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L’Europa deve cambiare la sua politica estera
Questo primo numero de 2016 è dedicato interamente ad un analisi riguardante l’assenza di una vera politica estera europea nei confronti dell’area mediterranea che va dalla Turchia al Marocco, ossia che riguarda tutto il sudest asiatico ed africano del Mediterraneo.
La questione è vitale per l’Italia la quale sta compromettendo il suo avvenire usando una sua apparente prudenza la quale invece è un’autentica cecità nei confronti degli sviluppi in Medio Oriente. I pericoli che gravano sul futuro vanno oltre quelli del califfato islamico dell’Isis e i pur gravissimi episodi di terrorismo che colpiscono i più importanti centri della civiltà europea.
Oggi è necessario uscire dall’analisi dei singoli avvenimenti per valutare e di qui poi intervenire in una situazione che è molto più ampia di quella relativa a ciascuno dei fatti che accadono. Insieme con il terrorismo ispirato dal califfato daesh sono in corso fenomeni che determinano, sulla base di interessi legati al petrolio e ai rifornimenti di armi, il risveglio di antiche rivalità volte alla ricerca di una supremazia araba ed islamica. Se tale evoluzione non viene fermata, fatalmente si determineranno disastrose conseguenze per l’Europa. In altre parole la UE deve uscire dall’inanità attuale e affrontare con un avveduto interventismo la situazione. Ciò deve avvenire anzitutto in prima persona e ovviamente avendo come alleati quanti hanno interesse al ristabilimento dell’ordine in Asia (in particolare nel Medio Oriente) e in Africa: tali alleati dell’Europa non possono che essere da un lato gli Stati Uniti e dall’altro la Russia.
Insomma si tratta di reimpostare ab imis tutta la politica estera europea e di lì operare in maniera unitaria, anche in sede militare se necessario, per garantire al nostro Continente non solo la pace, ma anche il suo sviluppo e il suo ruolo di portatore di civiltà e di ordine nel mondo. Ci rendiamo conto che si tratta del capovolgimento di una filosofia che finora si è logorata nell’ambito del rapporto interno all’Unione per il modesto e breve prevalere degli interessi di una nazione sull’altra. Ma il problema ormai non è più territorialmente localizzabile nell’ambito dei singoli Stati, ma sono diventati una generale questione di sopravvivenza continentale e questa può essere garantita solo da una politica attiva. Ormai è del tutto insufficiente e presto diverrà pericolosa qualsiasi politica di mero contenimento.
L’argomento viene affrontato anzitutto partendo dalle feroci esecuzioni capitali in Arabia Saudita il cui significato va oltre il grave episodio e attraverso l’ampia panoramica effettuata da un diplomatico di alto livello, l’Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, Consigliere CESI. (g.r.)

Sommario

- Allarmante significato del feroce episodio delle esecuzioni capitali in Arabia Saudita. È necessario un interventismo strategico europeo di Gaetano Rasi

- Dopo l’accordo nucleare con l’Iran. La cecità della UE nei confronti degli avvenimenti mediorientali di Giulio Terzi di Sant’Agata.

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Nel Febbraio 2014, il Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti propose al Sindaco di Leonessa l’intitolazione di una via alla memoria di Assunta Vannozzi, una giovane ed innocente mamma, uccisa dai partigiani senza che nessuno abbia mai saputo il perché. Non una via qualsiasi, ma la via che dalla piccola frazione di Ocre si inoltra tra i boschi e conduce a Capodacqua, località dove avvenne l’omicidio.

