiamare il primo ministro somalo, il quale aveva ordinato alle truppe speciali Alfa Group di soccorrerlo ottenendo un netto rifiuto! Da quando infatti la presidenza della Somalia è retta da Hassan Sheikh Mohamud legato al Dalman Jadid al-Islah questo gruppo ha privato il primo ministro della potestà di dare ordini all’esercito! Il primo ministro ha poi incaricato la sua guardia personale di andare in soccorso dell’ambasciatore ma, quando questa è arrivata e ha dovuto arrampicarsi fino alla stanza, Yusuf era ormai in coma.  Anche l’Unione europea deve piangere la morte di Yusuf: nato a Roma da famiglia nobile che contrastava il regime di Siad Barre e laureatosi a Bologna, è sempre stato un fervido sostenitore di un’Unione europea capace di dar vita ad una politica estera che potesse sostenere quanti nel mondo, e in Somalia principalmente, volevano e vogliono combattere l’integralismo religioso e gli affari poco chiari. Artefice di molti documenti che hanno consentito a me e a qualche altro parlamentare di presentare, nel corso degli anni, interrogazioni, lettere e proposte sia alla Commissione europea che al Parlamento europeo e al governo italiano, l’ambasciatore si era particolarmente distinto a Ginevra nel difendere con molto vigore i diritti umani. La risoluzione per i diritti degli albini porta non a caso il suo nome.  Innamorato della propria terra, soffriva nel vedere che ancora oggi l’Europa non ha capito pienamente l’importanza strategica del Corno d’Africa non solo per i rapporti commerciali ma perché espandersi e consolidarsi di organizzazioni estremistiche stanno mettendo a repentaglio vari Paesi africani e la stessa Europa. La nascita dell’Isis e l’adesione al Califfato sia di Boko Haram in Nigeria che degli Al Shabaab somali dimostrano una volta di più che non aver ascoltato le parole dell’ambasciatore e di chi al Parlamento europeo aveva da molti anni chiesto interventi diversi e mirati ha portato al degenerare della situazione odierna, al punto che il presidente kenyota  Uhuru Kenyatta ha deciso di alzare un muro lungo il confine somalo sul mare per arginare infiltrazioni di terroristi che, come sappiamo, anche in questo Paese, hanno compiuto stragi e sequestri.  La barbara uccisione di Yusuf, che deriva ovviamente dalle molte denunce da lui presentate su certi clan e su poco chiari interessi con connivenze ben fuori dalla Somalia (non per nulla rimane ancora un mistero la morte della giornalista italiana Ilaria Alpi e del suo cameramam Milan Hrovatin), dovrebbe finalmente convincere le istituzioni europee, e principalmente Commissione e Consiglio, a rivedere la posizione finora assunta che non ha portato ad alcun risultato positivo.

