Author: marsen

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LXX Anniversario della Fondazione dell’Ordine dell’Aquila Romana

1944 – 2014

 

In Svizzera, si sono celebrati, il 27 luglio 2014, i 70 anni di fondazione dell’Ordine dell’Aquila Romana, prendendo possesso quale V Capo dell’Ordine Martina Mussolini, accompagnata dal Cancelliere Vittoria Mussolini e dal Primo Segretario dell’Ordine Guglielmo Giovanelli Marconi, che unisce nel suo nome la memoria dell’illustre scienziato Italiano.

Alle ore 16,00 alla presenza di una folla di gente convenuta sul posto per l’evento da più parti d’Italia, si è dato inizio alla celebrazione del 70° con la Santa Messa nell’antichissima Chiesa dei Santi Gerolamo e Bernardino in Monte Carasso (Bellinzona), officiata da Mons. Francesco Millimaci, Generale di Brigata e già Primo Cappellano Capo della Regione Militare Nord.

 

Il momento solenne e più commovente alla presenza dei Labari delle Associazioni Combattentistiche Nazionali, di autorità civili, accademiche e militari provenienti da diversi paesi Europei, frutto del lavoro delle Delegazioni estere dell’Ordine, scandendo i tempi la tromba del Bersagliere Cavietti di Milano,  è stata l’assunzione dei poteri di V Capo dell’Ordine, Martina Mussolini, ricevendo l’investitura del Collare dell’Ordine dopo le letture del Vangelo.

 

Alle 17,30 i convenuti si sono riuniti nella sala delle conferenze addobbata per l’evento, sita nel monumentale complesso del Convento delle Agostiniane, e dopo il saluto rivolto ai presenti dal Capo dell’Ordine e l’Inno a Roma, al suono della Marcia 4 Maggio, marcia d’ordinanza del nostro glorioso Esercito, hanno sfilato i Labari dell’Associazione Nazionale Arditi d’Italia (A.N.A.I.), dell’Associazione Nazionale Combattenti Italiani di Spagna (ANCIS) e dell’Associazione Nazionale Volontari di Bir el Gobi, prendendo posto sul palco d’onore per ricevere la Medaglia d’Oro appuntata da Martina Mussolini motivando: a ricordo di quanti con il loro estremo sacrificio hanno onorato la Patria!

Momenti solenni ed intensi, ricevendo il Capo dell’Ordine, appuntata dai superstiti combattenti di Spagna sulla fascia, l’emblema della Falange spagnola.

La cerimonia è proseguita con il conferimento dei cavalierati a quanti in questi anni si sono resi degni dell’onore ricevuto e per la prima volta è stato conferito per eccelse motivazioni il privilegio araldico del Capo Littorio.

 

Al termine della celebrazione, il Generale di Brigata Giuseppe Falconi saliva sul palco d’onore e quale militare prendeva dal Capo dell’Ordine il Collare, ponendolo su un cuscino di raso verde e lo collocava sotto il tricolore Italiano. Qui il Capo dell’Ordine accompagnato dal Generale lasciando il palco, prendeva posto tra i convitati e voltandosi tutti verso il tricolore si è suonato e cantato l’Inno di Mameli: con questo atto, esempio per tutti il Capo dell’Ordine, ha indicato che fuori dal magistero dell’Ordine è un comune degno cittadino Italiano, conscio dei propri diritti e dei propri doveri, innanzi tutto l’Italia!

Infine, come già anticipato nel titolo di questo articolo, rendiamo noto con piacere  che l’ordine dell’Aquila Romana ha conferito al nostro vicepresidente Carlo Alberto Biggini l’onoreficenza di commendatore

Martedì 5 Agosto 2014, in ricorrenza delle solenni celebrazioni per la Madonna della Neve, si sono commemorati i caduti e le vittime della strage britannica di Bacugno. Il 10 Febbraio 1944, infatti, la piccola frazione del Comune di Posta (Rieti) venne sconvolta da uno dei tanti eccidi rimasti impuniti causati dalla strategia terroristica degli Angloamericani. Due aerei inglesi, avvistata una corriera, compirono un duplice criminale mitragliamento uccidendo 13 persone.

