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” Condivido il giudizio complessivo sulla Resistenza come fatto di pochi, non di popolo. Ma sull’ uccisione di Mussolini per me lo studioso sbaglia; Churchill non c’ entra. Finche’ non lo vedo, io rimango della mia opinione: il carteggio fra lo statista inglese e il Duce non esiste “

————————- PUBBLICATO —————————— CONTROCORRENTE Quello che non convince nel “Rosso e nero”, il libro intervista dello storico sull’ ultimo atto del fascismo TITOLO: Dove sono le prove? “Condivido il giudizio complessivo sulla Resistenza come fatto di pochi, non di popolo. Ma sull’ uccisione di Mussolini per me lo studioso sbaglia; Churchill non c’ entra. Finche’ non lo vedo, io rimango della mia opinione: il carteggio fra lo statista inglese e il Duce non esiste” – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – Non ho ancora letto il nuovo libro di De Felice, Rosso e nero, scritto a mo’ d’ intervista come capitolo di chiusura della sua sterminata saga sul fascismo, capitolo dedicato ovviamente al faccia a faccia di Resistenza e Repubblica Sociale. Ma ne ho letto alcuni anticipi che mi suggeriscono qualche osservazione: non come storico, qualifica che non mi viene riconosciuta dagli storici accademici, di cui lo stesso De Felice fa parte. Ma da testimone e partecipe, sia pure modesto, di quegli eventi. Primo. Ritengo esatto . a costo di mandare ancora una volta in bestia il mio amico Giorgio Bocca, con cui su tante cose mi trovo invece perfettamente d’ accordo . il giudizio complessivo che De Felice da’ della Resistenza come fatto non corale e “di popolo”, ma di una minoranza, quali sempre sono stati i fatti italiani dal Risorgimento in poi. Secondo De Felice non furono piu’ di quattro milioni gl’ italiani coinvolti, da una parte e dall’ altra, in quella lotta. La cifra, si capisce, e’ approssimativa, ma mi sembra abbastanza vicina alla realta’ . La grande maggioranza, anche se non aveva dubbi sull’ esito finale, si schiero’ dalla parte dei vincitori solo il 25 Aprile fasciandosi il collo con un fazzoletto rosso. A cinquant’ anni di distanza, mi pare che queste amare verita’ possiamo ormai dircele, e siamo grati a De Felice di averle avallate con tutta la sua autorita’ di fascisto’ logo (che naturalmente non vuole dire fascisto’ filo, quale dapprincipio alcuni suoi colleghi tentarono di farlo passare). Un po’ meno d’ accordo mi trova la sua ricostruzione dell’ atto conclusivo di quella tragedia: l’ uccisione di Mussolini. Io e Mario Cervi nella nostra Italia della guerra civile (scusate l’ immodesta citazione) questa ricostruzione abbiamo cercato di farla sui documenti e le testimonianze a disposizione in quel momento (1983). Ma una di queste testimonianze mi sembra assolutamente incontrovertibile, data la persona di cui reca la firma: Leo Valiani, tuttora vivo e di lucidissima memoria. Valiani era autorevolissimo membro del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale). Quando giunse la notizia che Mussolini era stato arrestato a Dongo dai partigiani, “noi quattro del Comitato ci consultammo, senza neppure riunirci, per telefono. Pertini, Sereni, Longo ed io prendemmo nella notte la decisione di fucilare Mussolini, data l’ urgenza. Gli americani infatti chiedevano per radio che Mussolini fosse consegnato a loro. Longo chiese a Cadorna (capo militare dei volontari della liberta’ , n.d.r.) di dare il lasciapassare a due suoi ufficiali, Lampredi e Audisio, per andare a prelevarlo. Cadorna racconta lealmente nelle sue memorie di aver subito capito che andavano per fucilarlo, ma di aver firmato ugualmente il foglio perche’ gli sembrava piu’ giusto che Mussolini morisse per mano degl’ italiani che per mano degli stranieri. Piu’ tardi arrivo’ da lui un ufficiale americano, Daddario, che chiese, ma invano, la consegna di Mussolini. Per scongiurare l’ intromissione, Cadorna detto’ questa risposta: “Spiacenti non potervi consegnare Mussolini che, processato da un tribunale popolare, e’ gia’ stato fucilato”. Era una bugia. L’ esecuzione non era ancora avvenuta, era stata soltanto autorizzata. Cosi’ ha raccontato Valiani, che in vita sua non ha mai mentito, nemmeno . credo . quando da ragazzo rubava la marmellata nella dispensa di famiglia. Che poi a sparare sia stato, come si e’ sempre detto, Audisio o qualche altro del suo seguito, mi sembra del tutto irrilevante. Ma De Felice preannuncia la pubblicazione di alcuni documenti da cui risulterebbe che a uccidere il prigioniero fu invece un agente inglese per strapparlo dalle mani non degl’ italiani, ma dagli americani e impadronirsi del carteggio Mussolini Churchill che avrebbe potuto compromettere irreparabilmente lo statista britannico. Sono proprio curioso di vedere questi documenti. Del carteggio Mussolini Churchill sento parlare da cinquant’ anni e, anche dopo la dichiarazione di De Felice, dubito molto della sua esistenza. Non perche’ Churchill stesso me l’ abbia sempre negata quando, ritirato ormai dal potere, faceva lunghi soggiorni nella villa di Lord Beaverbrook sulla Costa Azzurra, dove mi