Indesit-Whirpool e Pirelli-ChemChina
Passano in Italia, come semplici correnti d’aria, gravi fatti di assoluta rilevanza senza che il Governo, le forze politiche e i mezzi di informazione e di commento ne facciano oggetto di adeguata allarmata analisi. I casi ai quali ci riferiamo ormai sono numerosissimi e si riferiscono al passaggio in mano straniera di importanti industrie italiane, eccellenti in vari settori. Fra gli ultimi vanno segnalati due casi: uno nel settore degli elettrodomestici e l’altro in quello dei pneumatici. Un’azienda di rilevanza nazionale sia per la qualità della produzione che per lo sbocco nei mercati esteri, quale è la Indesit, in questi giorni passa definitivamente nelle mani dell’americana Whirpool che, in contrasto con l’accordo preso nel 2013, ha portato fuori Italia alcune linee di produzione ed ora si appresta a dichiarare 1.350 esuberi, compresi gli 800 addetti dello stabilimento di Caserta che verrebbe chiuso.
Un altro caso, il cui nome ha fatto la storia del trasporto su strada da oltre un secolo, la Pirelli, sta per essere “occupata” dal colosso cinese ChemChina secondo una strategia del Governo di quel Paese che mira, attraverso suoi fondi statali, a occupare posizioni strategiche in vari settori dell’economia mondiale e a portare in Cina il know-how (carpendo anche segreti di produzione) per essere competitivi direttamente dal proprio territorio. Per quanto riguarda la questione Whirpool-Indesit cercheremo di approfondire quanto prima il danno che ne verrà per gli italiani. Intanto, nell’immediato, in questo numero de Il Sestante Mario Bozzi Sentieri illustra sinteticamente, ma con la giusta efficacia, il caso Pirelli, emblematico anch’esso dell’assenza di una politica industriale in Italia.
Tra non molto l’Italia si sveglierà dal suo torpore e maledirà chi dei suoi rappresentanti politici non è stato attento agli eventi incombenti né all’altezza dei suoi compiti di salvaguardia. Auspichiamo che il risveglio non avvenga troppo tardi, quando interi settori strategici dell’economia italiana saranno definitivamente in mani decisionali di altri. La disoccupazione dei fattori produttivi nazionali – il lavoro in testa, ma anche la tecnica, la capacità organizzativa e i capitali – diverrà endemica. La colpa fin da ora va ascritta in pari misura sia alla gretta miopia dei cosiddetti uomini politici impegnati nelle risse individualistiche all’interno dei partiti e nelle manovre più indecenti fra i partiti stessi, sia all’arretratezza scientifica ed etica dei cosiddetti economisti esperti che sostengono ancora le teorie della felice automaticità della concorrenza mercatistica come unico fattore di progresso civile, oltre che economico.
Da ultimo, riteniamo opportuno – nell’ambito della rubrica “Segnalazioni”- riportare eventi significativi in se stessi, ma che suonano a forte rampogna per quelle residue forze sociali e nazionali che non valorizzano i propri uomini illustri e non impostano le proprie battaglie su idee mobilitanti di alto valore civile ed economico: ci riferiamo al caso Marcello Veneziani, licenziato perché “parla chiaro” e all’introduzione di un inizio di compartecipazione dei lavoratori ai risultati economici della Fiat, ora diventata Fiat Chrysler Automobiles.(g.r.)

SOMMARIO

- Il “caso Pirelli”Assente la politica industriale: I gravi rischi per il sistema Paese. di Mario Bozzi Sentieri

- Rubriche: “Segnalazioni”: Chiude il Cucu’, lascio il giornale (3/3/2015) e Replica al “Il Giornale” (5/3/2015) di Marcello Veneziani. In FCA i lavoratori parteciperanno ai risultati aziendali: aumenti salariali fino al 14% (Il Foglio 16/4/15). “I Libri del “Sestante” Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri.

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L’Assemblea CESI del 27 marzo 2015
Venerdì 27 marzo 2015 si è tenuta nella sua nuova sede in Roma, Piazzale delle Muse 25, l’Assemblea del CESI. In tale occasione sono stati approvati: 1°. le modifiche allo Statuto (aggiornato secondo le necessità derivanti dallo sviluppo del Centro Studi e per adeguarlo alle norme in vigore sulle associazioni culturali senza fine di lucro); 2°. i bilanci, consuntivo dell’anno 2014 e preventivo per l’anno 2015; 3°. il nuovo organigramma del CESI.
Nella sua relazione il Presidente Gaetano Rasi ha chiesto di essere sostituito nella carica al fine di consentire a più giovani e dotate energie di sviluppare adeguatamente il centro di studi politici.
L’Assemblea, preso atto della irrevocabilità della decisione, all’unanimità ha proclamato il prof. Rasi Presidente Onorario del CESI.
All’interno di questo numero de Il Sestante pubblichiamo, il saluto agli amici del CESI del nuovo Presidente Giancarlo Gabbianelli e il testo integrale della relazione del Presidente uscente che illustra in sintesi le più significative iniziative prese dal CESI nei suoi cinque anni di presidenza, nonché alcuni utili commenti per il lavoro del Centro Studi nel prossimo futuro.
Giancarlo Gabbianelli ha voluto indirizzare agli amici de Il Sestante una particolare lettera che riproduciamo qui di seguito: «Cari Amici, mai mi sarei aspettato di aprire questo numero de Il Sestante e di farlo nella qualità di Presidente del CESI. Nessuno di noi, infatti, certamente non io, poteva mai pensare di dover succedere alla nobile e insostituibile figura di Gaetano Rasi. La storia del CESI si identifica certamente in ciascuno di voi, ma principalmente nella figura di colui che sarà sempre il nostro Presidente, non soltanto onorario. La dignità intellettuale e organizzativa raggiunta dal nostro Centro Studi, è dovuta a lui e alla sua capacità di coinvolgere nell’operare personalità di alto livello e di sicuro riferimento. E’ nel suo solco che dovremo continuare a lavorare insieme con lui, seguendone gli insegnamenti e l’esempio. Non si tratterà certamente di un compito semplice, ma l’animo di tutti noi si è forgiato nelle prove più difficili. Buon lavoro e un caro abbraccio».