Il Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti, a suo tempo, aveva avanzato la proposta di erigere un monumento a perenne ricordo di quel drammatico fatto di guerra, ma l’Amministrazione di Posta non aveva risposto. Tuttavia, il nuovo Sindaco Serenella Clarice ha considerato degna di attenzione l’iniziativa e, mobilitando enti locali, associazioni e semplici cittadini, ha compiuto un vero e proprio miracolo, inaugurando una stele con i nomi di coloro che vennero assassinati dai “gangster dell’aria”, quelli che al tempo erano conosciuti con l’emblematico nome di “Angloassassini”.

All’affollata manifestazione hanno partecipato l’Amministrazione comunale, tutti i cittadini di Bacugno, delegazioni ufficiali dei Comuni vicinori, con i Sindaci di Borbona, Amatrice e Cittareale e una rappresentanza del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti guidata dal Dott. Pietro Cappellari.

«Per la prima volta, dopo 70 anni – ha dichiarato Cappellari – si ricorda un evento da sempre sottaciuto con l’inaugurazione di un monumento che rende giustizia ai caduti e alle vittime di così insano sadismo. Insieme alle mamme e ai bambini che trovarono triste sorte sulla “corriera della morte” di Bacugno, ci piace ricordare Giovanni Mezzetti, Commissario del Capo della Provincia in Amatrice e Commissario politico del Fascio di quel Comune. Uomo onesto e probo amministratore che, in quei mesi di tragedia nazionale, non tradì la sua Patria e rimase al suo posto di combattimento. Gli uomini della RSI, anche in provincia di Rieti, furono in “prima linea”, come ben dimostra il suo sacrificio. Un sacrificio, quello di Mezzetti e degli altri innocenti passeggeri della corriera, da troppo tempo dimenticato per non disturbare la vulgata antifascista e anti-italiana tutta intenta a creare miti e leggende, a falsare la storia. Oggi, non è più così. Oggi possiamo parlare del terrorismo angloamericano e della guerra ai civili che le aviazioni statunitensi e britanniche pianificarono contro il popolo italiano perché venisse moralmente abbattuto, rendendo impossibile ogni resistenza e perché si inginocchiasse a chiedere una pace, qualsiasi pace, anche la più umiliante. A Bacugno ricordiamo i caduti della RSI e le vittime innocenti di quei criminali di guerra. Domani saremo a Poggio Bustone, a Morro Reatino, a Configni, a Leonessa, ovunque via sia una storia da raccontare. Perché noi non dimenticheremo. Mai».

 

Ufficio Stampa

Comitato Pro 70° Anniversario

della RSI in Provincia di Rieti

Da un amico lettore ho ricevuto una mail dalla quale estrapolo alcune notizie: <(…) Il Pontefice (Papa Francesco (nda) ha poi affrontato il delicato tema delle persecuzioni razziali ai danni dei pentecostali, quasi come fossero dei pazzi che rovinavano la razza, c’erano anche dei cattolici e vi chiedo perdono per quei fratelli e sorelle cattolici che non hanno capito e sono stati tentati dal diavolo>. Ha detto Bergoglio riferendosi a una disposizione del regime fascista poi confluita nelle leggi razziali. Prima di andare avanti, osservo: Papa Bergoglio è un Pontefice, quindi gode – o dovrebbe godere di un potere divino – l’infallibilità. Ė così? Invece no!

Andiamo avanti.

Premessa essenziale: quanto ho avuto modo di leggere e ascoltare in materia, e continuamente, in questi anni, non mi aiuta a trovare quella fonte di speranza che tuttavia vado cercando.

