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Le conseguenze del “liberismo post-democratico”
Questo numero del bollettino affronta anzitutto due aspetti della crisi economica nazionale e quindi della persistente e crescente disoccupazione. Due sono a questo riguardo i punti trattati.
In un primo articolo si parla della mancanza di una politica economica programmatica in grado di uscire dal presente dissesto economico che si perpetua a causa del credo governativo e della stampa conformista, definito dalle più recenti analisi socioeconomiche “liberismo post-democratico”.
Nel successivo articolo a cura di Mario Bozzi Sentieri vengono analizzate le più recenti crisi di grandi aziende nazionali, preda di fameliche multinazionali e abbandonate a un triste destino per l’assenza di una chiara individuazione dei settori che sono strategici per la tenuta e la crescita del nostro sistema economico.
Il Sestante pubblica poi un articolo nel quale, con la consueta profondità di documentazione il prof. Vincenzo Pacifici – che conosce la storia unitaria del Paese anche nei suoi aspetti letterari e della passione risorgimentale – stigmatizza un pamphlet di un autore che coltiva il secessionismo veneto come fosse una vera questione geopolitica e non un residuo di miope ed ignorante egoismo ammantato di falso romanticismo.
Viene poi pubblicata una lettera di un illustre docente universitario, socio e consigliere direttivo del CESI, il prof. Lucio Zichella, il quale confessa il suo stato d’animo e fa auspici perché dalle analisi del nostro centro studi si possa passare a progetti politici portati avanti da autentici attori politici e non da semplici comparse, oppure da residui di spettacoli non edificanti. Seguono le consuete rubriche delle quali va segnalata particolarmente la Rassegna di novità librarie. (g.r.)

SOMMARIO

- Le misure del Jobs act aumentano la disoccupazione.
Senza investimenti diretti dello Stato non si esce dalla crisi di Gaetano Rasi

- Uscire dalla crisi con una autentica politica industriale.
Il “caso Whirlpool” non può essere uno “spot” di Mario Bozzi Sentieri

- Letteratura a ritroso della storia.
Il malcontento veneto non va impostato come secessionismo di Vincenzo Pacifici

- Rubriche: Lettere al Sestante. L’ineludibile sconfessione della politica delle approssimazioni, e molto spesso, della corruzione di Lucio Zichella – I libri del “Sestante”. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri – La Biblioteca – Pubblicazioni del CESI

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Gianantonio Valli

Per ricordare il Dott. Gianantonio Valli, scomparso pochi giorni fa, pubblichiamo questo suo scritto:

Oggi ci troviamo in un deserto, siamo ai bordi di un deserto che va attraversato. Non ha senso negare il deserto, credersi in terra grata, fantasticare di poterlo aggirare o sperare che il tempo lo muti in eden. È un deserto. Sappiamo però che il deserto, del quale non vediamo oggi i confini, prima o poi finirà. E se non finisse, avremo almeno dato senso alla vita.
Sappiamo che, non ora, ci saranno tempo e modo per ricostruire una città, rifondare una civiltà. Non ora. Nel deserto non si costruisce. Mancano le condizioni elementari, mancano i materiali, l’acqua, i rifornimenti, il vento ti sferza la faccia, la sabbia ti acceca, i miraggi t’ingannano, imperversano predoni, operano assassini, i tuoi compagni, e tu stesso, sono soggetti ad umani cedimenti. Nel deserto si può solo andare avanti, senza sperare di costruire. Si può solo cercare un riparo quale che sia, perché cala la notte e nell’incerto mattino riprende la marcia. Sempre vigili, in guardia.
Ringraziando gli Dei per quelle poche oasi, per quella poca acqua. E magari anche il Sistema, che nella sua infinita bontà non ti ha ancora tolto l’aria per respirare. Nello zaino c’è quanto hai potuto salvare. C’è quello in cui credi. La tua vita. Che va portata al di là del deserto. Altri uomini, generazioni, individui sconosciuti, gente che mai vedrai, magari neppure i tuoi figli, verranno. La storia lo insegna. Anime simili alla tua, segmenti su una stessa retta, fedeli agli stessi Dei. Ne nasceranno ancora. Ne sono sempre nati. Ciò che è certo, è che l’Estremo Conflitto fu disfatta totale. Totale per la generazione che lo ha combattuto, per i milioni di morti, i milioni di sopravvissuti e avviliti, per la nostra generazione, per quella dopo di noi. Catastrofi seguiranno fra qualche decennio, anarchia e rovine per altri decenni, crollo di ogni istituto civile. Ma qualcuno ci sarà. A raccogliere, ad aprire lo zaino…

Nella cornice del Forte Macé di La Spezia, antica struttura fortilizia restaurata dalla famiglia Arfanotti, si è svolta la tradizionale cena estiva organizzata dal nostro vice presidente Carlo Alberto Biggini, che ha visto la partecipazione di molti rappresentanti del mondo dell’imprenditoria e sostenitori dell’Istituto Biggini.

