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Iolanda Dobrilla

Il 23 Aprile 1944, due partigiani della banda “Manni” si presentarono a Lugnola di Configni (Rieti) in cerca della giovane capodistriana Iolanda Dobrilla. Nonostante il paese si apprestasse a festeggiare la Madonna di Loreto, gli improvvisati giustizieri decisero di agire senza indugiare oltre.

La ragazza diciassettenne, già in forza come traduttrice al Comando germanico di Velletri (Roma), aveva deciso di ritornare a casa dopo che quel Comando era stato distrutto da un bombardamento. Ma il viaggio di ritorno risultò impossibile e Iolanda si trovò “bloccata”, in quell’Inverno 1943-44, sulle montagne di Rieti, ospite di una compassionevole famiglia. Tuttavia, la sua bellezza, il suo conoscere una lingua così tanto odiata dalla guerriglia comunista, fecero nascere dei sospetti. Sospetti che nella mente di alcuni antifascisti divennero certezza: la ragazza era una “spia”. Sebbene Iolanda mai avesse dato adito a sospetti di sorta – tutti ricordarono il suo comportamento a dir poco “esemplare” – i Comandi partigiani della zona decisero la sua condanna a morte.

Per la guerriglia quello era un periodo di forte sbandamento. Dopo i grandi rastrellamenti germanici dell’inizio Aprile, la Resistenza era stata praticamente liquidata in tutta la provincia e quel che rimaneva “alla macchia” erano solo piccoli gruppi di sbandati assetati di vendetta. In questo clima maturò l’incomprensibile decisione di eliminare la ragazza. Dopo essere stata prelevata, Iolanda venne trascinata sui monti all’estremo Nord dei Prati di Sotto (le Prate di Cottanello) e qui uccisa in modo atroce. Le venne lanciata contro una bomba a mano e il suo corpo successivamente dato alle fiamme. Quel che il rogo non distrusse divenne il pasto dei maiali che pascolavano nella zona.

Le Autorità della RSI intervennero subito per cercare la ragazza, ma tutto fu vano. Anzi, la storia si macchiò di un altro drammatico fatto di sangue: il Mil. Primo De Luca che stava raccogliendo gli indizi sull’assassinio della giovane, il 9 Maggio 1944 venne catturato da alcuni partigiani e sommariamente fucilato davanti al cimitero di Vasciano di Stroncone (Terni).

Il Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti, nel settantesimo dei due drammatici fatti di sangue, ha elaborato un “percorso della memoria” perché questa storia non sia mai dimenticata. E’ stato proposto al Sindaco di Configni di dedicare due strade del Comune al ricordo del Mil. Primo De Luca e di Iolanda Dobrilla e chiesto ai Sindaci di Stroncone e di Cottanello di poter erigere sui luoghi dei due gravi fatti di sangue delle croci perenni.

«A tanti anni da questo dramma – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – si rimane stupiti davanti all’omertà diffusa e alla volontà di cancellare questa storia. Oggi si conoscono due degli autori dell’eliminazione della diciassettenne Iolanda Dobrilla: i partigiani Francesco Marasco e Luigi Menichelli. Se questa è stata una “legittima azione di guerra”, vorremmo sapere i nomi di tutti coloro che parteciparono al “beau geste” e al rogo del corpo. La storia esige che i fatti come accertati – anche in sede giudiziaria – non siano più ignorati. Proprio per questo abbiamo intenzione di portare la storia di Iolanda Dobrilla nelle scuole del Reatino, per far conoscere il passato del nostro territorio libero dai condizionamenti politici che hanno modificato la realtà dei fatti. All’odio antifascista dei “cattivi maestri” che hanno plagiato intere generazioni di studenti, opporremo l’amor di Patria, perché solo nell’amore per la propria terra si può costruire un futuro di libertà».

 

Ufficio Stampa

Comitato Pro 70° Anniversario

della RSI in Provincia di Rieti

O italiani, quale Stato vi aspettavate da una Repubblica nata dagli scenari di Piazzale Loreto?