Provo a spiegarmi. Ricordo che anni fa l’ex Papa Benedetto XVI si recò in visita ad Auschwitz e, almeno a me, ha mostrato un aspetto della pietà (quella che dovrebbe essere) la pietà cristiana, perlomeno distorto. Infatti mi parve che l’espressione del volto del Sommo Pontefice lungo il vialone del lager fosse artificioso, non sentito. Inoltre, per incrementare ancor più il pathos del momento, aveva invocato Iddio con queste parole: <Dove eri mentre accadevano questi avvenimenti?>. Anche se non sono un teologo, mi sembra che questa invocazione sia uno po’ blasfema, perché, se ben ricordo, la dottrina della Chiesa insegna che l’operato di Dio è imperscrutabile, cioè vale come dogma. E ancora, perché questa invocazione non venne e viene estesa anche in merito ai moderni lager, come quella di Quantanamo, o alle prigioni degli americani in Iraq o in Afganistan? O perché non ricordare le tante atrocità commesse dai vincitori delle guerre del XX Secolo? Perché mai abbiamo visto un Pontefice inginocchiarsi accanto alle tombe dei mille e mille seminaristi, suore o semplici sacerdoti assassinati, nel corso della guerra civile di Spagna, dai miliziani rossi? Con la massima reverenza, Santo Padre, perché non chiede “dove era Dio?” quando i titini gettavano uomini, donne e bambini, nelle foibe? E i gulag? Non vorrei che queste invocazioni non furono espresse perché “non politicamente corrette”.

Ecco, fra i tanti, i miei dubbi: le mie pur scarsissime capacità intellettuali mi fanno pensare che Papa Benedetto XVI avesse il dovere di essere vicino ai deboli, ai perdenti: esattamente il contrario di come è avvenuto, e come, ancorate oggi, avviene.

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Assemblea Costituente e non riforme solo strumentali
Molti lettori, che seguono regolarmente il bollettino del CESI, hanno chiesto perché Il Sestante non sia uscito nel corso del mese di luglio. La ragione è presto detta: il dibattito politico-parlamentare quotidiano e i commenti da parte dei mass media sono stati così superficiali, oppure così incerti (spesso equivoci) che non era possibile trarre indirizzi oppure giudizi adeguati e ciò per la valutazione delle problematiche costituzionali ed istituzionali nonché di quelle riguardanti la politica sociale ed economica. Ciò è tanto vero e significativo che la maggior parte degli studiosi di tali questioni si è trattenuta dall’esprimersi malgrado la quasi quotidiana pubblicazione di documentazioni e dati estremamente significativi riguardanti l’aggravamento della crisi sistemica in atto.
Il CESI si riserva di pubblicare più avanti le sue valutazioni riguardanti le questioni sociali ed economiche (e lo farà insieme con la segnalazione dei dati rilevati dalle fonti più autorevoli), esponendo altresì le indicazioni alternative ritenute adeguate alla loro risoluzione. Il nostro Centro Studi ritiene invece improcrastinabile effettuare, a conclusione del mese di luglio, una approfondita analisi riguardante la maniera e la pericolosità delle cosiddette “riforme costituzionali” così superficialmente e strumentalmente oggetto in queste settimane del dibattito parlamentare e di quello politico in corso tra gli schieramenti che si confrontano. Gli argomenti, così acutamente qui di seguito presentati dal Vicepresidente del CESI, prof. Franco Tamassia, conducono a previsioni affatto ottimistiche pur nella speranza che si presenti una via di uscita costruttiva ad opera di quegli italiani che abbiano coscienza della situazione, coraggio di affrontarla in maniera radicale (e senza il fragoroso vociare dei velleiarismi renziani). Ormai non è più tempo di fare distinzioni tra i giudizi espressi da differenti appartenenze ideologiche o di schieramento quando essi sono illuminanti.
Per tutti citiamo quanto scrive il prof. Piero Ignazi sull’editoriale di Repubblica di giovedì 24 luglio: «Il nostro Paese ribolle di frustrazione ed aspetta un segnale in positivo, dal governo per scrollarsi di dosso apatia e rassegnazione e rimettersi in moto; ma anche in negativo, da qualcuno o qualcosa che accenda la miccia dell’esasperazione sociale. Se la speranza scolora in illusione, allora monta la rabbia. Le precondizioni per lo scatenarsi di un movimento sociale in forme anche aggressive ci sono tutte». Dopo aver osservato che malgrado «i riflettori in questi giorni … [siano] puntati sulle riforme istituzionali» il prof. Ignazi dice che «l’enfasi che il governo pone su questo provvedimento è inversamente proporzionale sia all’interesse dell’opinione pubblica che agli effetti “immeditati” sulla vita delle istituzioni e dei cittadini». Ciò nonostante il prof. Ignazi spera che vi siano risultati tangibili in futuro anche se «rimane in agguato un cambio radicale di umore con un passaggio alla sfiducia e persino al ribellismo».
Da parte nostra invece speriamo che vi sia una forza politica capace di organizzare menti e militanti per l’indizione di una Assemblea Costituente che preveda non un bicameralismo ripetitivo, ma un vero bicameralismo perfetto, ossia differenziato nei compiti e nella base rappresentativa. (g.r.)