conduceva Grandi, amico di entrambi dai tempi della sua Ambasciata a Londra: come tutti i politici, Churchill non era allergico alle bugie. Egli non smentiva di aver nutrito, negli anni Trenta, delle simpatie per Mussolini. Ma nell’ Inghilterra di quel tempo, Churchill era un uomo politicamente finito. La sua carriera era stata spezzata durante la prima guerra mondiale quando, come Lord dell’ Ammiragliato, si era assunta la responsabilita’ della spedizione nei Dardanelli finita in un disastro che lo aveva travolto. Alla Camera dei Comuni si divertivano alle sue taglienti battute, ma lo consideravano un personaggio inaffidabile anche per i cambi di bandiera che aveva fatto fra le due guerre dal partico conservatore a quello liberale e viceversa. Che cosa Mussolini poteva dire e farsi dire da un politico inglese che in Inghilterra non contava nulla? Puo’ darsi che una volta riportato al potere dagli Stukas tedeschi che distruggevano Londra Churchill abbia scritto a Mussolini per scongiurarlo di non entrare in guerra. Ma se lo avesse fatto (e Grandi lo escludeva), non vedo che interesse avrebbe avuto a tenerlo nascosto. Che il capo del governo di un Paese allo stremo cercasse di dissuadere l’ Italia dall’ unire le sue forze (che a quel tempo passavano per efficientissime: il bluff era pienamente riuscito) a quelle del nemico che stava per sopraffarlo, mi pare del tutto logico e quasi doveroso. Nemmeno se l’ esortazione fosse stata accompagnata dalla promessa di qualche compenso mi pare che ci sarebbe da scandalizzarsene. A Franco, nel momento cruciale, dei compensi alla sua dissociazione dall’ Asse furono garantiti, e poi mantenuti. E con cio’ ? De Felice non e’ storico da inventarsi dei documenti, o da prendere per tali delle patacche. Qualcosa in mano l’ avra’ di certo. Ma finche’ non la vedo, rimango della mia opinione: che il famoso carteggio o non esiste, o si riduce a ben poca e povera cosa, del tutto immeritevole di un blitz da film poliziesco per impadronirsene e tappare la bocca a Mussolini prima che gli americani gliela facessero aprire in una Norimberga italiana. Terza chiosa alle anticipazioni di De Felice. Pur senza riabilitare Salo’ , egli dice che accanto a dei fanatici come Pavolini e a dei delinquenti come Koch ci furono anche dei galantuomini come Biggini, Pisenti, Parini che si misero al servizio della Repubblica Sociale per salvare il salvabile e che forse il primo di questi italiani di buona volonta’ fu lo stesso Mussolini. Sebbene non abbia nessun motivo di gratitudine verso costoro, concordo in pieno con questa tesi. Questi buoni italiani, fra i quali c’ era anche Nicola Bombacci, finito appeso per i piedi accanto a Mussolini (di quali tragici scherzi e’ capace il Destino) in quel macabro e vergognoso spettacolo di bassa macelleria che fu piazzale Loreto, poterono fare poco. Ma il poco che potevano fare lo fecero, anche a rischio della propria pelle. Ultima chiosa: l’ uccisione di Giovanni Gentile. De Felice avanza l’ ipotesi che gli elementi estremisti della Resistenza ne vollero la morte perche’ vedevano in lui l’ incarnazione di un moderatismo che poteva impedire l’ esasperazione di quella guerra civile in cui essi riponevano le speranza di catarsi comunista. Non lo credo. Sono anzi convinto che i moventi di quell’ assassinio (perche’ di questo si tratto’ ) siano stati piu’ semplici e meschini: da far risalire alla voglia di protagonismo di alcuni baldi giovanotti che volevano, con un’ operazione quasi priva di rischi (la vittima, come presidente di un fantasma, qual era ormai l’ Accademia d’ Italia, non aveva guardie del corpo) volevano soltanto acquisire dei meriti su cui costruire . in un Paese in cui l’ industria piu’ redditizia e’ sempre stata, dal Risorgimento in poi, il reducismo . una carriera politica. E infatti ricevette subito il plauso di quello che veniva considerato la piu’ alta espressione e autorita’ della intellighenzia di sinistra, il cattedratico Concetto Marchesi, illustre per i suoi studi su Tacito e su Seneca, in compagnia dei quali avrebbe fatto meglio a restare (anche se i saggi ch’ egli ha dedicato a queste due star del mondo classico mi sembra che non apportino granche’ di nuovo e che soprattutto siano scritti come quasi sempre scrivono gli Accademici italiani: coi piedi). Naturalmente a queste chiose De Felice non rispondera’ . Gli storici italiani non rispondono mai, nella loro spocchia, a chi non possiede il tesserino della categoria, specie se e’ un giornalista. Pazienza. Non per questo noi smetteremo di essere grati a De Felice per aver dedicato la vita allo studio del fascismo, che tanti faziosi imbecilli volevano semplicemente cancellare, e avercene fornito non la piu’ esauriente ricostruzione, ma tutti gli elementi che ne permetteranno la ricostruzione. Perche’ , per scrivere di Storia, bisogna conoscerla bene, e nessuno conosce quella del fascismo piu’ e meglio di De Felice. Ma poi bisogna anche saperla raccontare.

 

Montanelli Indro

Pagina 23
(6 settembre 1995) – Corriere della Sera

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