Stato corrotto, Nazione appestata, Magistratura allineata. E non poteva che essere così.

E’ certo che i nostri legislatori (o “Padri della Patria”) non  hanno perso tempo. Gli scandali (che parola strana) sono iniziati con la nascita – sarebbe meglio dire “aborto” –  dell’Italia “liberata”.

Quanti italiani oggi ricordano il caso del principe Don Giulio Pacelli (nipote di Pio XII) e del conte Stanislao Pecci  (pronipote di Papa Leone XIII)? E siamo appena al 1947, due anni dalla tanto desiderata cacciata della “cupa tirannia”. Erano personaggi al centro di uno scandalo finanziario, risolto poi a favore dei due nobili signori – neanche a dirlo – dal giovane Giulio Andreotti.

Quanti ricordano il “Progetto Fiumicino” (primi anni 1960)? Fu un classico esempio di sperpero del denaro pubblico e di incapacità tecnica; uno dei tanti casi di lotta di potere fra uomini della Democrazia Cristiana.

Il “caso Fiumicino” era ancora all’attenzione del “Popolo sovrano” quando ecco scoppiare un nuovo scandaletto. L’ordinario di Economia Agraria di Napoli, professor Manlio Rossi Doria, denunciava un gigantesco fenomeno di “clientelismo di Stato” a favore della DC: la “Federconsorzi” aveva indebitamente incassato 1.064 miliardi (al valore di allora). L’onorevole Paolo Bonomi, presidente della “Coldiretti”, organizzazione democristiana committente della “Federconsorzi”, rimase coinvolto nella faccenda. E’ superfluo sottolineare che non solo tutto fu impantanato, ma, grazie al clima politico instaurato dagli uomini che si avvicendarono dal 1948 al Ministero dell’Agricoltura, questi riuscirono addirittura ad evitare che ulteriori operazioni si svolgessero al riparo da ogni controllo sia del Parlamento, sia del Governo, ma anche della Corte dei Conti.

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Nel 70° anniversario della scomparsa del grande filosofo, pedagogista e politico italiano Giovanni Gentile, l’Istituto Carlo Alberto Biggini, intende celebrare la figura di questo grande protagonista della prima metà del ‘900, attraverso un breve percorso di immagini e documenti. Fu proprio Carlo Alberto Biggini, suo grande allievo ed amico, a celebrare Gentile con un appassionato discorso che proponiamo integralmente, pronunciato alla radio il 23 Aprile del 1944, pochi giorni dopo l’uccisione del grande filosofo. (clicca sull’immagine per avviare il download)

Clicca sull’immagine per scaricare il discorso completo

Ripercorrere la vita di Giovanni Gentile in brevi cenni è estremamente difficile, tali e tante sono le tappe che hanno segnato il percorso umano, professionale e politico del filosofo siciliano.

Nato nel 1875, a soli 22 anni consegue la laurea presso la scuola normale superiore di Pisa, ottenendo poco dopo la sua prima cattedra.

Ottiene poi la cattedra universitaria, prima all’Università di Palermo (1906-1914, storia della filosofia), dove frequenta il circolo “Giuseppe Amato Pojero” e fonda nel 1907 con Giuseppe Lombardo Radice la rivista Nuovi Doveri. Poi all’università di Pisa (fino al 1919, filosofia teoretica) ed infine alla Sapienza di Roma (già dal 1917 professore ordinario di Storia della filosofia, e nel 1926 professore ordinario di Filosofia teoretica). È stato professore ordinario di Storia della filosofia all’Università di Palermo (27 marzo 1910), professore ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Pisa (9 agosto 1914), professore ordinario di Storia della filosofia all’Università di Roma (11 novembre 1917), professore ordinario di Filosofia teoretica alla Università di Roma (1926), commissario della scuola normale superiore di Pisa (1928-1932), direttore della Scuola Normale superiore di Pisa (1932-1943) e vicepresidente dell’Università Bocconi di Milano (1934-1944).
Durante gli studi a Pisa incontra Benedetto Croce con cui intratterrà un carteggio continuo dal 1896 al 1923: argomenti trattati dapprima la storia e la letteratura, poi la filosofia. Uniti dall’idealismo (su cui avevano comunque idee diverse), combattono insieme la loro battaglia intellettuale contro il positivismo e le degenerazioni dell’università italiana. Insieme fondano nel 1903 la rivista La Critica, per contribuire al rinnovamento della cultura italiana: Croce si occupa di letteratura e di storia, Gentile, invece, si dedica alla storia della filosofia. In quegli anni Gentile non ha ancora sviluppato il proprio sistema filosofico. L’attualismo avrà configurazione sistematica solo alle soglie della prima guerra mondiale. Nel 1915 fu membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione. fino al 1919.