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Sempre più diffusa la richiesta di un radicale cambiamento. Le riforme: pretesto per sopravvivere e strumento di secessione di Franco Tamassia. 1. La doppia natura del processo riformistico; 2. L’elettività dei cosiddetti Senatori; 3. Rappresentanza paritaria o per entità demografica; 4. Il mito della stabilità; 5. La minaccia delle elezioni anticipate; 6. La Costituente; 7. Meglio niente che queste riforme?

Clicca qui per scaricare il bollettino completo

Sabato 2 Agosto 2014

alle ore 19:00

presso il Circolo “Barbarigo”

in Via Baccarini, 10 – Anzio

alla conferenza del

  1. Pietro Cappellari

La Guardia della Rivoluzione

La Milizia fascista nel 1943:

crisi militare – 25 Luglio – 8 Settembre – Repubblica Sociale

 Info:

https://www.facebook.com/events/1432496273705287

da Il Giornale d’Italia

“Ancor oggi non si sa da dove venisse e chi fosse realmente Mario Lupo, se questo fosse il suo vero nome o, come in molti sostengono, solo un nome di copertura” Così lo storico nettunense Pietro Cappellari, autore di importanti studi sulla guerra civile nel reatino, racconta Mario Lupo, importante protagonista della resistenza sui monti di Rieti nel ’43-’44.

Detto il “partigiano azzurro” perché ufficiale del Regio Esercito, Lupo aveva aderito al movimento clandestino e, nell’inverno 1944 aveva animato un folto gruppo combattente che aveva acquistato subito notorietà sia tra la popolazione sia tra tedeschi e la Guardia Nazionale Repubblicana. Poi, alla fine di marzo dello stesso anno, la scomparsa sul confine tra Lazio ed Umbria. E l’oblio.

Dott. Cappellari, chi è Mario Lupo?

“Certamente è stato il Comandante partigiano più importante del Reatino”.

Qual è stato il suo ruolo nella resistenza in Lazio e Umbria?

“Dopo lo sbarco angloamericano a Nettunia (22 Gennaio 1944), si diffuse l’idea che la fine della guerra fosse ormai questione di giorni. Per questo le decine di renitenti alla leva della RSI e gli “sbandati” del post-8 Settembre del Regio Esercito – che fino ad allora erano vissuti alla macchia senza intraprendere nessuna iniziativa – decisero di entrare in azione. Questo in tutta Italia, provincia di Rieti compresa. Si poteva contare su due cardini: il prossimo arrivo degli Alleati e la fragilità strutturale dei presidi di montagna della GNR che, essendo isolati, non potevano in nessun modo essere difesi (e finirono per essere il bersaglio privilegiato ed esclusivo della guerriglia). E’ infatti nel Febbraio 1944 che inizia l’attività di quella che sarà la cosiddetta banda “Lupo”, dal nome del suo Comandante, Mario Lupo per l’appunto. Nel Marzo seguente sarà a questa unità che si attribuiranno le varie azioni partigiane che si ebbero a contare – sempre con maggiore frequenza – nell’Alto Reatino, a Nord di Rieti, nel settore di Rivodutri. Tra queste anche la strage di Poggio Bustone (10 Marzo 1944) quando – lungi dal verificarsi la famosa “battaglia” che la vulgata antifascista ci propina da decenni – ben tredici uomini della RSI (tra cui il Questore di Rieti) vennero fucilati dopo che si erano arresi e avevano deposto le armi. Tuttavia, le responsabilità della strage sono da addebitarsi ad elementi comunisti sconfinati dal Ternano, giunti in paese dopo l’intervento armato della banda “Lupo”. Ecco, il nocciolo della questione: il ruolo dei bolscevichi di Terni nell’organizzazione della guerriglia nel Reatino. Perché qui si entra nel mistero più completo: del resto, Mario Lupo – che comunista non era e, probabilmente, per via del suo essere un Ufficiale del Regio Esercito, era un monarchico – non gradiva essere assorbito e comandato dagli “ultimi arrivati” che, proprio nel Febbraio 1944, stavano allestendo quella che passò alla storia con il nome di Brigata “Gramsci”. Abbiamo detto mistero, perché Mario Lupo non ebbe la possibilità di dire nulla a tal proposito, “scomparendo” improvvisamente, senza lasciar traccia di sé, durante il grande rastrellamento italo-tedesco del 31 Marzo – 4 Aprile 1944. Un’operazione di bonifica che mise fine alla neonata Resistenza reatina (senza, per altro, sparare un solo colpo: il “conto” fu pagato essenzialmente dalla popolazione civile travolta dal rastrellamento)”.