Era un freddo inverno di settanta anni fa. Dal 26 Febbraio 1944, dopo l’uccisione del Commissario del Capo della Provincia in Leonessa Francesco Pietramico, la situazione dell’ordine pubblico sull’altopiano leonessano era andata progressivamente peggiorando. La pressione della guerriglia che sconfinava dall’Umbria fece si che, il 14 Marzo seguente, il Distaccamento della GNR – che assicurava la sicurezza in tutta la zona – venisse ritirato, in quanto considerato indifendibile. Il giorno dopo, andati via i fascisti, su Leonessa calarono i partigiani. Dopo un corteo festoso e le solite violenze, tornarono sui monti. Ormai, l’ordine era definitivamente compromesso. In questo scenario maturò uno dei più gravi e ingiustificati episodi di sangue che colpirono la provincia di Rieti in quel drammatico 1944. Il 16 Marzo, sei-sette ribelli con passamontagna e fazzoletti al viso penetrarono nell’abitazione della famiglia Vannozzi nella frazione di Capodacqua di Leonessa. Aggredirono i presenti e si scagliarono contro la giovane mamma Assunta Vannozzi di 29 anni, a letto febbricitante, accusandola di essere una “spia”. Le strapparono il figlioletto Luigino di due anni e la strascinarono in strada tra grida strazianti che fecero eco in tutta la vallata. Poi, con una spietatezza unica nel suo genere, un partigiano estrasse una pistola scaricandola contro il corpo della disgraziata piangente. Infine, il colpo di grazia alla nuca. “Giustizia” era fatta. I ribelli, infine, “prelevarono” dall’abitazione tutto quanto era asportabile e tutto quanto avesse un valore, dal corredo di nozze ai gioielli, per poi scomparire per sempre nella boscaglia dalla quale erano venuti.

Una normale spedizione partigiana diranno i più, se non fosse che la povera Assunta Vannozzi non era imputabile di nulla. Si trattò di un’esecuzione ingiustificata. Nel dopoguerra, vennero accusati dell’assassinio tre partigiani locali (gli altri non furono mai identificati): Concezio Antonelli, Mario Romano e Enzo Lucci (l’esecutore materiale). I primi due negarono ogni addebito, mentre Lucci affermò di aver agito su ordine della Brigata “Gramsci”. Come era ovvio, date le chiare disposizioni in materia che consideravano “legittimi atti di guerra” tutte le azioni compiute dai ribelli nel corso della guerriglia, i tre vennero scarcerati. Comunque, la Magistratura accertò che Assunta Vannozzi era innocente e che il suo assassinio fu un “errore di valutazione”.

Sul drammatico episodio di sangue cadde una fitta coltre di omertà (ancor oggi riscontrabile) e quelle rare volte che si parlò della morte della Vannozzi si volle addirittura infangare la moralità della povera mamma, uccidendola così una seconda volta. E pensare che Assunta – che non si era mai occupata di politica – aveva aiutato in quei mesi anche numerosi soldati “sbandati” del Regio Esercito che non volevano aderire alla RSI. Ma tutto ciò fu vano. Ancor oggi, nessuno sa il motivo perché la giovane mamma venne uccisa e i nomi di tutti coloro che parteciparono alla spedizione punitiva, all’assassinio e al saccheggio della casa.

Nel settantennale dalla tragedia che lasciò a un piccolo orfano una cicatrice mai rimarginata, il Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti si è recato sul luogo del luttuoso evento e nel cimitero di Vallunga dove riposa Assunta Vannozzi per omaggiare una vittima dell’odio antifascista, uccisa innocente e vigliaccamente vilipesa dopo la morte.
«A tanti anni da questo dramma – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – siamo venuti a Leonessa con l’intento di chiedere una pubblica riabilitazione della giovane mamma di Capodacqua. Per questo abbiamo chiesto ufficialmente al Sindaco di Leonessa che la via che congiunge Ocre a Capodacqua venga dedicata alla memoria di Assunta Vannozzi e che sul luogo dell’uccisione sia eretta nuovamente una croce (divelta a seguito di lavori stradali e mai ripristinata). Un atto dovuto che l’intera comunità leonessana deve a una sua concittadina uccisa troppe volte, fisicamente e moralmente. Essere qui oggi per noi è un atto non solo di carità cristiana. Siamo qui non solo per un giusto tributo ad un’innocente che oltre ad essere stata ingiustamente uccisa e strappata all’affetto dei cari, è stata vilmente vituperata per decenni da personaggi senza scrupoli; ma anche per un dovere morale che avevamo con Luigino Montini, il figlio di Assunta, che per tutta la vita ha portato nel suo cuore i segni indelebili di quella tragedia ingiustificata. Oggi che Luigino non è più con noi, ma è tornato tra le braccia della mamma che gli fu strappata dall’odio politico quando aveva solo due anni, siamo qui per ricostruire quello che realmente avvenne, abbattendo definitivamente il muro di omertà costruito dalla vulgata antifascista ed anti-italiana. Speriamo che Assunta e Luigino, da lassù dove ci guardano, finalmente, possano ora riposare in pace».