Il Rettore Biggini con Giovanni Gentile all’apertura dell’anno accademico 1942, scuola superiore normale di Pisa

Sul piano politico, dopo una prima fase nella quale la sua partecipazione non è particolarmente attiva, diviene nel 1922 Ministro della Pubblica Istruzione attuando nel 1923 la riforma Gentile, fortemente innovativa rispetto alla precedente riforma basata sulla legge Casati di più di sessant’anni prima. Nello stesso anno si iscrive al Partito Fascista e nel 1925 pubblica il Manifesto degli intellettuali fascisti, in cui vede il fascismo come un possibile motore della rigenerazione morale e religiosa degli italiani e tenta di collegarlo direttamente al Risorgimento. Per le numerose cariche culturali e politiche, esercita durante tutto il ventennio fascista un forte influsso sulla cultura italiana, specialmente nel settore amministrativo e scolastico. È il direttore scientifico dell’Enciclopedia Italiana dell’Istituto Treccani dal 1925 al 1938 e vicepresidente dell’istituto dal 1933 al 1938. Nel 1928 diventa regio commissario della Scuola Normale Superiore di Pisa, e nel 1932 direttore. Nel 1930 diventa vicepresidente dell’Università Bocconi. Nel 1932 diventa Socio Nazionale della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Lo stesso anno inaugura l’Istituto Italiano di Studi Germanici, di cui diviene presidente nel 1934. Nel 1933 inaugura e diviene presidente dell’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente. Nel 1934 inaugura a Genova l’Istituto mazziniano. Nel 1937 diventa regio commissario, nel 1938 presidente del Centro Nazionale di Studi Manzoniani e nel 1941 è presidente della Domus Galilaeana a Pisa.

Giovanni Gentile

Gli ultimi interventi politici sono rappresentati da due conferenze nel 1943. Nella prima, tenuta il 9 febbraio a Firenze, dal titolo La mia religione, dichiara di essere cristiano e cattolico, sebbene creda nello Stato laico. Nella seconda, tenuta il 24 giugno al Campidoglio a Roma, dal titolo Discorso agli italiani, esorta all’unità nazionale, in un momento difficile della guerra che porterà alla fondazione della Repubblica Sociale Italiana (RSI). Dopo questi interventi si ritira a Troghi[2] (Fi), dove scrive la sua ultima opera, uscita postuma, Genesi e struttura della società, nella quale recupera l’antico interesse per la filosofia politica[3], e nel quale teorizzò “l’Umanesimo del lavoro”.

Dopo aver in un primo tempo respinto la proposta di Carlo Alberto Biggini di entrare nel Governo della nuova Repubblica Sociale Italiana, Giovanni Gentile dopo un incontro avvenuto il 17 novembre 1943 con Benito Mussolini sul lago di Garda si convince ad aderire alla RSI. Il Prof. Biggini, nel suo discorso del 23 Aprile, ricorda le parole di Gentile all’uscita dall’ufficio di Mussolini: “O l’Italia si salva con lui oppure è perduta per qualche secolo”. Quell’incontro, è inoltre descritto così dallo stesso Gentile alla figlia Teresa:

