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Nella parte finale della “Preghiera del Legionario” è inserita questa invocazione all’Onnipotente, ma Iddio non ha ritenuto opportuno non salvare né il Duce, né l’Italia. E siamo nella “cacca”.

Così, anche se nel “mai sufficientemente deprecato, infausto Ventennio” (Va bene questa condanna, Presidente Napolitano?) furono compiuti dei veri miracoli, ma “la sua condanna deve essere severa e definitiva” (mi auguro che anche questa sentenza vada bene, Signor Presidente, oppure non è suficiente?).

Anche se la risposta sarebbe ovvia, come vedremo più avanti, desidero aprire un solo spicchio di quel Ventennio (da incubo è ovvio. E inizio. Molti economisti e storici (così si fanno chiamare) attestano che la famosa crisi congiunturale iniziata nel 1929 fosse peggiore di quella che stiamo vivendo in questi anni. Con la Carta del Lavoro (derivazione della Carta del Carnaro) per la prima volta nel mondo, venivano fissati dal truce tiranno, i cardini del rapporto fra lavoro, produzione ed economia nazionale. Premessa essenziale per giungere alla Socializzazione dello Stato.

Se a causa della crisi internazionale, appunto del 1929, nei Paesi ad economia liberale i suicidi per la disperazione si contavano a decine (oggi in Italia sono centinaia), nel Paese governato dalla perfida tirannia fascista la congiuntura veniva superata senza eccessivi drammi. Mentre Franklin Delano Roosevelt eletto Presidente degli Stati Uniti a marzo del 1933, periodo nel quale un americano su quattro era disoccupato in Italia veniva concepito l’IRI, Istituto con il quale vennero gettate le premesse dello Stato imprenditore così da definire le linee di demarcazione  tra l’area pubblica e quella privata. Tutto questo mentre l’Italia era impegnata  nei grandi lavori e poteva lamentare solo 403 mila disoccupati, dei quali almeno la metà a carattere stagionale: cifra trascurabile se consideriamo che, ad esempio, la Gran Bretagna ne lamentava un milione e mezzo, la Germania era giunta a sei milioni e mezzo.

Possiamo tranquillamente riportare un pensiero di Pino Rauti (Le idee che mossero il mondo, pag 326) <L’Italia più che uno Stato del vecchio continente  era una meschina provincia in una grande Europa ma dettava leggi al mondo). Tornando a Roosevelt, ricordiamo che questi aveva impostato la campagna elettorale  all’insegna del New Deal, ossia un vasto intervento statale in campo economico, in altre parole proponendo un’alternativa al liberismo capitalista. Una volta eletto, Roosevelt (E QUESTO NEL DOPOGUERRA FU ACCURATAMENTE CELATO; E I MOTIVI SONO OVVII) inviò nel 1934, in Italia Rexford Tugwell e Raymond Moley, due fra i più preparati uomini del Brain Trust (“cervelloni”), per studiare il miracolo italiano. In merito lo studioso Lucio Villari osserva: <Tugwell e Moley, incaricati alla ricerca di un metodo di intervento pubblico e di diretto impegno dello Stato, ne colpisse la degenerazione e trasformasse il mercato capitalistico anarchico, asociale e incontrollato, in un sistema sottoposto alle leggi e ai principi di giustizia sociale e insieme di efficienza produttiva>.

Roosevelt inviò Tugwell a Roma per incontrare Mussolini (il Truce) e studiare da vicino le realizzazioni del Fascismo. Ecco come Lucio Villari ricorda l’episodio, tratto dal diario inedito di Tugwell in data 22 ottobre 1934 (anche l’Economia Italiana tra le due Guerre ne riporta alcune parti, pag. 123): <Mi dicono che dovrò incontrarmi con il Duce questo pomeriggio… La sua forza e intelligenza sono evidenti COME ANCHE L’EFFICIENZA DELL’AMMINISTRAZIONE ITALIANA, È IL PIU’ PULITO,IL PIU’ LINEARE, IL PIU’ EFFICIENTE CAMPIONE DI MACCHINA SOCIALE CHE ABBIA MAI VISTO> Esattamente come oggi in regime di democrazia antifascista)….