Si tratta del 13° apputamento, quest’anno dedicato al primo anno di vita del piccolo Leonardo Biggini.

Tra le novità di quest’anno, da registrare l’impegno della galleria d’arte Sikrea di Giuliano Pighi, che ha consentito l’esposizione delle opere dei pittori Rubiero, Gatti e Fiocco.

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E di Marco Rubiero è il bellissimo ritratto del Prof. Carlo Alberto Biggini, rettore Magnifico dell’Università di Pisa. Di seguito, una presentazione del lavoro di Rubiero da parte di Marco Baruzzo: <<Solo chi possiede un’estrema padronanza del disegno e del ritratto “dal vero”, può permettersi il lusso di trasferire all’ossevatore il dubbio che quello che sta visionando non siano foto di nudi femminili ma disegni , opere d’arte garbate sensibili e cromaticamente equilibrate che mai scadono nel cattivo gusto molto diffuso ai giorn nostri. L’artista, munito di una capacità fuori dal comune di riprodurre le forme del corpo umano, ci fa gustare la visione quasi ancestrale, di una donna talmente bella e perfetta da essere inarrivabile al mondo comune. Noi umani , possiamo solo ammirare estasiati queste “semidee”, queste muse ispiratrici che da sempre hanno condizionato la produzione artistica. Sì, perché la donna rappresentanella sua perfezione corporea e nella bellezza sensuale che essa emana, una delle forme massime nella quale il Bello assoluto si manifesta al mondo sensibile.
Ammirando “aspettando l’alba, come non pensare alla famosa “Alba” di Michelangelo, facente parte del ciclo di sculture per le cappelle Medicee Fiorentine.
E che dire della serie di opere da “La danza” a “Promise”, da “Love me” a “Introspezione”. Sembrano lavori eseguiti con tecnica rinascimentale, a biacca su carta, tale è il potente istintivo rimando alla classicità. Ed invece tale effetto viene ottenuto con tecniche contemporanee e sperimentali, intrise di fondi trattati a gesso, stucco, stoffa e quant’altro, nei quali con tecniche miste vengono poi adagiati i corpi perfettamente in posa, come se ritratti da modelle vere…
E poi con una violenta sterzata, ma senza contraddirsi o rinnegarsi, l’artista con analoghe tecniche, ci stupisce e catapulta nella visione della Donna moderna, inglobata nella frenetica ebbrezza del mondo contemporaneo, come in “Red shoes” o in “Una domenica pomeriggio”. E che dire poi dello sfrenato romanticismo che trasuda palpabile da lavori come “Bonjour Paris” o “Volo libero” o dalla mervigliosa resa cromatica di “Suono per me” opera nella quale ci pare di udire quell’accennato luminoso accordo in LA maggiore, che aggiunge immagine e che ci fa gustare la delicatezza estrema con la quale quella vestaglia rosa accarezza ed incornicia soavemente la bellezza che si manifesta, quasi accecante, ai nostri occhi. E, per finire, come non gustare l’eleganza di un erotismo dolce e raffinato come in “Nel vento” o in “Danae” o in “Vanitas”.
Nulla in questa serie di opere è volgare. E’ tutto provocatoriamente bello, pulito, forse per rammentarci che la sessualità non è ricerca di piacere fine a se stesso, ma scambio energetico grazie alla quale due vite si incontrano e si fondono abbandonandosi l’una nell’altra. E’ la visione di un mondo al femminile che forse manca nella volgarità quotidiana dalla quale siamo assaliti con violenta