« Venne qui tempo fa un amico ministro a cercarmi, ed io dissi francamente i motivi personali e politici per cui desideravo restare in disparte. Ma egli mi assicurò che io potevo benissimo restare in disparte: ma dovevo fare una visita al mio vecchio amico che desiderava vedermi ed era addolorato di certe manifestazioni recenti, ostili alla mia persona. Negare questa visita non era possibile. Feci comodamente il viaggio con Fortunato. Ebbi il giorno 17 un colloquio di quasi due ore, che fu commoventissimo. Dissi tutto il mio pensiero, feci molte osservazioni, di cui comincio a vedere qualche benefico aspetto. Credo di aver fatto molto bene al paese. Non mi chiese nulla, non mi fece offerta. Il colloquio fu a quattr’occhi. La nomina fu poi combinata col ministro amico e portata qui da me da un Direttore generale. Non accettarla sarebbe stata suprema vigliaccheria e demolizione di tutta la mia vita. »

Proprio in virtù della sua adesione alla RSI, il 15 Aprile 1944 venne ucciso sulla soglia della sua residenza di Firenze da un gruppo partigiano fiorentino aderente ai GAP di ispirazione comunista.

Il 18 aprile fu sepolto per iniziativa del ministro Carlo Alberto Biggini nella basilica di Santa Croce a Firenze.
In occasione della ricorrenza tra il 15 e il 17 aprile 1955 all’interno della basilica fu inaugurato il primo di una serie di convegni di “studi gentiliani”.

Scrivo questo articolo in occasione della ricorrenza del terremoto che alcuni anni fa distrusse L’Aquila e ancora in stato di distruzione. Mi avvalgo di una mail inviatami da Marco (non sono autorizzato ad indicare per intero legeneralità, quindi mi avvalgo di indicare solo il nome). La mail è un insieme, forse esagerato, di esaltazioni dei miei lavori, ma assicuro il lettore che non è questo il motivo che presento detta mail, ma questa è un compendio dei miei pensieri sull’operato di Benito Mussolini. Questo è il motivo che la propongo al Direttore del giornale con il quale collaboro.

GENTILISSIMO SIG. GIANNINI ,

MI CHIAMO MARCO , HO 40 ANNI E SONO DI FRANCAVILLA FONTANA ( BRINDISI ) .

HO AVUTO IL PIACERE DI LEGGERE ALCUNI DEI SUOI BELLISSIMI LIBRI SU MUSSOLINI , OVVERO SULLA CONTROSTORIA DI MUSSOLINI .

TROVO DAVVERO INGIUSTO CHE TUTTO CIO’ CHE E’ STATO FATTO DAL DUCE NEL VENTENNIO SIA STATO CELATO PER VOLONTA’ POLITICA PERCHE’ ” SCOMODO ” E PERCHE’ IL CONFRONTO IMPALLIDIREBBE  .

TROVO CHE LA LUNGIMIRANZA  DI MUSSOLINI NEL PREVEDERE CHE SAREMMO DIVENTATI UNA ” COLONIA ”  SI E’ AVVERATA : TUTTO IL MONDO  CI HA DEPREDATO DI TUTTE LE RICCHEZZE DI CUI POTEVAMO ESSERE FIERI ( MI RIFERISCO ALLA VENDITA DI  MOLTISSIME AZIENDE INDUSTRIALI , FAMOSI   MARCHI ITALIANI … ) CEDUTI  A  STRANIERI DI TUTTO IL MONDO ; E POI  IMMIGRAZIONE NON CONTROLLATA CON CONSEGUENTE DISOCCUPAZIONE , POVERTA’, DELINQUENZA E   DECADIMENTO GENERALE DELLA NOSTRA BELLA NAZIONE UN TEMPO RISPETTATA E CONSIDERATA .

TROVO CHE L’ EGOISMO , IL MENEFREGHISMO  E GLI ARRICCHIMENTI PERSONALI DELLA POLITICA SIANO LA CAUSA DI TUTTO CIO’ .