Il documento relativo a questo contattto Mussolini-Roosevelt, ci fa sapere Villari, è custodito in copia nell’Archivio Jung, il cui originale, come il diario inedito di Tugwell, si trova nella Roosevelt Librery.

Nel 1933 Roosevelt emanò il First New Deal, il Second New Deal venne firmato nel 1934-1936. Quindi fu Franklin D. Roosevelt a istituire il Social Security Act, una legge che introduceva, nell’ambito del New Deal., indennità di disoccupazione, di malattia e di vecchiaia. Contemporaneamente nacque anche il programma Aid to Family with Dependent Children (Aiuto alle famiglie con figli a carico). Glielo facciamo sapere al Signor Presidente Giorgio Napilitano che tutti questi provvedimenti avevano già visto la luce in Italia al tempo del Ventennio fascista? Chiedo venia, dovevo scrivere: al tempo dell’infame Ventennio fascista, ma sapete avevo trascurato di ricordare che il nostro Presidente era un iscritto ai GUF (Gruppi Universitari Fascisti) e osannava, su varie riviste, il Fascismo e il suo Capo.

Torniamo al New Deal di Roosevelt: subito dopo l’emanazione di queste leggi, sotto la spinta del grande capitale, la Corte costituzionale degli Usa decretò l’incostituzionalità di alcune di queste leggi. Da questo momento Italia e Usa presero, non solo economicamente, strade diverse.

A questo punto è opportuno ricordare quanto ebbe a dire Bernard Shaw nel 1937: <Le cose da Mussolini già fatte lo conducano prima o poi ad un serio conflitto con il capitalismo>. Non si dovranno attendere molti anni prima che la profezia del celebre scrittore si avveri. Non a caso di fronte alla confermata crisi del liberismo e delle utopie del marxismo, un autorevole personaggio democratico inglese Michael Shanks, già direttore della Commissione Europea degli Affari Sociali, nonché presidente del Consiglio dei Consumi, indica nel suo libro “Wath is the wrong with the modern World?” che <Non c’è alternativa: o lo Stato Corporativo o lo sfascio dello Stato>.  D’altra parte lo stesso Gaetano Salvemini, circa la validità della proposta corporativa mussoliniana, ha attestato: <L’Italia (attenzione, amico lettore parliamo del periodo dell’”infame Ventennio!!!!) è diventata la Mecca degli studiosi della scienza politica, di economisti, di sociologi, i quali si affollano per vedere con i loro occhi com’è organizzato e come funziona lo Stato Corporativo fascista (…)>. E ancora; J.P. Diggins (L’America, Mussolini e il fascismo, pag. 45) ha scritto: <Negli anni Trenta (attenzione! Stiamo parlando degli anni della più pesante crisi congiunturale) lo Stato corporativo sembrò una fucina di fumanti industrie. Mentre l’America annaspava, il progresso dell’Italia nella navigazione, nell’aviazione, nelle costruzioni idroelettriche e nei lavori pubblici offriva un allettante esempio di azione diretta e di pianificazione nazionale. In confronto all’inettitudine con cui il Presidente Hoover effrontò la crisi economica, il dittatore italiano appariva un modello di attività>.  La liberale e antifascista Nation arrivava ad auspicare un Mussolini anche per gli Stati Uniti.

Per fare un dispettuccio ad un Signore, già citato in questo articolo, riportiamo due giudizi (attenzione di nuovo: di simili giudizi ne potremmo citare mille e mille), addirittura di Winston Churchill, nel 1933: <Il genio romano  impersonato da Mussolini, il più grande legislatore vivente, ha mostrato a molte nazioni come si può resistere all’incalzare della crisi>. E nel 1947: <Le grandi strade che egli tracciò resteranno un monumento al suo prestigio persoanale e al suo lungo governo>.

Concludo ponendo una domanda: “se tutto ciò è vero, PERCHE’ i nostri politicastri non studiano quanto fu fatto in “quel periodo” e vedere se alcuni punti possono essere riproposti oggi? La risposta sarebbe ovvia: perché i nostri “politicastri” pensano solo ad arricchirsi e se ne fregano altamente del popolo italiano; al contrario dell’”infame tiranno”.

