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Premessa.

L’iniziativa del CESI, Centro Nazionale di Studi Politici, deliberata il 19 gennaio e lanciata il 23 successivo, di un Appello a tutti i candidati alle prossime elezioni politiche per sottoscrivere un “Patto per la partecipazione” (vedi sito CESI) ha trovato numerosissime adesioni ed ha anticipato significative dichiarazioni analoghe da parte di organizzazioni imprenditoriali, dei dirigenti d’azienda, nonché di appartenenti ai sindacati dei lavoratori.

Si rende pertanto necessario approfondire la materia sia per quanto riguarda le origini che per quanto si riferisce agli sbocchi che si intravedono.

In questa direzione vi erano state in passato autorevoli indicazioni da parte di singoli esponenti del mondo imprenditoriale e giornalistico le quali avevano sostenuto, appunto, che l’introduzione dell’istituto della cogestione e della partecipazione agli utili, non solo riguarda la giustizia sociale, ma anche il progresso economico al fine di aumentare la produttività dell’intero sistema, la sua efficienza nella competizione mondiale e l’aumento della disponibilità monetaria delle famiglie dei lavoratori ai fini della ripresa della domanda aggregata per combattere la recessione.

Vale la pena, pertanto, di fare anzitutto una sintesi storica di questa proposta istituzionale che è destinata a caratterizzare fortemente un sistema politico ed economico alternativo all’attuale. Quello della cogestione, infatti, è un istituto che rientra in un complesso istituzionale coerente, di politica economica non solo di breve periodo, ma che si inserisce costituzionalmente in un indirizzo di sviluppo strutturale valido nel medio-lungo periodo con forti riflessi nel progresso civile della società.

1. Lineamenti per una storia della cogestione nella seconda metà del secolo scorso.

Anzitutto va osservato che tale indirizzo, nel tempo, si è andato precisando perché costituisce la definitiva uscita dalla concezione della lotta di classe per radicare quella della collaborazione organica fra capitale e lavoro. Inoltre, essa si caratterizza come punto essenziale di una nuova fase storica volta al superamento dei vari capitalismi finanziari, avventuristici e meramente individualistici, dopo il fallimento delle concezioni del collettivismo statalista e degli indirizzi social-comunisti.

Non può non essere ricordato, pertanto, che l’Italia, anche a questo riguardo, è stata antesignana. Infatti va segnalata quella fondamentale iniziativa di civiltà che fu proposta il 26 dicembre 1946, nel Manifesto fondante del MSI, dove, al punto VIII, si proclamava che nel nuovo Stato vi doveva essere «completa collaborazione fra i vari fattori della produzione attribuendo ai sindacati dignità e responsabilità di istituzioni pubbliche ed effettiva compartecipazione dei lavoratori alla gestione dell’azienda e al riparto degli utili».

Così pure non può essere dimenticato che, successivamente, in tutti i documenti conclusivi dei Congressi tenuti da quel partito, tra i capisaldi progettuali fu indicata la necessità dell’introduzione dell’istituto della cogestione e della partecipazione agli utili dei lavoratori, nonché della partecipazione dei sindacati datoriali e dei lavoratori alla programmazione concertata dell’economia nazionale[1].

2. Le Proposte di Legge presentate nel Parlamento italiano dal 1955 al 1991

Durante il cinquantennio citato, il MSI ha presentato in Parlamento e fuori di esso tutta una serie di documenti sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione e ai risultati economici delle imprese (1955, 1971, 1972, 1973, 1975, 1977, 1979, 1991), facendo anche appello alla necessità di attuare quell’art.46 della Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore nel 1948 – cioè due anni dopo la proposta del MSI – e mai tradotto in norme cogenti.

Va peraltro osservato che l’enunciazione di questo dettato costituzionale «la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende» è del tutto insufficiente a indicare un moderno istituto che sia caposaldo – oltre che del riconoscimento al fattore lavoro il suo preminente valore morale – di una economia partecipata e programmatoria.

In altre parole, in una profonda revisione costituzionale l’impresa non può essere solo legata alle precarie utilità dei singoli – imprenditori e lavoratori – ma anche fondamento di un nuovo sistema economico e sociale nel quale la produttività, l’innovazione sistematica e la forte competitività vedano i lavoratori non solo come passivi prestatori d’opera, ma come attori consapevoli, ciascuno attivo secondo il ruolo svolto.