IL LAVORO , CHE DOVREBBE ESSERE UN DIRITTO SANCITO DALLA COSTITUZIONE , NON E’ AFFATTO CONSIDERATO E LA GENTE ARRIVA ANCHE AL  SUICIDIO  PER LA MANCANZA DI ESSO , MA IN CHE MONDO SIAMO ?

VORREI TANTO VEDERE QUEI TANTI “POLITICANTI” RIMANERE SENZA UN LAVORO E VIVERE DI STENTI TUTTA LA VITA , LE PARE GIUSTO ? IL LAVORO E’ ANCHE DIGNITA’.

IO PER FORTUNA SONO UN DIPENDENTE PUBBLICO, LAVORO COME INFERMIERE A TEMPO INDETERMINATO  IN OSPEDALE E COL MIO MODESTO STIPENDIO NON POSSO LAMENTARMI , NON PRETENDO NULLA DI PIU’ .

ODIO QUESTO MODO DI ACCAPARRARSI LA RICCHEZZA A QUALSIASI COSTO E CON TUTTI I MEZZI ED ESCLUDERE LE CATEGORIE DI PERSONE ONESTE ED UMILI CHE PAGANO LE TASSE E NON HANNO NESSUN AIUTO DALLO STATO. PER NON PARLARE POI DELLE ASSOCIAZIONI CRIMINALI COME LA  NDRANGHETA E LA MAFIA CHE SE ESISTONO  E’ PER COLPA ESCLUSIVA DELLO STATO CHE HA LASCIATO PROLIFERARE SENZA BLOCCARE L’INNARRESTABILE CONTROLLO DEL TERRITORIO DA PARTE DI QUESTE BANDE  CRIMINALI CHE CON LA CORRUZIONE SOPRATTUTTO HANNO ROVINATO IN MANIERA IRREFRENABILE IL SISTEMA .

PROVO TANTO RANCORE  CHE IL CAPITALISMO , LA CORRUZIONE , IL LIBERISMO  ABBIANO PORTATO A CONSEGUENZE CHE MUSSOLINI AVEVA GIA’ PREVISTO NEGLI ANNI DEL SUO GOVERNO ( LA SUA ERA DAVVERO LUNGIMIRANZA )  .

CI SIAMO ROVINATI ANCHE  PER L’ EURO OVVERO PER LA MANCANZA DI CONTROLLO SULL ECONOMIA NAZIONALE ( SOVRANITA’ MONETARIA ) , E L’ ITALIA E’ IL PAESE DELLE OPERE INCOMPIUTE QUANDO PENSANDO AL VENTENNIO ERA TUTTO  UN CANTIERE E SI FONDAVANO CITTA’ INTERE NEL GIRO DI DUE ANNI E OPERE PUBBLICHE COLOSSALI IN POCHI MESI IN ITALIA E NELLE COLONIE ( VIENE DA CHIEDERSI MA ALLORA C’ ERA ENORME DISPONIBILITA’ DI DENARO CHE POTEVA ESSERE IMPIEGATO PER RISANARE LO STATO DELLE CARENZE DI OPERE PUBBLICHE ; QUESTO OGGI E’ IMPENSABILE  PERCHE’ LA RICCHEZZA E IL MONOPOLIO  E’ NELLE MANI DI POCHI E LA POLITICA UTILIZZA IL DENARO PER SCOPI EGOISTICI E PRIVATI CON SPRECHI DI DENARO PUBBLICO, QUEL DENARO PUBBLICO CHE MUSSOLINI DEFINI’ “SACRO” , PROVENIENTE DAL SUDORE DELLA FRONTE  E CHE MAI DOVEVA ESSERE SCIUPATO!).