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insistenza.
Come non ci risulta più spontaneo fermarci un attimo per osservare un’alba, un tramonto, o per gustare la perfezione di un semplice fiore di campo, così non sappiamo più cosa sia la dolcezza di uno sguardo o il calore di una carezza, come, per finire, non conosciamo più l’arte dell’ascolto, prima vera forma di amore universale.
Le donne di Rubiero ci ricordano che il bello si può manifestare quotidianamente ai nostri occhi quando meno ce lo aspettiamo: forse siamo noi che non siamo più in grado di coglierlo. Questo è il compito dell’artista vero: risvegliare le coscienze altrui addormentate in un sonno soporifero intriso di inutili futilità.
E Marco Rubiero è un vero artista.>>

L’evento è stato ripreso anche dai quotidiani locali, di cui è possibile visionare l’articolo

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Non è più tempo di analisi parziali.
L’avvenire di ciascuna nazione è strettamente legato ai nuovi assetti geopolitici e geoeconomici mondiali
La questione greca ha reso ancor più evidenti le problematiche esistenziali che riguardano l’Unione Europea e l’avvenire degli oltre 500 mila abitanti del “vecchio continente”. Qualsiasi problema di politica estera come di politica interna, di politica sociale, economica e, oggi in particolare, di politica monetaria non può essere affrontato e risolto se non avendo una precisa visione geopolitico-economica del mondo.
L’analisi deve partire da alcune grandi costanti storiche e da riflessioni che, tenendo conto di esse, tengano presenti due elementi incontrovertibili: Primo, l’accelerato progresso scientifico e tecnico che ha creato consapevolezze diffuse e grandi interrogativi nella coscienza di ciascuno; secondo, l’aumento demografico mondiale e la possibilità di veloci spostamenti di grandi masse di popolazione che hanno determinato problemi organizzativi di dimensioni mondiali.
Il CESI, tramite il suo bollettino, affronta questi problemi effettuando analisi di ampio respiro. E ciò tenendo presente la contemporanea esigenza di ragionare in termini globali e di avere costante attenzione per l’avvenire delle prossime generazioni che inevitabilmente si costruisce anzitutto all’interno delle singole nazioni (g.r.).

SOMMARIO
– L’attacco al “cuore della Terra”. Teoria geopolitica e strategie di lunga durata di Massimo Scalfati

- IX Edizione del rapporto “Generare Classe dirigente”. L’avvenire dei giovani una necessità nazionale di Mario Bozzi Sentieri

-RUBRICHE. “La Biblioteca”. I libri scritti da soci del CESI. “Pubblicazioni del Cesi”.

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Vogliamo un’Europa veramente unita e protagonista di civiltà
Di Franco Cardini si può dire di tutto, ma non che le sue analisi non abbiano il respiro della profondità e il coraggio dell’anticonformismo politicamente scorretto. Quante giaculatorie abbiamo ascoltato in favore di questa Europa e quanti “crucifige” nei confronti di coloro che denunciavano gli evidenti crimini commessi nei confronti di chi non vuole assoggettarsi ai sacri principi dell’“Austerità”.
Quei postulati che, oramai è evidente ai più in buonafede, stanno precipitando i popoli europei sul piano inclinato del disastro non solo economico, ma politico e culturale. Deprimere i popoli per seguire gli indirizzi della Bundesbank significa uccidere ogni nobile aspirazione che l’uomo ha, di migliorare se stesso e di contribuire alla crescita della propria comunità. E allora, con Cardini, affermiamo che denunciare l’indicazione della strada dell’abbattimento di questa Europa soltanto monetaria, non significa essere antieuropeisti, ma seguire, per esempio, gli insegnamenti di Filippo Anfuso, che teorizzando l’”Europa Nazione”, non voleva certamente una accozzaglia di mercanti (dove il più forte la fa da padrone magari approfittando della cancellazione del suo debito bellico e post-bellico), ma una unione di popoli che ambivano, nel rispetto delle loro tradizioni e della loro cultura, a diffondere superiori linee di civiltà nel mondo, come detta la storia dell’Europa.
Un grande pensatore affermava «quando gli altri ancora scorrazzavano per le praterie, in Europa si costruivano le cattedrali». Questa Europa, costretta tra il terrore dell’estremismo islamico (tollerato quando non armato anche da certi soliti ambienti finanziari internazionali) e la minaccia del pauperismo senza prospettive deve essere abbattuta per poi rinascere. Chi balbetta sulla appartenenza politica variegata di chi si oppone a questa Europa, è al servizio dei poteri forti che vogliono mantenere lo status-quo per rafforzarlo a danno dei cittadini europei. Ben venga quindi, chi ha il coraggio di intraprendere un percorso non delimitato da vecchi steccati.
Già Giuseppe Giusti affermava: «ricerchiamo quello che ci unisce e respingiamo ciò che ci divide». Chi, scimmiottescamente, vuole dividere i pensionati greci dai pensionati degli altri Paesi, dimentica che i soldi prestati alla Grecia sono stati immediatamente riscossi dalle banche tedesche e francesi (anche, in parte, italiane), le quali hanno speculato sull’infame meccanismo dello spread, comprando titoli greci con interessi del 15% e creando quindi la falla che oggi si intende far pagare ai cittadini greci. Cittadini costretti alla ribellione come dimostrano i risultati del referendum del 5 luglio.
Cogliamo questa occasione: non si può costruire tra le rovine! Riappropriamoci della nostra cultura e della nostra storia e, dopo aver abbattuto l’infame sistema della finanziarizzazione, mettiamoci a fianco, se non alla testa, di tutti coloro che vogliono riportare un’Europa delle “Nazioni senza confini”, ad essere protagonista ed ispiratrice di Civiltà.
Giancarlo Gabbianelli