SOMMARIO
– Il saluto del nuovo Presidente
Il lavoro del CESI continua nel solco già tracciato di Giancarlo Gabbianelli
– Assemblea Cesi 27 marzo 2015
Relazione del Presidente uscente Gaetano Rasi

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La deludente ed irritante situazione politica italiana.
La vita delle istituzioni del nostro Paese – nonché il deludente e fastidioso dibattito fra le forze politiche, punteggiato da continui scandali per la diffusa corruzione – è caratterizza nella sua attuale fase evolutiva da vicende così disarmanti per cui è prepotente il bisogno di guardare gli eventi in corso con un misto di ironia e di enorme irritazione (che non esclude tuttavia una sua prossima esplosione).
Ciò nonostante il CESI, attraverso le analisi dei suoi soci, si sforza di trovare anche presso chi meno sembra esserne portatore, qualche indizio di positività. In questo numero lo scrittore Mario Bozzi Sentieri, prende spunto da un intervento della Presidente della Camera per auspicare – al di là di un possibile uso puramente strumentale – una seria discussione sui modelli politici e sociali di rappresentanza che coinvolgano nelle decisioni strategiche del Paese i corpi sociali, e quindi le categorie della cultura e del lavoro.
Il prof. Carlo Vivaldi Forti, affronta il fenomeno dell’ipertrasformismo dei marxisti che per mantenere posizioni di potere hanno effettuato un’alleanza con il capitalismo finanziario meramente speculativo e con ciò tradendo l’originario credo nella rivoluzione proletaria.
Il prof. Pacifici, prendendo spunto da due recenti libri: dalla riedizione di un volume dello storico Emilio Gentile dal titolo “Né Stato né Nazione. Italiani senza meta” e da un nuovo lavoro di Gioele Magaldi dal titolo “Massoni. Società a irresponsabilità illimitata” non può non effettuare alcune riflessioni di ragionato pessimismo circa una possibile rapida ripresa civile del popolo italiano.
In un certo senso solleva lo spirito la gustosa ironia dello scrittore Lorenzo Puccinelli Sannini a proposito dell’impegno di revisione linguistica e di “giustizia sessista” che ha ghermito il governo italiano.
Completa questo numero la Rubrica I Libri del Sestante, rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri che segnala tre significative recentissime pubblicazioni: la prima che riguarda l’errore della rigidità del cosiddetto Patto di stabilità e propone un programma di innovazioni e di investimenti pubblici; una seconda che effettua un’analisi del “luccicante individualismo creativo” degli strumenti elettronici forniti all’Occidente in massima parte dalla Cina e prodotti dai più poveri lavoratori delle aree rurali di quel Paese; e una terza che tratta il grave problema di trasparenza della Pubblica amministrazione la cui soluzione però rischia, se male impostata, di complicare con ulteriori norme puramente burocratiche la sua efficienza.(g.r.)