Ad oltre un anno da questa manifestazione, il 17 Agosto 2015, l’Amministrazione comunale di Leonessa ha riabilitato pubblicamente ed ufficialmente la giovane mamma di Capodacqua, dedicando a lei quella via sulla quale si consumò un dramma per troppo tempo dimenticato e manipolato dalla vulgata antifascista ed anti-italiana. Hanno partecipato alla solenne manifestazione la popolazione del luogo, le più alte cariche del Comune di Leonessa e le delegazioni ufficiali del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti, dell’Ordine dell’Aquila Romana e dell’Associazione Nazionale Arditi d’Italia. Giustizia, dal punto di vista morale, è finalmente fatta.

 

Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario 
della RSI in Provincia di Rieti

Gianantonio Valli

Per ricordare il Dott. Gianantonio Valli, scomparso pochi giorni fa, pubblichiamo questo suo scritto:

Oggi ci troviamo in un deserto, siamo ai bordi di un deserto che va attraversato. Non ha senso negare il deserto, credersi in terra grata, fantasticare di poterlo aggirare o sperare che il tempo lo muti in eden. È un deserto. Sappiamo però che il deserto, del quale non vediamo oggi i confini, prima o poi finirà. E se non finisse, avremo almeno dato senso alla vita.
Sappiamo che, non ora, ci saranno tempo e modo per ricostruire una città, rifondare una civiltà. Non ora. Nel deserto non si costruisce. Mancano le condizioni elementari, mancano i materiali, l’acqua, i rifornimenti, il vento ti sferza la faccia, la sabbia ti acceca, i miraggi t’ingannano, imperversano predoni, operano assassini, i tuoi compagni, e tu stesso, sono soggetti ad umani cedimenti. Nel deserto si può solo andare avanti, senza sperare di costruire. Si può solo cercare un riparo quale che sia, perché cala la notte e nell’incerto mattino riprende la marcia. Sempre vigili, in guardia.
Ringraziando gli Dei per quelle poche oasi, per quella poca acqua. E magari anche il Sistema, che nella sua infinita bontà non ti ha ancora tolto l’aria per respirare. Nello zaino c’è quanto hai potuto salvare. C’è quello in cui credi. La tua vita. Che va portata al di là del deserto. Altri uomini, generazioni, individui sconosciuti, gente che mai vedrai, magari neppure i tuoi figli, verranno. La storia lo insegna. Anime simili alla tua, segmenti su una stessa retta, fedeli agli stessi Dei. Ne nasceranno ancora. Ne sono sempre nati. Ciò che è certo, è che l’Estremo Conflitto fu disfatta totale. Totale per la generazione che lo ha combattuto, per i milioni di morti, i milioni di sopravvissuti e avviliti, per la nostra generazione, per quella dopo di noi. Catastrofi seguiranno fra qualche decennio, anarchia e rovine per altri decenni, crollo di ogni istituto civile. Ma qualcuno ci sarà. A raccogliere, ad aprire lo zaino…

Nella cornice del Forte Macé di La Spezia, antica struttura fortilizia restaurata dalla famiglia Arfanotti, si è svolta la tradizionale cena estiva organizzata dal nostro vice presidente Carlo Alberto Biggini, che ha visto la partecipazione di molti rappresentanti del mondo dell’imprenditoria e sostenitori dell’Istituto Biggini.

Si tratta del 13° apputamento, quest’anno dedicato al primo anno di vita del piccolo Leonardo Biggini.

