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Dal 26 Febbraio 1944, dopo l’uccisione del Commissario del Capo della Provincia in Leonessa Francesco Pietramico, la situazione dell’ordine pubblico sull’altopiano leonessano andò progressivamente peggiorando. La pressione della guerriglia che sconfinava dall’Umbria fece si che, il 14 Marzo seguente, il Distaccamento della GNR – che assicurava la sicurezza in tutta la zona – venisse ritirato in quanto considerato indifendibile. Il giorno dopo, andati via i fascisti, su Leonessa calarono i partigiani. Dopo un corteo festoso e le solite violenze, tornarono sui monti. Ormai, l’ordine era definitivamente compromesso. In questo scenario maturò uno dei più gravi e ingiustificati episodi di sangue che colpirono la provincia di Rieti in quel drammatico 1944. Il 16 Marzo, sei-sette ribelli con passamontagna e fazzoletti al viso penetrarono nell’abitazione della famiglia Vannozzi nella frazione di Capodacqua di Leonessa. Aggredirono i presenti e si scagliarono contro la giovane mamma Assunta Vannozzi di 29 anni, a letto febbricitante, accusandola di essere una “spia”. Le strapparono il figlioletto Luigino di due anni e la strascinarono in strada tra grida strazianti che fecero eco in tutta la vallata. Poi, con una spietatezza unica nel suo genere, un partigiano estrasse una pistola scaricandola contro il corpo della disgraziata piangente. Infine, il colpo di grazia alla nuca. “Giustizia” era fatta.

I ribelli, infine, “prelevarono” dall’abitazione tutto quanto era asportabile e tutto quanto avesse un valore, dal corredo di nozze ai gioielli, per poi scomparire per sempre nella boscaglia dalla quale erano venuti.

Una normale spedizione partigiana diranno i più, se non fosse che la povera Assunta Vannozzi non era imputabile di nulla. Si trattò di un’esecuzione ingiustificata. Nel dopoguerra, vennero accusati dell’assassinio tre partigiani locali (gli altri non furono mai identificati): Concezio Antonelli, Mario Romano e Enzo Lucci (l’esecutore materiale). I primi due negarono ogni addebito, mentre Lucci affermò di aver agito su ordine della Brigata “Gramsci”. Come era ovvio, date le chiare disposizioni in materia che consideravano “legittimi atti di guerra” tutte le azioni compiute dai ribelli nel corso della guerriglia, i tre vennero scarcerati. Comunque, la Magistratura accertò che Assunta Vannozzi era innocente e che il suo assassinio fu un “errore di valutazione”.

Sul drammatico episodio di sangue cadde una fitta coltre di omertà (ancor oggi riscontrabile) e quelle rare volte che si parlò della morte della Vannozzi si volle addirittura infangare la moralità della povera mamma, uccidendola così una seconda volta. E pensare che Assunta – che non si era mai occupata di politica – aveva aiutato in quei mesi anche numerosi soldati “sbandati” del Regio Esercito che non volevano aderire alla RSI. Ma tutto ciò fu vano. Ancor oggi, nessuno sa il motivo perché la giovane mamma venne uccisa e i nomi di tutti coloro che parteciparono alla spedizione punitiva, all’assassinio e al saccheggio della casa.

Nel settantennale dalla tragedia che lasciò a un piccolo orfano una cicatrice mai rimarginata, il Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti si è recato sul luogo del luttuoso evento e nel cimitero di Vallunga dove riposa Assunta Vannozzi per omaggiare una vittima dell’odio antifascista, uccisa innocente e vigliaccamente vilipesa dopo la morte.

«A tanti anni da questo dramma – ha dichiarato il Dott. Pietro Cappellari, Responsabile culturale del Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti – siamo venuti a Leonessa con l’intento di chiedere una pubblica riabilitazione della giovane mamma di Capodacqua. Per questo abbiamo chiesto ufficialmente al Sindaco di Leonessa che la via che congiunge Ocre a Capodacqua venga dedicata alla memoria di Assunta Vannozzi e che sul luogo dell’uccisione sia eretta nuovamente una croce (divelta a seguito di lavori stradali e mai ripristinata). Un atto dovuto che l’intera comunità leonessana deve a una sua concittadina uccisa troppe volte, fisicamente e moralmente. Essere qui oggi per noi è un atto non solo di carità cristiana. Siamo qui non solo per un giusto tributo ad un’innocente che oltre ad essere stata ingiustamente uccisa e strappata all’affetto dei cari, è stata vilmente vituperata per decenni da personaggi senza scrupoli; ma anche per un dovere morale che avevamo con Luigino Montini, il figlio di Assunta, che per tutta la vita ha portato nel suo cuore i segni indelebili di quella tragedia ingiustificata. Oggi che Luigino non è più con noi, ma è tornato tra le braccia della mamma che gli fu strappata dall’odio politico quando aveva solo due anni, siamo qui per ricostruire quello che realmente avvenne, abbattendo definitivamente il muro di omertà costruito dalla vulgata antifascista. Speriamo che Assunta e Luigino, da lassù dove ci guardano, finalmente, possano ora riposare in pace».

 

Ufficio Stampa

Comitato Pro 70° Anniversario

della RSI in Provincia di Rieti

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