Nessuna notizia dal marzo 1944: morto o semplicemente sparito?

“Il mistero è tutto qui. Per i responsabili della Brigata “Gramsci”, Mario Lupo si era salvato, ripiegando verso Nord e lasciando per sempre la provincia. Una ricostruzione che ha dell’incredibile che, infatti, fu affiancata da una più “solida” – almeno per l’immaginario collettivo – che narrava della morte in combattimento. Tuttavia, anche questa “soluzione” mostrava tutta la sua inconsistenza all’esame dei documenti e delle testimonianze disponibili. Ma la “storia” – di certo – l’avrebbe scritta il PCI e, di conseguenza, nessuno trovò nulla da obiettare nelle contraddittorie ricostruzioni dei fatti, anche perché Mario Lupo – incredibilmente – scomparve subito non solo fisicamente, ma anche dalla memoria collettiva. Di lui non si parlò più. Punto e basta. Non fu mai riconosciuto partigiano della “Gramsci” (lui che era stato il più importante Comandante della Resistenza reatina e che, a detta dei comunisti, aveva accettato la subordinazione alla Brigata “rossa”). Non venne – altrettanto incredibilmente – nemmeno inserito tra i caduti (sebbene in quei giorni, per infoltire le schiere dei “martiri della libertà”, si insignirono della prestigiosa e remunerativa qualifica di “caduto partigiano” anche semplici civili e fascisti repubblicani che mai nulla avevano avuto a che fare con la guerriglia!). Niente, Mario Lupo doveva essere dimenticato. Per sempre. Perché? La soluzione del mistero sta tutta qui. Ancor oggi non si sa da dove venisse e chi fosse realmente Mario Lupo, se questo fosse il suo vero nome o, come in molti sostengono, solo un “nome di copertura”. Non è probabilmente un caso se durante il processo ad alcuni partigiani accusati della strage di Morro Reatino (19 Maggio 1944), si disse che Mario Lupo fosse stato ucciso proprio dai comunisti perché non avrebbe mai accettato l’uccisione indiscriminata di persone innocenti come gli era stato proposto. Ma nulla fu possibile appurare, ovviamente”.

Dai processi del dopoguerra sulle esecuzioni della “Gramsci”, emerge il nome di una donna sua amante e che sarebbe ancora in vita. Di chi si tratta?

“Si tratta della partigiana Gianna Angelini, all’epoca una maestra elementare di Vallunga di Leonessa, che fuggì sulle montagne per amore di un partigiano. Durante un interrogatorio sostenne che, nel Marzo 1944, era fidanzata con Mario Lupo”.

Secondo lei Gianna Angelini potrebbe essere a conoscenza della sorte dell’ ufficiale?

“A tanti anni di distanza, con la scomparsa di tutti i protagonisti di quel periodo, ancora nulla è possibile dire sulla sorte di Mario Lupo. E’ evidente che la “consegna del silenzio” che si sono imposti i comunisti è stata granitica e non ci vuole poi molto a comprendere il perché. Certo, se fosse vero che Gianna Angelini fu la fidanzata di Mario Lupo, chi meglio di lei potrebbe contribuire a dipanare il mistero che da settanta anni avvolge la figura dello “scomparso” Comandante partigiano? Ma dubito che il sole della verità potrà mai illuminare questa pagina nera della Resistenza”.