SOMMARIO
– A margine di un intervento di Laura Boldrini.
I “corpi intermedi”: un valore su cui puntare di Mario Bozzi Sentieri

- Il trasformismo disinvolto dei veteromarxisti.
L’Italia ostaggio del capital comunismo di Carlo Vivaldi-Forti

- Il libro riletto ed il libro non letto.
Né Stato, né Nazione. Solo fazione di Vincenzo Pacifici

- Riflessioni serie e … semi serie sulla c.d. evoluzione linguistica.
La dittatura della terminologia sessista di Lorenzo Puccinelli Sannini

- Rubrica: “I Libri del Sestante”. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri

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Formato: 17×24 (Pagine: 288)

 Autore: Pietro Cappellari

Casa Editrice: Herald Editore (Roma 2014)

Info: heraldeditore@libero.it

IL FASCISMO AD ANZIO E NETTUNO

Come il Regime cambiò il volto dell’Italia. Il nuovo libro di Cappellari

Dopo una lunga attesa è uscito per i tipi della Herald Editore il nuovo studio del ricercatore nettunese Pietro Cappellari. L’opera raccoglie i frutti di oltre venti anni di ricerca e si pone come ultimo tassello della collana di studi storici sulla storia della prima metà del Novecento di Anzio e Nettuno inaugurata nel 2009 dal ricercatore di Nettuno. Cappellari, infatti, ha già dato alle stampe tre importanti contributi per la comprensione del Regime fascista e la Repubblica Sociale Italiana sul territorio: I Legionari di Nettunia (che narra le vicende dei combattenti della RSI di Anzio e Nettuno); Lo sbarco di Nettunia (che costituisce il più completo studio sull’operazione anfibia del 22 Gennaio 1944 e la successiva battaglia per Roma); e Nettunia, una città fascista 1940-1945. Il nuovo studio, dal titolo Il fascismo ad Anzio e Nettuno 1919-1939. Una storia italiana, si inserisce in questa collana andando ad illustrare l’avvento del Fascismo ad Anzio e Nettuno e come, su questo territorio, il Regime plasmò il volto degli Italiani, nonché la fisionomia politico-sociale-economica delle due cittadine. Si tratta di un’opera fondamentale non solo per comprendere la storia locale ma, soprattutto, per comprendere il fascismo, come questo concretamente operò, come venne percepito dalla popolazione, quale consenso ebbe e come seppe imporre la modernità anche nei più piccoli centri urbani. Uno studio che non mancherà di suscitare polemiche e interesse. Infatti, del ventennio più importante – per opere, per sviluppo, per novità, per eventi – della storia di Anzio e Nettuno rimangono pochi documenti e ancor meno memoria collettiva. Invano il ricercatore interpellerà gli anziani di questi paesi – ormai divenuti moderne città – alla scoperta di un passato cancellato dai più. Ora che gli anni hanno inghiottito anche gli ultimi testimoni di quella storia, rimane solo un deserto culturale costellato da oasi di menzogne. Gli archivi rimangono “inaccessibili” ai più e la pigrizia culturale di un popolo che sta smarrendo la propria identità rischia di lasciare nell’oblio esperienze invero straordinarie.

Lo scopo di questa ricerca – seppur con le sue lacune – è quello di far conoscere un “passato che non passa”, riscoprire quelle radici che una “modernità fatta di vuoto” ha voluto strappare dall’anima di comunità secolari. Ma “le radici profonde non gelano”, diceva Tolkien. Cappellari ha scavato negli archivi e nella sempre più rada memoria collettiva delle comunità di Anzio e Nettuno alla ricerca del “Graal”, quello scrigno perduto che conteneva il vissuto di un secolo ormai tramontato, ma che trasudava di passioni, di sogni, di realizzazioni concrete. Un secolo in cui affondano le nostre radici. Sebbene molto si è perduto, sorprese non sono mancate. E’ stato possibile, per la prima volta, ricostruire la nascita del fascismo ad Anzio e Nettuno e il suo sviluppo; far luce su personaggi “mitici” che la tradizione orale tramandava, ma dei quali, in realtà, nulla si sapeva. Ma non solo. Cappellari ha anche potuto fare una carrellata sulla vita quotidiana di quegli anni, riscoprendo spaccati popolari di paesi che sorgevano allora sulla scena internazionale dopo il “letargo” ottocentesco. Le prime grandi opere, la trasformazione urbanistica, la nascita delle attuali Anzio e Nettuno.