Tra le novità di quest’anno, da registrare l’impegno della galleria d’arte Sikrea di Giuliano Pighi, che ha consentito l’esposizione delle opere dei pittori Rubiero, Gatti e Fiocco.

quadrorubiero

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E di Marco Rubiero è il bellissimo ritratto del Prof. Carlo Alberto Biggini, rettore Magnifico dell’Università di Pisa. Di seguito, una presentazione del lavoro di Rubiero da parte di Marco Baruzzo: <<Solo chi possiede un’estrema padronanza del disegno e del ritratto “dal vero”, può permettersi il lusso di trasferire all’ossevatore il dubbio che quello che sta visionando non siano foto di nudi femminili ma disegni , opere d’arte garbate sensibili e cromaticamente equilibrate che mai scadono nel cattivo gusto molto diffuso ai giorn nostri. L’artista, munito di una capacità fuori dal comune di riprodurre le forme del corpo umano, ci fa gustare la visione quasi ancestrale, di una donna talmente bella e perfetta da essere inarrivabile al mondo comune. Noi umani , possiamo solo ammirare estasiati queste “semidee”, queste muse ispiratrici che da sempre hanno condizionato la produzione artistica. Sì, perché la donna rappresentanella sua perfezione corporea e nella bellezza sensuale che essa emana, una delle forme massime nella quale il Bello assoluto si manifesta al mondo sensibile.
Ammirando “aspettando l’alba, come non pensare alla famosa “Alba” di Michelangelo, facente parte del ciclo di sculture per le cappelle Medicee Fiorentine.
E che dire della serie di opere da “La danza” a “Promise”, da “Love me” a “Introspezione”. Sembrano lavori eseguiti con tecnica rinascimentale, a biacca su carta, tale è il potente istintivo rimando alla classicità. Ed invece tale effetto viene ottenuto con tecniche contemporanee e sperimentali, intrise di fondi trattati a gesso, stucco, stoffa e quant’altro, nei quali con tecniche miste vengono poi adagiati i corpi perfettamente in posa, come se ritratti da modelle vere…
E poi con una violenta sterzata, ma senza contraddirsi o rinnegarsi, l’artista con analoghe tecniche, ci stupisce e catapulta nella visione della Donna moderna, inglobata nella frenetica ebbrezza del mondo contemporaneo, come in “Red shoes” o in “Una domenica pomeriggio”. E che dire poi dello sfrenato romanticismo che trasuda palpabile da lavori come “Bonjour Paris” o “Volo libero” o dalla mervigliosa resa cromatica di “Suono per me” opera nella quale ci pare di udire quell’accennato luminoso accordo in LA maggiore, che aggiunge immagine e che ci fa gustare la delicatezza estrema con la quale quella vestaglia rosa accarezza ed incornicia soavemente la bellezza che si manifesta, quasi accecante, ai nostri occhi. E, per finire, come non gustare l’eleganza di un erotismo dolce e raffinato come in “Nel vento” o in “Danae” o in “Vanitas”.
Nulla in questa serie di opere è volgare. E’ tutto provocatoriamente bello, pulito, forse per rammentarci che la sessualità non è ricerca di piacere fine a se stesso, ma scambio energetico grazie alla quale due vite si incontrano e si fondono abbandonandosi l’una nell’altra. E’ la visione di un mondo al femminile che forse manca nella volgarità quotidiana dalla quale siamo assaliti con violenta

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insistenza.
Come non ci risulta più spontaneo fermarci un attimo per osservare un’alba, un tramonto, o per gustare la perfezione di un semplice fiore di campo, così non sappiamo più cosa sia la dolcezza di uno sguardo o il calore di una carezza, come, per finire, non conosciamo più l’arte dell’ascolto, prima vera forma di amore universale.
Le donne di Rubiero ci ricordano che il bello si può manifestare quotidianamente ai nostri occhi quando meno ce lo aspettiamo: forse siamo noi che non siamo più in grado di coglierlo. Questo è il compito dell’artista vero: risvegliare le coscienze altrui addormentate in un sonno soporifero intriso di inutili futilità.
E Marco Rubiero è un vero artista.>>

L’evento è stato ripreso anche dai quotidiani locali, di cui è possibile visionare l’articolo