Questo articolo è dedicato ai grandi falsificatori della Storia e ci riferiamo principalmente a RAI STORIA.

Terminiamo con alcune osservazioni storiche dell’amico Alessandro Mezzano.

 

QUANDO C’ERA IL FASCISMO.. di Alessandro Mezzano

-Quando c’era il Fascismo la mafia era dovuta fuggire in America.

-Quando c’era il Fascismo i ragazzi non si drogavano.

-Quando c’era il Fascismo le città erano sicure.

-Quando c’era il Fascismo la scuola italiana era ai primi posti nel mondo.

-Quando c’era il Fascismo non ci si doveva vergognare di essere italiani.

-Quando c’era il Fascismo il potere non era corrotto e non corrompeva.

-Quando c’era il Fascismo non c’era il “Paese”, ma la Patria.

-Quando c’era il Fascismo anche i figli degli operai andavano nelle colonie al mare o in montagna.

-Quando c’era il Fascismo non c’erano né tante auto blu, né tanti stipendi e pensioni scandalose come oggi.

-Quando c’era il Fascismo c’era l’orgoglio di essere onesti e non, come oggi, quello di essere “furbi”.

-Quando c’era il Fascismo le grandi crisi economiche ( 1929 ) si affrontavano così bene che dal resto del mondo

venivano in Italia per vedere come avevamo fatto ..!

-Quando c’era il Fascismo l’Italia era ammirata e invidiata in tutto il mondo come dimostrano i giornali dell’epoca.

-Quando c’era il Fascismo non c’era questa casta politica infame, disonesta, corrotta, mafiosa e sporcacciona ..!!

E Filippo Giannini aggiunge: -Quando c’era il Fascismo quanto accaduto sabato 3  maggio scorso, a seguito della partita Napoli Fiorentina, sarebbe stato semplicemente impensabile.

Ecco perché nell’altro secolo le più potenti lobby si coalizzarono per abbattere il Fascimo.


In occasione del 69° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale in Italia (2 Maggio 1945), circa 500 persone si sono riunite al Campo della Memoria di Nettuno (Roma) per rendere gli onori militari agli ultimi combattenti italiani di quel conflitto, quelli della Repubblica Sociale Italiana.
La manifestazione, organizzata dal Dott. Alberto Indri, ha visto la partecipazione delle bandiere di guerra e dei labari dell’Unione Nazionale Combattenti della RSI, dell’Associazione Nazionale Combattenti X MAS – RSI, dell’Associazione Nazionale Combattenti Italiani di Spagna, dei Volontari di Guerra (Sezione “Enrico Toti” di Roma, Federazione “Annibale Noferi” del Carnaro e Federazione “Giovanni Grion” dell’Istria) e dell’Associazione Nazionale Rimpatriati e Reduci d’Africa Sezione “Ten. Alessandro Del Rio” di Latina. Presenti anche le delegazioni ufficiali dell’Ordine dell’Aquila Romana, dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia e dell’Associazione Nazionale Arditi d’Italia, nonché gli ultimi reduci della RSI che, con la loro presenza, hanno inteso trasmettere il testimone dell’Ideale ai numerosi giovani presenti. Ha partecipato alla manifestazione anche l’On. Mario Borghezio che, in questi ultimi giorni, ha chiesto ufficialmente al Governo italiano di desecretare gli atti relativi alle stragi partigiane compiute in Istria, sulle quali ancor oggi vige un vergognoso silenzio. Si tratta di crimini contro l’umanità che non temono paragoni, ai quali le democrazie occidentali hanno concesso una scandalosa indulgenza. E’ giunta l’ora di fare chiarezza e denunciare, davanti alla storia, i responsabili del genocidio del popolo italiano in Istria e Dalmazia.
La cerimonia religiosa nell’antico rito latino è stata solennemente celebrata da un Sacerdote della Fraternità San Pio X che ha elogiato l’alto spirito patriottico in difesa della Madre Patria dimostrato dai combattenti della RSI e ha spronato i presenti a non dimenticare il loro sacrificio, ad ereditare i loro valori e a difendere la Santa Messa tradizionale, come retaggio storico dell’unica religione universale del popolo italiano.
Sulle note della Preghiera del Legionario si è conclusa l’imponente manifestazione patriottica in ricordo di coloro che, 70 anni fa, scelsero la via dell’onore, combattendo per la libertà dell’Italia.

Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario
dello Sbarco di Nettunia

Nel 69° Anniversario della morte, l’Istituto Biggini ricorda Benito Mussolini Duce d’Italia con un scritto profetico uscito sul Popolo d’Italia n. 152 del 1920 scritto dallo stesso Mussolini e riportato da Dino Campini nel libro Piazzale Loreto. Riproponiamo inoltre, il pensiero scritto da Biggini nel suo diario del’11 giugno 44 su Mussolini.
Camerata Benito Mussolini PRESENTE

Dal libro Piazzale Loreto, di Dino Campini le parole di Benito Mussolini riferite al linciaggio del brigadiere dei carabinieri Ugolini: “Veramente la storia italiana non ha episodi così atroci come quello del Piazzale Loreto. Nemmeno le tribù antropofaghe infieriscono sui morti. Bisogna dire che quei linciatori non rappresentavano l’avvenire, ma i ritorni all’uomo ancestrale (che forse, era moralmente più sano dell’uomo civilizzato). Né giova ributtare sulla guerra l’origine unica di questa ferocia. I linciatori di Piazzale Loreto non videro mai una trincea: si tratta di imboscati o di minorenni che non hanno fatto la guerra. I reduci di guerra sono, in genere, alieni dalle violenze.

D’altra parte, ci si domanda se la dottrina socialista abbia un qualche potere di redenzione o non abbia invece un potere gravissimo di imbestiamento”

Estratto dai diari di Carlo Alberto Biggini:

 

 

 

La foto con dedica che Mussolini ha donato a Carlo Alberto Biggini, a testimonianza della grande stima ed amicizia esistente tra i due:

da Il Giornale d’Italia

“Nessuna ingratitudine, nessuna crudeltà umana potranno più raggiungere Benito. Così avrà dato tutto all’Italia, persino la sua vita”

“Così passano le ore in un indicibile tormento, poi le notti, i giorni vedendo solo barbarie fratricida. Ad un certo momento, che non saprei precisare, veniamo fulminati dalla notizia, trasmessa alla radio, del massacro di Dongo. ‘Giustizia è stata fatta’ commentano quelle voci, e penso che nessuna ingratitudine, nessuna crudeltà umana potranno più raggiungere Benito. Così avrà dato tutto all’Italia, persino la sua vita”. Così Rachele Mussolini racconta quelle ore del 28 aprile 1945.

“La notizia dell’omicidio di mio marito aveva distrutto in me ogni volontà. Non sentivo più i rumori dei fucili attorno alla casa. La guerra civile esplodeva ovunque. I miei figli vicino a me piangevano e i loro singhiozzi rendevano ancora più acuta la mia sofferenza; mi sforzavo di lottare contro le lacrime e il dispiacere. Le ore passavano lentamente in quell’atmosfera da incubo”. Sono ore terribili per questa donna, che già tante sofferenze ha dovuto subire. E che pure trova il coraggio di affrontare la tragedia che le ha sconvolto la vita. “L’unica cosa che mi riconforta nel dolore sono le parole di Benito: ‘Gli ideali durano e trionfano al di là della morte, quando sono amati intensamente’”.

Rachele è una donna forte, granitica. Ha vissuto tutta la vita lavorando: donna del popolo dalla nascita, donna del popolo è rimasta per tutta la vita; anche quando era “la moglie del Duce” cuciva i suoi vestiti con le sue mani, educava i suoi figli con il rigore dell’essenzialità, senza lussi, senza fronzoli. L’alta società non l’ha mai affascinata, del resto Benito aveva sempre fatto lo stesso, tutto preso dal lavoro. Gente che conosce la fatica ed il dovere, e il valore del lavoro.