Cappellari ha riscoperto anche i sapori di quel tempo perduto, fatto di semplicità e profonde convinzioni, dove il vivere civile era il retaggio che un’intera comunità si tramandava di generazione in generazione. Dove la religione cattolica apostolica romana scandiva la vita delle comunità, affiancata – dopo la costituzione del Regime – da un’altra religione, quella politica di uno Stato etico che plasmava il paesaggio come gli uomini, nella visione risorgimentale dell’“Italiano nuovo”, degno erede del suo millenario passato, in grado di esercitare un “primato” e una “missione” nel mondo. In un’Italia povera come quella degli anni ’20, tutto ciò sembrò un vero e proprio miracolo. Valori di un tempo perduto si dirà, ma che certamente plasmarono il cittadino di quell’Italia così profondamente diversa da quella attuale.

Cappellari ha seguito i nettunesi e portodanzesi sui campi dei battaglia di Abissinia, come in Ispagna, dove quei valori si concretizzarono in supremi atti di eroismo e di sacrificio personale oggi dimenticati, ma che danno bene la dimensione dell’impatto del Regime sul vivere quotidiano come sulla trasformazione degli individui che si elevavano allora a Nazione cosciente di un “primato” e di una “missione”.

E’ stato, per la prima volta, possibile analizzare nello specifico anche il fenomeno antifascista – scarso e marginale in dei paesi in cui l’adesione al Regime era pressoché totalitaria – ma che pure ebbe i suoi “alfieri ideali” e spunti interessanti, come il tentativo di ricostituzione del Partito Comunista d’Italia del 1931. Si è potuto così facilmente smascherare il ritornello della vulgata antifascista e anti-italiana di un Regime liberticida e violento. Atti di clemenza, a dir poco clamorosi, che sono descritti in tutta la loro ampiezza e abbondantemente documentati, a partire dalla richieste al Duce fatte dagli stessi antifascisti.

Tutte queste storie – frammenti di una storia più grande – confluiscono ora in questo volume che fa luce su un passato così recente nel tempo, quanto lontano nello spirito. Un “passato che non passa” abbiamo detto. Ed è effettivamente così. Perché lì sono le nostre radici. Perché ogni comunità che vuole costruire il proprio domani deve sapere da dove viene e nel rispetto delle sue tradizioni proiettarsi in un futuro dove i valori spirituali non sono transeunti, ma eterni.

Primo Arcovazzi

Le prospettive del CESI nell’intervento di Franco Tamassia
Venerdì 20 febbraio 2015 si è tenuto il Consiglio Direttivo del CESI in preparazione dell’Assemblea dei Soci che si terrà il 27 marzo p.v. e che viene ad assumere un particolare rilievo perché, oltre alle relazioni sugli studi in corso e sulle problematiche incombenti, si cercheranno di impostare nuove strutture rispondenti alle funzioni sempre più ampie e impegnative del Centro Studi. Nel corso della riunione del Consiglio Direttivo erano presenti anche nuovi soci che in futuro arricchiranno e potenzieranno il lavoro dell’Associazione.
Inoltre durante i lavori del Consiglio Direttivo si sono riconfermati le funzioni e gli scopi del CESI e si sono esaminate le necessità relative a un rinnovo delle cariche sociali, soprattutto con riferimento al coinvolgimento di nuove e più fresche energie.
Dopo l’intervento del Presidente Rasi – il quale, tra l’altro, ha sottolineato che l’Italia per uscire dall’attuale condizione di stallo nel suo sviluppo culturale, sociale, politico ed economico deve affrontare un radicale progetto di riforma costituzionale – ha preso la parola il Vicepresidente prof. Franco Tamassia il quale ha ribadito come a tal fine è necessario far appello a tutti gli italiani, indipendentemente dalle superate posizioni di destra e di sinistra, e facendo riferimento a nuove politiche di partecipazione e di efficienza.
Nel corso dei lavori sono intervenuti sugli indirizzi del CESI e in relazione ai programmi in preparazione per le iniziative da prendersi nel corso del 2015: il Segretario Generale Marco C. de’Medici e i soci Michele Puccinelli, Giuliano Marchetti, Carlo Vivaldi Forti, Lorenzo Puccinelli Sannini, Giulio Terzi di Santagata, Gian Piero Joime.
Pubblichiamo su questo numero monografico del bollettino il testo integrale dell’intervento del prof. Franco Tamassia i cui contenuti sono stati condivisi all’unanimità dal Consiglio Direttivo e dai componenti del Comitato Scientifico, nonché la cronaca dell’incontro CESI-SPAZI NUOVI avvenuto a Napoli il giorno 27.2.2015.