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da Campomarzio 19

Il 20 Luglio 1925-III Anno dell’Era Fascista, il Capo del Governo Benito Mussolini firmava nella straordinaria cornice del Forte Sangallo di Nettuno (Roma) le cosiddette Convenzioni di Nettuno, un accordo tra Regno d’Italia e Regno Serbo-Croato-Sloveno sulle questioni ancora pendenti relative ai rapporti tra i due Stati. Le Convenzioni di Nettuno furono la chiusura di un lungo contenzioso iniziato nell’Autunno 1918 tra l’Italia e il costituendo Regno SHS, lo Stato successore dell’Impero Austro-Ungarico nell’Adriatico Nord-Orientale, e rappresentarono il primo successo internazionale della nostra Nazione dopo la fine del Primo conflitto mondiale.

Con la vittoria nella Grande Guerra (1915-1918), il Regno d’Italia si apprestava a coronare il suo progetto di Grande Nazione – garantitogli dal Patto di Londra del 1915 – attraverso il raggiungimento dei suoi confini naturali (il Brennero e Monte Nevoso), acquisendo una regione storica italiana (la Dalmazia centrale), ponendo sotto il suo “controllo” l’Albania e trasformando l’intero Mar Adriatico in un lago italiano. Tuttavia, subito dopo la Vittoria, gli alleati franco-britannici e, ancora di più, l’associato statunitense posero il veto sulle rivendicazioni italiane. Fu un duro colpo per l’Italia, già in preda ad un caos sociale e politico scatenato dai socialisti che volevano trasformare la nostra Nazione in uno Stato bolscevico attraverso una rivoluzione bagnata dal sangue dei “borghesi” e di tutti coloro che si opponevano al sorgere del Sol dell’Avvenire. In questo scenario crepuscolare, l’Italia dovette abbandonare ogni pretesa sull’Albania e sulla Dalmazia centrale, ripiegando in una disperata difesa del confine al Monte Nevoso che, però, escludeva la città italiana di Fiume (non rivendicata in precedenza per la pochezza dei nostri governanti). E proprio Fiume divenne, in poco tempo, un simbolo di fede, il simbolo della Vittoria Mutilata, della Patria tradita. Il 12 Settembre 1919, il Comandante Gabriele d’Annunzio occupava la “città olocausta” nella speranza di “donarla” alla Patria. Tuttavia, il Governo italiano – impantanatosi in una crisi politico-sociale senza precedenti – lasciò cadere le offerte e, dopo aver arginato la protesta nazionalista, pose fine militarmente alla “rivoluzione dannunziana”. Il Trattato di Rapallo del Novembre 1920, riuscì a salvare il confine al Monte Nevoso e strappò Fiume alle mire imperialiste dello iugoslavismo trasformandola in uno “Stato libero”. Una situazione che, però, lasciò il segno: quello della sconfitta, della Vittoria Mutilata. Su questo humus sorse il fascismo, un movimento di sinistra nazionale, che – facendosi alfiere dei valori della Grande Guerra e della lotta alla sovversione social-comunista – si trasformò da piccola fazione in un vero e proprio movimento di massa.

Dopo l’ascesa al Governo di Benito Mussolini, Fiume tornò al centro del dibattito internazionale. Il 27 Gennaio 1924, incredibilmente, si riusciva nell’impresa e con il Trattato di Roma la “città olocausta” venne annessa alla Madre Patria. Il Trattato di Roma sarà, come abbiamo detto, perfezionato e chiuso in tutte le sue parti con la firma delle Convenzioni di Nettuno, che sollevarono nel Regno Serbo-Croato-Sloveno le proteste dei circoli iugoslavisti (tanto è vero che l’accordo venne ratificato solo nel 1928).

A novant’anni dallo storico trattato, nessuna manifestazione è prevista sul territorio di Nettuno, così come oggi nulla ricorda che il Forte Sangallo è stato teatro di un’importante convenzione internazionale che difese gli interessi dell’Italia minacciati dall’imperialismo anglo-francese e iugoslavista. Manca a tutt’oggi uno studio specifico su questo trattato e solo il Comitato Nettunese Pro Gabriele d’Annunzio presieduto dal Prof. Alberto Sulpizi ha creduto opportuno tornare sull’argomento, lasciando sul Monumento ai Caduti per la Patria di Piazza Cesare Battisti tre rose rosse, ognuna a simboleggiare tre città italiane irredente, strappate alla Nazione italiana dopo la Seconda Guerra Mondiale: Pola, Fiume e Zara.