Sono ore tragiche, inimmaginabili per questa donna che da sola deve affrontare un lutto tanto grande, badare a crescere i suoi figli e superare le infamità che le riserverà quel popolo che il Duce aveva sempre servito e al quale aveva sacrificato la sua stessa vita.

“Mi consultai con i ragazzi e fummo d’accordo nel porre termine a quella situazione equivoca, facendo annunciare la nostra presenza al comitato di liberazione di Como – continua a raccontare Rachele – Subito, tre uomini si presentarono per perquisire. M’imposi la calma per non far perdere il coraggio ai miei figli, ma non serbavo più illusioni sulla nostra sorte. L’ispettore esaminò attivamente le mie poche valigie mentre un giovane partigiano s’impossessava di una miniatura di Bruno che non lasciavo mai; chiaramente allettato dalla cornice che gli sembrava d’oro, gridò: ‘Questo appartiene al popolo!’. ‘Tutto appartiene al popolo – risposi io guardandolo negli occhi – ecco perché noi gli abbiamo dato sempre tutto e lui, mio figlio, ha sacrificato la sua vita’. L’ispettore intervenne e mi fece restituire la miniatura scusandosi”.

Rachele fa appello al vescovo di Como, affinché si prenda cura dei figli, ma il prelato si rifiuta di assumersi la responsabilità di ricevere in custodia Romano ed Anna Maria. I ragazzi vengono separati dalla mamma, che viene inviata in una cella del carcere femminile di Como: “Nel disordine che regnava ovunque, il mio arrivo passò inosservato; quelle donne mi guardavano appena, occupate com’erano a raccontarsi per la centesima volta la storia del loro arresto. Una sola, che mi lanciò un’occhiata stupefatta, gridò: “Voi qui?”. Con un gesto la pregai di tacere; si mise a piangere in silenzio. Di quando in quando qualche notizia dall’esterno filtrava fino a noi. Il massacro si estendeva e cresceva con una furia spaventosa. Uomini, donne, bambini, cadevano sotto i colpi degli assassini solo per essere sospettati di essere fascisti. Di tanto in tanto sentivamo risuonare nel cortile un triste appello seguito da una scarica. Poi una pausa in cui scricchiolavano le ruote di una carretta, e l’appello riprendeva. Durò tutta la notte […] In quell’inferno conservavo una calma che stupiva gli altri. Mi chiedevano: ‘Voi non piangete? Non siete stata separata da nessuno?’. Ma il dolore, quando raggiunge il culmine, toglie il sentimento alla realtà […] Visto che Benito non mi avrebbe più rivisto, la morte non mi faceva più paura, ma pensavo ai miei figli, trascinati solo Dio sa dove”.

È il dramma di una donna, una delle più coraggiose che la storia d’Italia ricordi. Che ha portato sulle spalle il peso di una storia tanto grande e che ad essa è sopravvissuta. Il destino, che muove i suoi fili a volte inspiegabilmente, ha voluto lasciarla su questa terra per molti anni ancora, forse affinché potesse raccontare quella storia ed essere prezioso punto di riferimento per chi sarebbe arrivato dopo.

Emma Moriconi

Il primo manifesto del comitato di liberazione, che non venne affisso il 26 ma dopo, era firmato da personaggi esultanti per la sconfitta delle armi italiane, non quelle della Repubblica Sociale bensì quelle di prima: affermava infatti quel proclama, ornato all’angolo del tricolore, che la vittoria dell’Italia era cominciata con la sconfitta di El Alamein. Mentre lo leggevo mi tornavano in mente quelli che avevamo perso lungo la strada della guerra. Dove dalla sorte eravamo stati, pensosi dei giuramenti consacrati dai padri, catafratti nell’atmosfera rovente delle corazze. Non erano stati, quelli, giorni senz’alba, inutili e spiccioli, dallo sgradevole sapore dell’ignavia. Non ci eravamo attardati a sparare dalle siepi nella schiena alla gente. In molte battaglie avevamo conteso all’avversario, sempre più armato di noi, il terreno a palmo a palmo, ma soprattutto fra i giardini del diavolo, i campi di mine della malefica piana che si stende a oriente della palificata di El Alamein, avevamo contrastato al nemico, in quel deserto, un granello di sabbia dopo l’altro, molti spendendo anche la loro cenere perché, arsi nei carri, il ghibli la disperdeva. Chissà, pensavo, che dalle ossa calcinate di quei soldati di El Alamein il vento dei cinque giorni che frustando le dune ne scioglie la linea pura, chissà che quel vento non sollevi fantasmi e che non stiano aggirandosi adesso intorno a questo proclama ignobile che leggo all’angolo di corso Venezia coi Bastioni. Cominciava un mondo capovolto, si stanno calpestando i codici dell’onore. Vari uomini politici si sono poi recati e continuano a recarsi a El Alamein: al vento del deserto cancellare l’affronto.