PECCATO CHE NON CI SIA UNA VIA DI USCITA; FINCHE’ ESISTERA’ LA DEMOCRAZIA NON FUNZIONERA’ MAI NIENTE , E UN ALTRO MUSSOLINI NON CI SARA’ PIU’ : FARANNO DI TUTTO PER CELARE PER SEMPRE LA VERITA’ STORICA DEL VENTENNIO E I SUOI BUONI PROPOSITI ; CI VORREBBE DAVVERO UNA VERA RIVOLUZIONE MA CIO’ NON AVVERRA’ MAI, CI SONO TROPPI INTERESSI PERCHE’ TUTTO RIMANGA COSI’ COM ‘E’ …

DAI  SUOI LIBRI HO APPRESO MOLTE NOTIZIE  SCONOSCIUTE ED INEDITE , CONGRATULAZIONI. LIBRI COME I SUOI NE HO TROVATI POCHI IN GIRO, BISOGNA AMMETTERE LA VERITA’ STORICA COME FA LEI , BISOGNA ESSERE ONESTI E DI COSCIENZA; ANCHE QUESTO VOLEVA MUSSOLINI; “L’ UOMO NUOVO” INTESO COME  L’ UOMO NON CORROTTO, ONESTO, RESPONSABILE, SERIO E PRECISO … PROPRIO COME ERA LUI , LEI COSA NE PENSA?

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Mercoledì 16 aprile 2014 a Milano alle ore 21 l’AESPI, in collaborazione con l’Associazione Nazionale Volontari di Guerra, presso la sede di quest’ultima (via Duccio Boninsegna, 21-23) ricorderà la figura di Giovanni Gentile, nel 70° anniversario della morte (Gentile fu assassinato il 15 aprile 1944).
Come molti ricorderanno, al noto filosofo e grande Ministro l’AESPI dedicò un Corso/Convegno nell’ottobre 2003 (c’è ancora qualche copia disponibile degli Atti, pubblicati dalla rivista “Umanesimo del Lavoro”).
Si sollecita una partecipazione numerosa e si invita a segnalare e divulgare l’iniziativa.

Per l’AESPI: Giuseppe Manzoni di Chiosca

Il 10 Aprile 2014, nel 70° Anniversario del sacrificio per la Patria degli equipaggi degli Aerosiluranti della RSI, il Reparto di Perugia dell’Associazione Nazionale Arditi d’Italia ha reso omaggio al monumento agli aviatori dell’aeroporto perugino “San Francesco”. L’affollata cerimonia, organizzata dall’instancabile Claudio Pitti, Comandante del Reparto A.N.A.I., ha voluto ricordare gli uomini del Cap. Carlo Faggioni che, proprio dall’aeroporto di Perugia, partirono quel 10 Aprile 1944 per una missione senza ritorno contro le navi angloamericane a largo di Nettunia.
Al termine della cerimonia un gustoso fuori programma. Giungeva in visita privata in Italia il Presidente della Repubblica Federale Tedesca Joachim Gauck. Il corteo presidenziale alla vista dei numerosi partecipanti alla manifestazione patriottica rallentava per osservare la bandiera della RSI che garriva sul monumento. Alcuni hanno salutato lo stupefatto Presidente germanico prima che il corteo presidenziale riprendesse la marcia con destinazione ignota.

Ufficio Stampa
Comitato Pro 70° Anniversario dello Sbarco di Nettunia

Ad un anno dalla sua scomparsa vogliamo ricordare il nostro amico Daniele Lembo, con una serata a lui dedicata, che abbiamo deciso di intitolare “PENSANDO AD UN AMICO”, presso la sede dell’Associazione Culturale Passepartout in via Corridoni 78 a Latina, venerdi 11 aprile alle ore 18.30 .

Sulle orme del suo carattere vorremmo ricorde Daniele con una serata serena e spensierata, saremmo felici di condvidere l’ appuntamento con tutti coloro che lo hanno conosciuto ed apprezzato.

Daniele Lembo è stato pubblicista, saggista e grande studioso della storia del 900, a questo proposito invitiamo tutti a visitare il suo sito (www.danielelembo.altavista.org) dove sono raccolti tutti i suoi scritti, affinchè il suo lavoro di ricercatore storico possa essere utile anche dopo la sua scomparsa.