SOMMARIO

- Illuminanti riflessioni a posteriori su giudizi e su indirizzi. La questione greca e l’Europa germanocentrica. Corrispondenza tra Nazzareno Mollicone e Maurizio Belpietro

- RUBRICHE. “Documentazione”: Seduta della CdD 25/6/2015. Sintesi delle Mozioni sulle sanzioni contro la Russia a cura di Nazzareno Mollicone. “Lettere al Sestante”. L’Unione Europea perché? di Michele Puccinelli e risposta del Presidente O., G. Rasi. “I Libri del Sestante”. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri. “La Biblioteca”. I libri scritti da soci del CESI. “Le pubblicazioni del Cesi”.

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da Campomarzio 19

Il 20 Luglio 1925-III Anno dell’Era Fascista, il Capo del Governo Benito Mussolini firmava nella straordinaria cornice del Forte Sangallo di Nettuno (Roma) le cosiddette Convenzioni di Nettuno, un accordo tra Regno d’Italia e Regno Serbo-Croato-Sloveno sulle questioni ancora pendenti relative ai rapporti tra i due Stati. Le Convenzioni di Nettuno furono la chiusura di un lungo contenzioso iniziato nell’Autunno 1918 tra l’Italia e il costituendo Regno SHS, lo Stato successore dell’Impero Austro-Ungarico nell’Adriatico Nord-Orientale, e rappresentarono il primo successo internazionale della nostra Nazione dopo la fine del Primo conflitto mondiale.

Con la vittoria nella Grande Guerra (1915-1918), il Regno d’Italia si apprestava a coronare il suo progetto di Grande Nazione – garantitogli dal Patto di Londra del 1915 – attraverso il raggiungimento dei suoi confini naturali (il Brennero e Monte Nevoso), acquisendo una regione storica italiana (la Dalmazia centrale), ponendo sotto il suo “controllo” l’Albania e trasformando l’intero Mar Adriatico in un lago italiano. Tuttavia, subito dopo la Vittoria, gli alleati franco-britannici e, ancora di più, l’associato statunitense posero il veto sulle rivendicazioni italiane. Fu un duro colpo per l’Italia, già in preda ad un caos sociale e politico scatenato dai socialisti che volevano trasformare la nostra Nazione in uno Stato bolscevico attraverso una rivoluzione bagnata dal sangue dei “borghesi” e di tutti coloro che si opponevano al sorgere del Sol dell’Avvenire. In questo scenario crepuscolare, l’Italia dovette abbandonare ogni pretesa sull’Albania e sulla Dalmazia centrale, ripiegando in una disperata difesa del confine al Monte Nevoso che, però, escludeva la città italiana di Fiume (non rivendicata in precedenza per la pochezza dei nostri governanti). E proprio Fiume divenne, in poco tempo, un simbolo di fede, il simbolo della Vittoria Mutilata, della Patria tradita. Il 12 Settembre 1919, il Comandante Gabriele d’Annunzio occupava la “città olocausta” nella speranza di “donarla” alla Patria. Tuttavia, il Governo italiano – impantanatosi in una crisi politico-sociale senza precedenti – lasciò cadere le offerte e, dopo aver arginato la protesta nazionalista, pose fine militarmente alla “rivoluzione dannunziana”. Il Trattato di Rapallo del Novembre 1920, riuscì a salvare il confine al Monte Nevoso e strappò Fiume alle mire imperialiste dello iugoslavismo trasformandola in uno “Stato libero”. Una situazione che, però, lasciò il segno: quello della sconfitta, della Vittoria Mutilata. Su questo humus sorse il fascismo, un movimento di sinistra nazionale, che – facendosi alfiere dei valori della Grande Guerra e della lotta alla sovversione social-comunista – si trasformò da piccola fazione in un vero e proprio movimento di massa.