Vanni Teodorani (1916-1964) ha trascorso intensamente i 47 anni della sua breve vita vivendoli tutti all’insegna della velocità, quasi presentisse di dover fare tutto in poco tempo. Marito di Rosina Mussolini, figlia di Arnaldo, l’amatissimo e mai dimenticato fratello del Duce, giornalista, direttore del Corriere Eritreo di Asmara e Cronaca Prealpina di Varese, ha potuto vivere i dieci anni precedenti al crollo del 1945 trovandosi al centro di ogni avvenimento come testimone e spesso, specie nelle fasi più tragiche, come attore.
Dopo l’8 settembre ha ricoperto, nella Repubblica Sociale Italiana , l’ufficio di capo della Segreteria Militare del Capo dello Stato, dando valido contributo alla ricostruzione delle Forze Armate. Sottocapo di S.M. della Divisione San Marco nei laeger di addestramento e al fronte, ufficiale superiore addetto al Raggruppamento Mobile B.N. Come capo della Segreteria Militare così lo ricorda il noto sindacalista fascista Francesco Grossi: “Ci conoscemmo e colloquiammo spesso dei giorni e degli avvenimenti, nonché previsioni, corruschi che vivevamo, nei quali vendevamo fiducia più di quanta ne avessimo in proprio. Mi accadeva talvolta di avere da Vanni la prova della concretezza di mie intuizioni sulle prospettive future delle sorti finali della RSI. Vanni era di casa a Villa Feltrinelli, quindi informato….non loquace però…… anzi riservato. Da questa vigilata riservatezza traevo convincimento alle mie apprensioni”.
In quegli anni come in precedenza Teodorani svolse molte missioni per il Duce, entrandone in devota dimestichezza. Mussolini lo adoperò in missioni di fiducia in Italia e all’estero, nelle Forze Armate, nelle organizzazioni universitarie e in quelle di Partito. In questa attività ebbe lunghi e frequenti contatti con il suo Capo e congiunto servendolo sempre con assoluta sincerità e leale disinteresse al punto tale da provocare su di sé assai spesso il risentimento di personaggi autorevoli dello Stato, del Governo e del Partito.

Il novantesimo anniversario della Marcia su Roma è l’occasione migliore per fare un confronto tra l’Italia che prese il via da quell’evento storico, e l’Italia di oggi, piegata dalla corruzione e dalla crisi del lavoro giovanile.

Incominciamo, dunque, dalla corruzione. Rifacendomi ad una segnalazione inviatami a suo tempo dall’amico Filippo Giannini, vorrei ricordare che poco tempo dopo il crollo del Fascismo e la fine della seconda guerra mondiale, per ordine dei “liberatori” (dietro ai quali, ovviamente, erano la grande finanza e il capitale internazionale) ci fu imposta una Commissione parlamentare incaricata di indagare su gerarchi, prefetti, alti funzionari di Stato circa loro ipotetici “illeciti arricchimenti” negli anni del Ventennio. La commissione parlamentare era presieduta da un illustre uomo politico comunista, Umberto Terracini.

Vennero inquisiti 5005 fra gerarchi, alti funzionari, prefetti che avevano svolto attività nel corso del Ventennio. Lo scopo, era ovvio: squalificare il Fascismo in modo definitivo, dimostrando la corruzione del sistema.