A novant’anni da quello storico successo è doveroso tornare su tale evento, soprattutto per ricordare a coloro “a cui piace dimenticare” che a Trieste la Repubblica finisce, ma l’Italia continua.

Pietro Cappellari

Sabato scorso la festa organizzata dal Comitato Nettunese Pro Gabriele d’Annunzio in omaggio al ricercatore Pietro Cappellari

di Lemmonio Boreo

Sabato 6 Giugno 2015, nell’incantevole cornice marina dell’Arena dello Stabilimento Pro Loco di Nettuno, si è tenuta la presentazione dell’ultimo studio del ricercatore Pietro Cappellari dal titolo Il fascismo ad Anzio e Nettuno. La manifestazione, patrocinata dalla locale Pro Loco e fortemente voluta dal suo Presidente Dott. Marcello Armocida, è stata organizzata dal Comitato Nettunese Pro Gabriele d’Annunzio nell’ambito delle celebrazioni per il centesimo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia. Presente un pubblico selezionato e interessato alle novità storiche illustrate dal Dott. Cappellari che, in oltre 280 pagine, ha saputo coniugare una massa di documenti inediti con una narrazione chiara e puntuale.

Un ventennio, quello che va dal 1919 al 1939, descritto nei minimi particolari con importanti riflessioni sulla società di allora e sullo Stato fascista. Infatti, il libro di Cappellari non è certamente solo uno studio di storia locale ma, grazie all’utilizzo di fonti “nazionali” e parallelismi con ciò che accadeva in Italia e in Europa, si eleva a rango di volume di storia compiuto, in cui si evidenzia come le grandi innovazioni prodotte dal Regime siano poi state effettivamente attuate a livello periferico, con risultati invero eccezionali.

Particolare interessante è la nascita dello squadrismo nelle due città gemelle e come il Regime riuscì a consolidarsi macinando uno straordinario consenso di massa, reclutando addirittura esponenti dei partiti prefascisti, tutti convertitisi al “culto del littorio” dopo la sua impetuosa ascesa al potere. Ma non solo. Riflessioni approfondite sono state fatte sul Volontarismo di guerra, sulla partecipazione entusiastica della popolazione alle guerre di Etiopia e di Spagna; sulla lotta alla povertà e come questa sia stata combattuta attraverso opere incisive di uno Stato sociale moderno e all’avanguardia, che fecero del Fascismo “il sole dei poveri”, come scrisse il cattolico-liberale Arturo Carlo Jemolo (cui non si possono certamente addossare simpatie mussoliniane).

Interessanti sono le pagine dedicate all’antifascismo – praticamente inesistente – e al tentativo di ricostituzione del Partito Comunista del 1931, progetto ben presto abortito per l’intervento della Polizia. Da sottolineare come gli arrestati furono tutti “graziati” da Mussolini e che molti di loro poterono contare anche su sussidi statali per far fronte alle difficoltà quotidiane.

Quello che ne esce fuori è un Fascismo molto diverso da quello cantato dai “professori” nelle scuole e nelle università; di quello dipinto dai fasciofobi di oggi, tutti intenti a preservare una falsa storia ideologica che serve solo a tutelare i loro illusori posti di potere.

La festa per questo che è l’undicesimo libro di Cappellari è stata introdotta dal Prof. Alberto Sulpizi, storico del territorio nettunese, che non ha mancato di evidenziare l’importanza per le città di Anzio e Nettuno di questo volume che, finalmente, dirada le nebbie su un passato glorioso del nostro litorale, cui guardare con ammirazione e rispetto.