Dopo l’ascesa al Governo di Benito Mussolini, Fiume tornò al centro del dibattito internazionale. Il 27 Gennaio 1924, incredibilmente, si riusciva nell’impresa e con il Trattato di Roma la “città olocausta” venne annessa alla Madre Patria. Il Trattato di Roma sarà, come abbiamo detto, perfezionato e chiuso in tutte le sue parti con la firma delle Convenzioni di Nettuno, che sollevarono nel Regno Serbo-Croato-Sloveno le proteste dei circoli iugoslavisti (tanto è vero che l’accordo venne ratificato solo nel 1928).

A novant’anni dallo storico trattato, nessuna manifestazione è prevista sul territorio di Nettuno, così come oggi nulla ricorda che il Forte Sangallo è stato teatro di un’importante convenzione internazionale che difese gli interessi dell’Italia minacciati dall’imperialismo anglo-francese e iugoslavista. Manca a tutt’oggi uno studio specifico su questo trattato e solo il Comitato Nettunese Pro Gabriele d’Annunzio presieduto dal Prof. Alberto Sulpizi ha creduto opportuno tornare sull’argomento, lasciando sul Monumento ai Caduti per la Patria di Piazza Cesare Battisti tre rose rosse, ognuna a simboleggiare tre città italiane irredente, strappate alla Nazione italiana dopo la Seconda Guerra Mondiale: Pola, Fiume e Zara.

A novant’anni da quello storico successo è doveroso tornare su tale evento, soprattutto per ricordare a coloro “a cui piace dimenticare” che a Trieste la Repubblica finisce, ma l’Italia continua.

Pietro Cappellari

Non uomini politici, ma sensali da mercato paesano
L’inasprimento e l’improvviso blocco della trattative riguardanti la rimodulazione del debito greco e l’indizione di un referendum per demandare al popolo ellenico la decisione se accettare o meno le condizioni poste dalla UE ci obbligano ad effettuare in questo numero le necessarie riflessioni sull’argomento e quindi a rimandare al numero successivo de Il Sestante la promessa trattazione della, pure incombente e più pericolosa, questione relativa al contrasto con la Russia e alle rischiose iniziative “muscolari” degli USA e della NATO.
Pubblichiamo quindi in questo numero due analisi sui riflessi che comunque il caso greco produce sull’Europa. Una, riguardante la miopia di uomini politici che ragionano come modesti contabili di una piccola impresa di periferia, ed un’altra analisi effettuata da una economista di spicco, di origine italiana, la prof. Marianna Mazzucato dell’Università del Sussex che accusa con chiari argomenti l’Europa di oggi di sbagliare regolarmente le diagnosi come dimostra proprio il caso greco. (g.r.)

SOMMARIO

- Comunque vada a finire è l’attuale idea di Europa che va ridiscussa. Non uomini politici europei, ma sensali da mercato paesano di Gaetano Rasi

- L’acuta ed indipendente analisi di una economista di fama che ha “capito tutto” . Quando l’errore è nella diagnosi di Marianna Mazzucato

- RUBRICHE. “I Libri del Sestante”. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri. “La Biblioteca”. I libri scritti da soci del CESI. “Pubblicazioni del Cesi”. I volumi della Collana Documenti e le raccolte del bollettino Il Sestante.