SOMMARIO

- Consiglio Direttivo del CESI 20.2.2015. Intervento del Vicepresidente prof. Franco Tamassia: Appello diretto al popolo per una nuova sintesi di radicale cambiamento.

- Continuano i collegamenti a rete con i Centri politico-culturali di tutta Italia. Incontro a Napoli CESI–SPAZI NUOVI

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Riflessioni sull’acuta fase critica che attraversa la società italiana
Il governo Renzi ha surrettiziamente trasformato l’attuale legislatura, nata con un indirizzo rivolto all’emergenza – sostanzialmente non diverso da quelli che hanno caratterizzato i governi Mario Monti ed Enrico Letta – in legislatura costituente. Con ciò frodando palesemente, non tanto un astratto “corpo elettorale”, ma quel popolo italiano che è sempre più insofferente sia nei confronti del presente regime che alla sua “vociante”, e modestissima, classe dirigente.
Mario Bozzi Sentieri tratta in questo numero de Il Sestante le pretese riforme del Governo Renzi ponendo in risalto come materie di vitale contenuto costituzionale ed istituzionale per l’Italia siano trattate, non solo superficialmente, ma anche portando modifiche che acuiranno la negatività del presente regime politico condizionando il futuro dell’Italia.
L’argomento, come è noto, è all’attenzione del CESI fin dalla sua costituzione ed ha presentato già due anni fa un Appello agli italiani per una autentica Assemblea Costituente, che prescinda dai condizionamenti dell’attuale assetto politico e soprattutto dai suoi miopi esponenti. L’Appello è stato pubblicato insieme con un articolato Manifesto Politico e Programmatico per la Rifondazione dello Stato. Nel corso del 2015 il CESI cercherà di aggiornare i contenuti del Manifesto e soprattutto di riprendere i punti essenziali da esprimere con sintesi d’immediata e chiara comprensione per un pubblico sempre più vasto.
Il numero attuale del bollettino tratta, poi, alcune riflessioni che vengono spontanee da coloro che guardano con occhi aperti la situazione politica italiana. Se ne fa interprete lo scrittore Lorenzo Puccinelli Sannini.
Di notevole utilità è poi la ripresa storica riguardante il cammino dell’idea unitaria dell’Europa, a cura del prof. Vincenzo Pacifici, il quale cita autori che non dovrebbero essere dimenticati perchè illuminano la colpevole inanità dell’attuale “non protagonismo” dell’Unione Europea. Sarebbe invece estremamente necessario che essa assumesse decisive iniziative nell’attuale fase che prelude a gravi mutamenti degli scenari geopolitici.
Completa questo numero le analisi del prof. Francesco Pezzuto, relative al necessario collegamento della scuola col mondo del lavoro, tenendo però presente quel primato formativo che deve comunque avere la scuola perché i giovani che escono da essa, una volta completati gli studi, non si troveranno di fronte a situazioni statiche, ma ad un dinamismo che incide sia nelle consapevolezze civile che nei processi produttivi, con ripercussioni riguardanti tutti gli spazi di un mondo sempre più globalizzato. (g.r.)

SOMMARIO

- La “riformetta” di Renzi. Un’occasione perduta di Mario Bozzi Sentieri

- L’agonia ingloriosa dell’attuale regime. I nuovi emigranti di Lorenzo Puccinelli Sannini

- Di fronte all’attuale non protagonismo della UE. Spunti per la storia dell’unificazione europea di Vincenzo Pacifici

- I pericoli di riforme autonomistiche che abbassano il livello scolastico. Perseguire il primato formativo della scuola pur nel collegamento col mondo del lavoro di Francesco Pezzuto

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