 

Lemmonio Boreo

Foto e info: https://www.facebook.com/pages/Il-fascismo-ad-Anzio-e-Nettuno-1919-1939-Una-storia-italiana/809378612464520

segretoitaliaIl 18 Novembre 2014, a Roma, nell’importante cornice del Teatro Adriano, si è tenuta la prima de Il segreto di Italia, alla presenza del pubblico delle grandi occasioni, tra cui spiccava la protagonista Romina Power, radiosa un’affascinante abito serale.
Il film di Antonello Belluco ha subìto una lunga e travagliata gestazione, tra divieti e minacce, che hanno sconvolto non solo il normale lavoro di produzione, ma anche messo in serio dubbio la riuscita del progetto. Il tenace regista, tuttavia, ha incredibilmente perseverato ed ha compiuto un vero e proprio miracolo, facendo proprio l’antico detto: “Parlerò anche se l’Inferno stesso si spalancasse per ordinarmi di tacere”. E l’Inferno si era aperto, ordinando di tacere… Tutta l’intellighenzia italiana – quella che si spartisce i soldi pubblici, si intende – è insorta contro quello che era da considerarsi un reato di “lesa maestà”. La fasciofobia ha di nuovo annebbiato le menti di professori e politici, condannando il progetto cinematografico alla consunzione per mancanza di fondi, minacciando tecnici, comparse e attori che volevano condividere il “percorso belluchiano”.
Mobilitando amici e le coscienze di chi credeva fermamente in quel progetto, Belluco è riuscito a produrre un lungometraggio straordinario, che supera di gran lunga le “telenovele” blasonate del cinema italiano (quelle, per intenderci, che – prive di contenuti, ma ricche di “bambole gonfiate” – divorano voracemente i contribuiti statali per la cinematografia). Si è registrata una mobilitazione di popolo, quella comunità che, il 18 Novembre, si è stretta con affetto e stima intorno al regista e ai suoi “ragazzi”. Quella comunità che ha permesso la realizzazione del film.
Ma cosa poteva contenere di così scandaloso Il segreto di Italia, tanto da mettere al bando dalla “società che conta” chiunque avesse osato collaborare con il maestro Belluco? Cosa ha scatenato quell’incredibile “epidemia” che ha fatto fuggire chi pure aveva, in prima battuta, accettato di lavorare con il coraggioso e determinato regista? Nulla. In un’Italia dove anche la pornografia è considerata un’“arte” e le perversioni sono il simbolo del progresso, il lungometraggio belluchiano aveva la “colpa” di raccontare una storia d’amore all’ombra di una delle più efferate stragi partigiane del dopoguerra: quella di Codevigo. Un massacro che doveva essere per sempre dimenticato. Eppure Il segreto di Italia non è un documentario, non è un film storico né di guerra, ma una “semplice” pellicola drammatica che, uscendo fuori dal dorato percorso del politicamente corretto, riportava alla luce una triste vicenda italiana che molti – moralmente complici – volevano cancellare.
Dopo il 28 Aprile 1945, crollato il fronte e ritiratisi i reparti italo-tedeschi, Codevigo venne occupata dall’8a Armata britannica, alle cui dipendenze operava il Gruppo di Combattimento “Cremona” e alcune bande partigiane, tra cui la 28a Brigata Garibaldi “Mario Gordini” al comando di Arrigo “Bulow” Boldrini, già Ufficiale della Milizia fascista. Quello che avvenne nei giorni successivi nella zona di Codevigo, ancor oggi, non ha responsabili. Si sa solo che in questa regione si scatenò una indiscriminata caccia al fascista che si trasformò in una delle più feroci mattanze che la storia d’Italia ricordi: quando nei primi anni ’60 fu possibile recuperare i corpi degli uccisi seppelliti in anonime fosse comuni, si contarono 136 cadaveri, di cui solo 114 vennero riconosciuti. Di decine di altri scomparsi in quei giorni di sangue non fu possibile ritrovare nulla, dispersi nelle campagne, trascinati via dai fiumi, inghiottiti dal “muro di gomma” che ha sempre circondato, con un’omertà diffusa, la strage antifascista.
Il segreto di Italia ci permette di riflettere, a tanti anni di distanza dall’impunito eccidio, sulla Resistenza, su cosa avvenne a Codevigo dopo la fine della guerra, contro gente disarmata cui nulla poteva essere imputato, se non la fede nella propria Patria e a un’idea. Ma non è un film storico, la sua impostazione è su un quadro di riferimento diverso, dove la strage – sebbene centrale – rimane sullo sfondo di una straordinaria storia d’amore, quella che lega la giovane Italia (Gloria Rizzato) al fascista Farinacci (Alberto Vetri) e questi ad Ada (Maria Vittoria Casarotti Todeschini), moglie di un eroe della Regia Aeronautica disperso in Grecia, fuggita da Fiume ormai in balia degli slavo-comunisti. L’amore è presentato nel suo aspetto più puro, senza mai una sbavatura o una volgarità. Ci si innamora del sorriso della quindicenne Italia, degli sguardi straordinari di Ada, del volto pulito di Farinacci. La loro interpretazione è a dir poco magnifica, trasmettendo allo spettatore una miriade di sentimenti e di passioni che lo rapiscono e lo accompagnano per tutto il film. Quello che più colpisce, non è solo il coraggio e il tratto con cui Belluco dipinge la strage partigiana non dimenticando, ad esempio, il martirio della maestra Corinna Doardo. Si rimane impressionati dal talento degli attori, dalle loro interpretazioni a dir poco perfette. Mai una nota stonata, mai una caricatura: Fabrizio Romagnoli, Andrea Pergolesi, Valerio Mazzuccato, Giovanni Capalbo, Elisabetta De Gasperi, Amedeo Gagliardi, Monica Garavello e tutti gli altri attori hanno dimostrato una professionalità rara nel panorama cinematografico italiano. Quanto è bello leggere i nomi di attori italiani, in un film italiano!
Alla fine, quello che rimane dentro al cuore, è un leggero dolore. Come il colpo di cannone che, sovente, si ascolta durante la proiezione annunciando l’arrivo della tempesta, dell’odio antifascista. Quel dolore che ho potuto scorgere negli occhi di Stelvio Dal Piaz, che ha rivissuto il momento del triste abbandono di Arezzo insieme al papà, proprio su una Balilla uguale a quella con cui la famiglia di Italia fugge da Codevigo durante la mattanza partigiana. Il dolore che ho visto negli occhi di Giuliana Tofani, figlia di un caduto della Repubblica Sociale