Ho ricevuto una mail dal Direttore de Il Popolo d’Italia, contenente l’indirizzo di un link http://ceifan.org/bfale_sul_fascismo.htm a firma del dott. Pasquariello Domenico. Evidentemente il Direttore mi ha inviato detto allegato per intervenire e contestare le tante bufale contenute nell’articolo a firma appunto del dott. Pasquariello (Lei dottor Pasquariello sarebbe stato bocciato da Carducci perché prima va indicato il nome e solo dopo il cognome). Solo come esempio, il dott. Pasquarielo contesta addirittura l’esecuzione dei lavori di bonifica delle paludi, scrivendo: <Addirittura i primi lavori furono eseguiti da i Volsci (intono al VI secolo a. c.) i quali riuscirono ad assicurare la disciplina delle acque per cui la zona divenne prosperosa e fertile (????). Mussolni, quindi, non ha avviato un bel niente>. A chi vanno addebitate allora le decine e decine di migliaia di morti per malaria che quelle paludi regalavano ai lavoratori del luogo? Ci illumini, dottor Pasquariello, che significa <superare gli aspetti parzial della bonifica per addivenire ad un intervento complessivo di “bonifica integrale”>? Ha mai sentito parlare di un certo Arrigo Serpieri?. Tutto l’articolo è un susseguirsi (scusate l’espressione) di stronzate del genere. E’ proprio vero, ma qualcuno ha scritto che la peggior colpa del fascismo fu di aver dato vita all’antifascismo.

Dovrei rispondere con un mio articolo a scemenze e cattiverie del genere? Mi accingerò a presentare solo una serie di citazioni di personaggi al di sopra di ogni sospetto. Un articolo che contesta quanto scritto dal dottor Pasquariello, ma per fare un lavoro del genere avrò bisogno di più spazio. Posso proporre già da ora il titolo I Danni del Fascismo. Dato che di danni il fascismo ne ha fatti tanti, il Direttore mi dovrà accontentare.

Come anticipazione cito Pio XII (Papa Pacelli), egli ha scritto nel 1952: <Mussolini è il più grande uomo da me conosciuto, e senz’altro fra i più profondamente buoni, al riguardo ho troppe prove per dimostrarlo>. Prego il lettore d tener presente che le citazioni riguardano alcune asserzioni del dottor Pasquariello, quindi sono citazioni mirate a confutare quanto da lui scritto. Il Capo di Stato francese Raimond Poincaré nel 1926: <Non si può dimenticare che alla vigilia del giorno in cui il Fascismo (chiedo venia al dottor Pasquariello, ma l’Effe maiuscola di Fascismo è così nel testo) s’impossessò del potere, l’Italia era sull’orlo dell’abisso. La rivoluzione spuntava in tutta la penisola. Il governo mancava di forza. Si disobbediva alle leggi, non si rispettava la giustizia. Si deve convenire che la disorganizzazione venne scongiurata dalla politica di Mussolini, che elevò l’influenza italiana in Europa, ed accrebbe davanti al mondo la figura e l’autorità dell’Italia. Così Mussolini serve sicuramente bene la sua Patria. Sarebbe una pazzia rimproverarlo>.

Non so se il dottor Pasquariello è d’accordo con alcuni validissimi studiosi i quali attestano che la crisi congiunturale nata nel 1929 era più grave di quella che stiamo vivendo. Ebbene, nel 1934 (XXII E.F.) una volta eletto Franklin D. Roosevelt inviò Rexford Tugwell e Raymond Moley due fra i più preparati uomini del Brain Trust (cervelloni) in Italia per studiare il miracolo italiano. Non si incazzi, dottor Pasquariello, ma allora i miracoli erano targati Mussolini. Ecco come lo storico Lucio Villari ricorda l’episodio tratto dal diario inedito di Tugwell in data 22 ottobre 1934:<Mi dicono che dovrò incontrarmi con il Duce questo pomeriggio (…). La sua forza e intelligenza sono evidenti COME ANCHE L’EFFICIENZA DELL’AMMINISTRAZIONE ITALIANA, E’ IL PIU’ PULITO, IL PIU’ LINEARE, IL PIU’ EFFICIENTE CAMPIONE DI MACCHINA SOCIALE CHE ABBIA MAI VISTO (…)>. Ecco, immagino che a seguito di queste affermazioni il dottor Pasquariello sia colpito da uno stinnicchio. Ma l’assicuro non fui io ad inviare Tugwell e Moley in Italia, ma i suo padrone Franklin D. Roosevelt.

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