 

Ass. Cult. Passepartout

Cosa sono le c.d. riforme. I punti delle proposte
Per facilitare l’inquadramento della problematica oggi sul tappeto, riteniamo utile riassumere qui di seguito i punti essenziali, finora posti sul tappeto programmatico, delle proposte definite come riforme necessarie per l’ammodernamento del sistema politico vigente e il superamento della perdurante crisi economica.
Contro ogni logica si vuol affermare da parte delle forze che sostengono l’attuale governo che con esse si sarà in grado di risolvere le gravi problematiche politiche sociali ed economiche che oggi attanagliano il Paese. Gli articoli che seguono mettono invece in luce come esse siano tutte oltre che insufficienti, gravemente dannose per il futuro dell’Italia.

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La miopia del FMI e le armi spuntate della BCE
Mentre in Italia l’opinione pubblica è disorientata dall’attivismo del premier Matteo Renzi e tutti i mass media si interrogano su come egli manterrà le promesse fatte e i programmi proclamati, il dibattito si incentra sulle cosiddette riforme facendole passare per una panacea in grado di risolvere la crisi economica.
Non c’è dubbio che l’Italia attraversi un periodo di profondo disorientamento e di diffuso rigetto del sistema politico vigente sia a causa della invadente e farraginosa legislazione che l’affligge sia perché in balia di una classe dirigente demotivata o improvvisata e spesso anche corrotta. Tutto ciò favorisce un forte desiderio di cambiamento che però ancora non viene individuato in quale direzione esso debba andare. Ci si trova infatti di fronte ad un governo che crea aspettative di svolta epocale e di rinnovo generazionale, ma trascura i veri problemi di politica economica e sociale mentre affronta con pericolose improvvisazioni le problematiche costituzionali che pur abbisognano di radicali mutamenti.
Infatti, le promesse riguardanti poche decine di euro in più sui salari mensili, i cosiddetti risparmi del tutto marginali per la vendita di vecchie auto ministeriali, una nebbiosa spending review dai risultati oltre che incerti, anche modesti e prolungati nel tempo non costituiscono affatto quella politica economica globale e programmata che sarebbe necessaria perché l’Italia possa riprendere il cammino dello sviluppo al quale il suo popolo laborioso ha diritto.
Il CESI ha effettuato alcune puntuali analisi in materia di politica economica cogliendo l’occasione delle dichiarazioni fatte da parte di chi regge superficialmente le sorti del Fondo Monetario Internazionale e da chi, pur personalmente valido ed impegnato a dirigere al meglio la BCE, è costretto ad operare condizionato dagli statuti UE e dagli egoismi di chi dall’Unione vuol trarre esclusivi e non comunitari vantaggi. Naturalmente la problematica va ulteriormente approfondita e quindi il CESI fa appello agli studiosi e a coloro che sono attivamente impegnati nella quotidiana battaglia politica perché contribuiscano ad approfondire la problematica incombente.

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- Superficialità nelle valutazioni del vertice FMI e i danni di una dottrina superata
Manca una vera e unitaria politica economica di Gaetano Rasi

- Lagarde: sulle donne parla a vanvera
La sparata del Direttore Generale del FMI di Ugo Bertone

- Con la sola buona volontà di Draghi non si risolve la crisi
La BCE deve finanziare direttamente gli Stati della UE di Gaetano Rasi

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Una figura poco declamata e invece estremamente importante nel Ventennio, e che diventa cruciale nel 1945

da Il Giornale d’Italia

Carlo Alberto Biggini è uno dei devotissimi di Mussolini.

Si avvicina molto presto al Fascismo: nell’ottobre del 1920 aderisce infatti alle Avanguardie Giovanili del fascio e nel 1925 al Manifesto degli Intellettuali Fascisti.

A metà degli anni Venti frequenta la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Genova.

L’adesione al PNF è del 1928. Fervido sostenitore di Gentile, è anche convinto fautore del corporativismo fascista.