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Assenteismo elettorale e problematiche incombenti
In questo numero pubblichiamo una nota del Presidente Giancarlo Gabbianelli sul significato dell’assenteismo elettorale verificatosi nel corso delle ultime elezioni amministrative. Inoltre in una analisi compiuta da Gaetano Rasi viene posto in evidenza l’illusorietà dei dati mensili che non indicano affatto, come il Governo vuol far credere, che sia iniziata la ripresa della crescita. A tutto questo si aggiunge il continuo abuso del termine “riforme” che viene usato nella gestione politica del Governo; sull’argomento Mario Bozzi Sentieri richiama l’attenzione su uno dei gravi problemi che necessitano un’urgente soluzione in sede di radicale revisione costituzionale e non di semplice legislazione ordinaria: quello della dannosità, sia dal punto di vista funzionale che dal punto di vista dei costi, dell’ente regione.
Mentre la crisi politica continua ad investire l’Europa, e quindi anche l’Italia, crisi politica aggravata da quella economica importata dagli USA nel 2008, nuove gravi problematiche incombono. Pertanto preannunciamo fin da ora che il prossimo numero de Il Sestante tratterà in particolare degli effetti sull’Italia, oltre che su tutta l’Europa, del contrasto artificialmente acuito con la Russia. Si parlerà inoltre dell’importante recente enciclica di Papa Francesco “Laudato sì”, che affronta, insieme con i problemi del degrado del pianeta, le gravi responsabilità della degenerazione predatoria capitalistico-finanziaria. Senza una radicale presa di coscienza ed una vera rivoluzione culturale, saranno procurati ulteriori gravissimi dissesti economici e globali arretramenti civili.

SOMMARIO

- Riflessioni sulla causa dell’assenteismo elettorale. Ogni cittadino deve poter partecipare alla ricostruzione dello Stato di Giancarlo Gabbianelli

- Illusorio trarre dai tenui dati mensili che è avviata la ripresa della crescita in Italia. Necessità di una politica economica capace di produrre redditi diffusi per uscire dalla crisi di Gaetano Rasi

- Abolirle o riformarle? Le regioni costano e non contano di Mario Bozzi Sentieri

- RUBRICHE. “Segnalazioni”. A proposito di una Europa che non è ancora una vera entità statale. L’Unione Europea sa dire solo no di Giulio Tremonti. “I Libri del Sestante”. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri. “La Biblioteca”. Gaetano Rasi, Tutto è cambiato con la prima guerra mondiale. Società ed economia dal 1915 al 1922. Tabula Fati, Chieti 2015; Mario Bozzi Sentieri, Filippo Corridoni. Sindacalismo e Interventismo. Patria e Lavoro, Pagine, Roma 2015; Gaetano Rasi, Storia del progetto politico alternativo. Dal Msi ad An (1946-2009). Opera in tre volumi. I volume: La costruzione dell’identità (1946-1969), Solfanelli, Chieti 2015. “Pubblicazioni del CESI” – Volumi della Collana Documenti e Raccolte bollettino Il Sestante.

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da Il Giornale – di Luca Gallesi

I n occasione del settantesimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, l’instancabile liturgia resistenziale ci ha consegnato l’ennesimo quadretto oleografico di un’Italia che esce vittoriosamente dal conflitto, dopo aver sbaragliato, grazie all’insurrezione di tutto il popolo, il barbaro invasore tedesco.

Per inconfessabili scopi di bassa politica si continua quindi a recitare la farsa di una sconfitta militare trasformata in vittoria e di una tragedia convertita in festa; il 25 aprile si celebra una ricorrenza che, invece di invitare gli italiani a voltare pagina consegnando la guerra civile alla memoria storica, rinfocola ataviche ostilità e riapre antiche ferite, sostituendo la propaganda alla storia. Fortunatamente, le nuove generazioni di storici e ricercatori sembrano meno disposte a piegarsi alle esigenze della retorica, come dimostra un libro appena pubblicato da Laterza, Figli del nemico. Le relazioni d’amore in tempo di guerra 1943-1948 (pagg. 180, euro 20), scritto da Michela Ponzani, collaboratrice dell’Istituto storico germanico di Roma, consulente dell’Archivio storico del Senato e già autrice di numerosi saggi sulla Resistenza e sull’Italia repubblicana. Sgombriamo subito il campo da ogni equivoco: la Ponzani non è affatto revisionista, non ha alcuna simpatia per la destra o, peggio, per il fascismo, e rivendica la sua convinta adesione ai valori della Resistenza, che l’hanno ispirata e guidata nelle sue ricerche. Ma è nata nel 1978, e, probabilmente, il dato anagrafico l’ha aiutata a evitare l’adesione ai frusti cliché dell’antifascismo militante.