Grande fu lo scorno quando, dopo mesi e mesi di indagini, condotte in un clima di accanita caccia al fascista, non uno solo degli inquisiti risultò penalmente perseguibile. Quando questa vicenda si stava concludendo, sui giornali dell’epoca apparve una scritta esultante: “Trovato il tesoro di Italo Balbo”. Si trattava di una cassetta riposta in una banca a nome, appunto, del grande trasvolatore. Quando gli inquisitori andarono ad aprire il “tesoro” vi trovarono solo la “Sciarpa Littoria”, assegnata a Balbo per la trasvolata atlantica.

Il Fascismo fu una sorta di religione, un modo di vivere che la generazione di oggi non potrebbe comprendere. Questa generazione naviga nella corruzione e nelle menzogne più sfrenate, l’una e le altre necessarie per confondere le idee del popolo e continuare, così, a ingannarlo e tradirlo, unico modo perché l’attuale classe politica (oggi giustamente definita “casta”) possa perseverare nel latrocinio.

Durante il Ventennio fascista, almeno fino al tragico scoppio della seconda guerra mondiale – nella quale ancora oggi nessuno sa dire con certezza se sarebbe davvero stato possibile non essere coinvolti -, furono compiuti dei veri e propri miracoli. Provo a citarne un paio, per la precisione quelli che riuscirono a pacificare due grandi avversari: il lavoro e il capitale.

(altro…)

Attenzione alle contraddizioni
Se dopo il 1861 un candidato al Parlamento del neonato unitario Regno d’Italia avesse fatto campagna elettorale facendosi portatore della necessità di restaurare il Regno delle Due Sicilie sarebbe stato come minimo accusato di essere in contraddizione con se stesso (oltre, naturalmente, ad essere insultato dai borbonici e deriso dai … savoiardi).
Credo che lo stesso ragionamento si debba fare per quei candidati (e per i partiti che li propongono) i quali non vogliono che l’Italia faccia parte dell’UE oppure che esca dell’Eurogruppo e ripristini la lira. UE ed euro, allo stato dei fatti presenti e futuri, sono elementi inscindibili. Attenzione a non prendere cantonate!
Da il Corriere della Sera del 22.4.2014
Non uscita, ma sovranità sull’euro
Al Parlamento europeo si deve andare per rendere l’Italia coprotagonista effettiva nel governo del continente. La UE deve diventare una forte nazione confederata ed essere guida dello sviluppo nel mondo.
Bisogna realizzare una concreta partecipazione dell’Italia alla sovranità monetaria europea per potenziare le proprie grandi infrastrutture, mettere in sicurezza idrogeologica i propri territori, garantire conservazione e godibilità alle ricchezze artistiche, archeologiche ed ambientali;assicurare le grandi produzioni di base (per esempio acciaio, vedi disastri nelle privatizzazioni di Taranto e di Piombino);da qui attuare grandi lavori pubblici che producano efficienza e nuovi diffusi redditi necessari alla ripresa della domanda aggregata (consumi e investimenti direttamente produttivi). L’Italia, insomma, deve disporre di adeguate maggiori disponibilità di euro impiegati direttamente dallo Stato al di fuori dell’assurda regola della parità annuale del Bilancio. Solo in tal maniera sarà possibile uscire dalla crisi e riprendere il cammino dello sviluppo. (g.r.)

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO
– I modelli di Renzi portano al “politburo” sovietico. Antidemocratiche legge elettorale e riforma costituzionale di N. Mollicone
– Su una dichiarazione del Ministro dello Sviluppo. Non dimentichiamo la “funzione sociale” della proprietà di M. Bozzi Sentieri
– Le istituzioni pubbliche fra cambiamenti epocali e nuovi modelli di sviluppo.Utopia, populismo o realismo? di C. Vivaldi-Forti
– Cgil: scontro Camusso-Landini. L’inutile bisticcio nell’ambito del vetero sindacalismo di A. Scaramuzzino
– Rubrica “dibattito”. A proposito dell’analisi del ventennio berlusconiano (1994-2014) di V. Pacifici

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