Antonello Belluco con Pietro Cappellari

Antonello Belluco con Pietro Cappellari

Italiana, che ha ripensato a suo padre, alla sua fine, al suo messaggio d’amore per la Patria e l’idea.
Il segreto di Italia è un film da vedere e rivedere, non solo perché il sorriso di Italia (Gloria Rizzato) e gli occhi di Ada (Maria Vittoria Casarotti Todeschini) ci hanno letteralmente rapito. Il lungometraggio ha avuto un merito: quello di dare voce, dopo tanti anni, a chi voce non l’ha mai avuta. Ai caduti della RSI, uccisi ingiustamente fisicamente e, poi, vigliaccamente anche nella memoria collettiva. Di loro non si doveva parlare. Non erano degni di nessun ricordo. E quanto hanno sofferto i parenti delle vittime, aggiunge solo dolore al dolore. Il martirio e il silenzio. Obbligato. Quante sofferenze e quante dure lotte ha dovuto sostenere l’Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi della RSI per poter aver almeno un piccolo luogo dove pregare i nostri morti, i morti per l’Italia. Quel piccolo sacrario che, oggi, si può visitare, con il cuore che si stringe, a Codevigo. Tra i nomi incisi sul marmo ecco il S.Ten. Farinacci Fontana, che è anche uno dei protagonisti del film, su cui si posa, come ad accarezzarlo, la mano di un’ormai anziana Italia (Romina Power). Oggi, possiamo dire, che Farinacci – e tutti i caduti nella strage di Codevigo – non sono più soli e hanno una voce. Grazie Antonello, Romina, Gloria, Maria Vittoria, Alberto… e a tutti coloro che hanno permesso questo miracolo, non solo cinematografico.
Pietro Cappellari

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