Nel suo volume “Il fondamento dei limiti all’attività dello Stato” del 1929, quando ha 27 anni, arriva ad identificare il diritto privato con il diritto pubblico.

Nel 1934 è eletto deputato e nominato membro della corporazione olearia in rappresentanza dei lavoratori dell’agricoltura. Nonostante Biggini sia oggi tra i personaggi meno declamati del Fascismo, la sua figura è affascinante e certamente tra le più interessanti, sotto molti punti di vista.

Nonostante egli abbia buoni rapporti con tutti, in seno al PNF, nel 1935 è oggetto di polemica da parte di Danese, direttore dell’Opinione di Sarzana. Una piccola bega locale, a dire il vero, che però incentra la sua attenzione sul fatto che Biggini in una conferenza ha sostenuto che il fascismo non costituisce una completa cesura con il liberismo. La polemica giunge fino a Mussolini, che non dà alcun peso alla vicenda.

Nel 1937 è membro parlamentare per la riforma dei codici, presidente di commissione nell’Istituto di Rapporti Culturali con l’Estero, presidente del Consiglio direttivo delle scuole superiori del partito, consulente giuridico del Ministero Affari Esteri per l’Albania. Nel 1939 è Consigliere nazionale nella Camera dei Fasci e delle Corporazioni.

Partecipa alla Campagna d’Africa e a quella di Grecia, è ispettore generale del Partito Nazionale Fascista. Nel 1943 Ministro dell’Educazione Nazionale, membro del Gran Consiglio e del Direttorio Nazionale del Partito.

Come ministro il suo proposito è di riformare la scuola accentuandone il carattere selettivo, intende istituire il giudizio globale al posto della votazione, accrescere lo studio del latino ed inserirlo in tutte le scuole medie superiori ad indirizzo tecnico e professionale.

Carlo Alberto Biggini non ama le lotte interne al fascismo: crede fermamente nella necessità di conservare l’unità della classe dirigente, crede nella fedeltà agli uomini e alle idee. Inoltre è estremamente devoto a Mussolini. Quindi durante la seduta del 25 luglio ’43, non firma l’ Ordine del Giorno Grandi, contestandone la validità giuridica. Riafferma la sua lealtà a Mussolini ed esprime dubbi circa il fatto che gli oppositori del Duce possano scindere le proprie responsabilità da quelle del loro capo. Grandi, nella replica finale, dedica alla posizione di Biggini una certa attenzione. Il Duce lo incarica di redigere un memoriale atto a dimostrare l’incostituzionalità e l’irrilevanza giuridica del voto del Gran Consiglio, che porta con sé quando si reca dal Re.

Quando il Duce chiama, Biggini è a Viareggio con la famiglia. È il 21 settembre 1943. Il 23 diventa Ministro dell’Educazione Nazionale della Repubblica Sociale Italiana. Nel dicembre dello stesso anno, sottopone a revisione i ruoli degli insegnanti universitari e liberi docenti e ottiene che gli insegnanti siano esonerati dal giuramento di fedeltà alla RSI. Questo gli procura delle noie: Pavolini lo accusa di debolezza e complicità morale con i nemici della RSI e fa di Biggini un esponente della cosiddetta “ala conciliativa” del governo, che non dispiace a Mussolini. Nel giugno 1944 sopprime la scuola media e la sostituisce con tre classi di ginnasio, dopo le quali si può accedere direttamente ai licei classico, scientifico, artistico e magistrale. Inoltre, introduce un corso di lingue straniere in tutte le classi del liceo classico e prevede la possibilità di accedere ai licei anche provenendo dall’avviamento, con un esame integrativo. Introduce poi la lingua latina in tutti i licei, compreso l’artistico che ne è privo. Rilevante anche la sua opera a difesa del patrimonio artistico ed industriale nazionale. Grande è il suo ruolo quando si avvicinano i giorni dell’epilogo … (continua)

Emma Moriconi

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