I Figli del nemico analizza, con un approccio scientifico, il destino dei numerosi bambini, spesso illegittimi, nati dalle relazioni tra soldati tedeschi e donne italiane, oppure da internati italiani e donne tedesche, che, coinvolti dalla tragedia bellica, hanno trovato il modo di restare umani aggrappandosi al sentimento più naturale che esista, quello dell’amore, o presunto tale, i cui frutti recano un marchio infamante. È il caso di Francesca O., nata il 10 novembre 1944 a Bologna, da un padre tedesco che non ha mai conosciuto, perché tornato dalla sua fidanzata tedesca. Francesca ha cercato di rimuovere l’esistenza del suo «vero padre», ma solo quando ha saputo che stava morendo, si è sentita priva del marchio infamante di figlia della colpa. Di segno opposto, invece, la storia dei figli di Alfred, un SS di vent’anni che si innamora di Anita, da cui ha tre figli, che, amati e riconosciuti, cresceranno forti e uniti, nonostante il cognome – e le fattezze – straniere. Certo, come avverte l’autrice nell’introduzione, nella maggior parte dei casi si tratta di incontri fugaci, di «amori di guerra» che soddisfano un momentaneo bisogno d’affetto o di protezione, e che forse svaniranno col ritorno alla normalità. Le conseguenze di quelle relazioni, però, non potranno essere rimosse, e i destini dei bambini saranno molto diversi, a seconda dell’appartenenza dei padri alle schiere dei vincitori o a quelle dei vinti. Nel primo caso, parleremo di «spose di guerra», che si sono concesse ai liberatori inglesi o americani, assurgendo, nell’immaginario resistenziale, a una condizione di rispettabilità sociale quasi pari a quella delle eroine partigiane che, invece del corpo, hanno donato alla giusta causa il loro sangue. Nel secondo, invece, si tratterà di «donne disonorate» e «figli della colpa», a cui andrà tutta la riprovazione sociale e il disprezzo della comunità. La Ponzani ricostruisce le loro storie, che, sono parole sue, non hanno «nulla a che vedere con quel canone patriottico-onorevole di stampo risorgimentale che vede incerarsi il senso di rispettabilità degli italiani nell’odio e nella distanza dal tedesco invasore». Viene quindi smontato anche un altro stereotipo, quello della donna amante del tedesco, che deve necessariamente essere una collaborazionista, laddove le relazioni tra donne italiane e soldati del Reich sono spessissimo legami d’amore destinati a durare anche dopo la guerra; infatti, contrariamente alle versioni della propaganda, i militari tedeschi dislocati sul fronte italiano non sono barbari assetati di sangue, ma individui civili «entusiasti di vivere in un vero e proprio museo a cielo aperto», e non si capacitano, come scrive a casa un caporale dislocato in Lazio, del fatto che «gli abitanti di una città moderna e intrisa di storia come Roma non si rendono conto della bellezza della loro città». Al contrario, le truppe alleate che risalgono la Penisola distruggono tutto e bruciano i cadaveri dei tedeschi, mentre i magrebini aggregati al corpo di spedizione francese uccidono e violentano migliaia di donne, «ben 2000 solo nel paese di Ceprano, di cui 1500 contraggono la malaria e 800 si troveranno in stato di gravidanza».

Il mito del tedesco freddo e crudele, invece, deve essere mantenuto sempre, dato che l’Italia «ha un bisogno assoluto di ricostruire la propria immagine nazionale con la rimozione assoluta dei rapporti che l’Italia ha stabilito, dagli anni Trenta in poi, con la Germania nazista». E quindi vanno rinfocolate le rappresentazioni del «cattivo tedesco» come nemico del genere umano, «recuperando persino narrazioni che risalgono alla tradizione antiaustriaca ottocentesca». Ma «le narrazioni pubbliche di guerra, in un’Italia che si presentava come vittima del fascismo, non hanno affatto aiutato a guarire la società ma, invece, hanno avuto un effetto distorsivo sull’evoluzione delle memorie legate alla storia nazionale».

Tra le pagine, ricchissime di dati e di informazioni preziose sulle vittime più innocenti di un conflitto, quei bambini orfani o abbandonati alla carità pubblica o, più spesso, religiosa, emerge, quasi inconsapevolmente, un auspicio, che dovrebbe sostituire la retorica resistenziale: «Uscire dal silenzio, superando il trauma dei giorni del conflitto, rompere con un passato di odio allontanando da sé il peso della discriminazione, inducendo a ricordare anche tutti quei tedeschi caduti sul fronte di guerra italiano, le cui spoglie non saranno mai restituite alle rispettive famiglie».

Ecco, questo atto pietoso sarebbe una degna celebrazione della fine di un conflitto: si liberano i prigionieri e si seppelliscono i morti. E si ricomincia a vivere.

 

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