Ritornando alla storia della cogestione, in particolare vanno segnalate, per il loro contenuto dottrinale e normativo tuttora utile, cinque delle Proposte presentate in Parlamento dai deputati del Msi, perché caratterizzate ciascuna da peculiari impostazioni, e proprio per questo importanti per le future elaborazioni:

  1. La Proposta di Legge n°1742 del 25 luglio 1955 “Socializzazione delle imprese statali ed a partecipazione statale”, d’iniziativa dei deputati: Roberti, De Marsanich, Michelini, Almirante, Anfuso, Angioy, Calabrò, Colognatti, Cucco, De Felice, De Marzio, De Totto, Di Stefano, Formichella, Filosa, Foschini, Gray, Infantino, Jannelli, Latanza, Madia, Marino, Nicosia, Pozzo, Romualdi, Spampanato, Sponziello, Villelli;

 


[1] Congressi del MSI: Primo, Roma 1948; Secondo, Roma 1949; Terzo, (fu proibito dal regime vigente); Quarto, L’Aquila 1952; Quinto, Viareggio 1954; Sesto, Milano 1956; Settimo, (doveva tenersi a Genova nel 1960 ma fu proibito); Ottavo, Pescara 1965; Nono, Roma 1970; Decimo, Roma 1973; Undicesimo, Roma 1977; Dodicesimo, Napoli 1979; Tredicesimo, Roma 1982; Quattordicesimo, Roma 1984; Quindicesimo, Sorrento 1987; Sedicesimo, Rimini 1990; Diciassettesimo, Roma 1994; Diciottesimo, Fiuggi 1995.

 

  1. La Proposta di Legge n°3349 del 30 aprile 1971 “Partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese”, d’iniziativa dei deputati: Roberti, Almirante, De Marzio, Pazzaglia, Abelli, Alfano, Caradonna, d’Aquino, Delfino, di Nardo Ferdinando, Franchi, Guarra, Manco, Marino, Menicacci, Niccolai Giuseppe, Nicosia, Romeo, Romualdi, Santagati, Servello, Sponziello, Tripodi Antonino, Turchi;

 

  1. La Proposta di Legge n°3548 del 6 marzo 1975 “Regolamento dei rapporti derivanti dalla partecipazione dei lavoratori al finanziamento delle imprese per effetto dei fondi di anzianità”, d’iniziativa dei deputati: Roberti, Borromeo D’Adda, Cassano, Bollati, de Vidovich;

 

  1. La Proposta di Legge n°771 del 23 ottobre 1979 “Regolamentazione dei rapporti derivanti dalla partecipazione dei lavoratori al finanziamento delle imprese per effetto dell’accantonamento dei fondi di anzianità”, d’iniziativa dei deputati: Valensise, Almirante, Pazzaglia, Abbatangelo, Baghino, Caradonna, Del Donno, Franchi, Greggi, Guarra, Lo Porto, Macaluso, Martinat, Mennitti, Miceli, Parlato, Pellegatta, Pirolo, Rallo, Rauti, Romualdi, Rubinacci, Santagati, Servello, Sospiri, Staiti di Cuddia delle Chiuse, Tatarella, Trantino, Tremaglia, Tripodi, Zanfagna.

 

  1. La Proposta di Legge n°5424 del 30 gennaio 1991 “Istituzione dell’impresa partecipativa”, d’iniziativa dei deputati: Servello, Rauti, Valensise, Abbatangelo, Alpini, Baghino, Berselli, Caradonna, Colucci Gaetano, Del Donno, Fini, Franchi, Lo Porto, Macaluso, Maceratini, Manna, Martinat, Massano, Matteoli, Mennitti, Mitolo, Nania, Parigi, Parlato, Pazzaglia, Pellegatta, Poli Bortone, Rallo, Rubinacci, Sospiri, Staiti di Cuddia delle Chiuse, Tassi, Tatarella, Trantino, Tremaglia.

3. Attualità dei contenuti istituzionali dell’impresa partecipativa nella Proposta del 1991.

In particolare quest’ultima proposta va segnalata per la sua grande attualità e il contenuto specifico: la Proposta n°5424 del 30 gennaio 1991, fu elaborata da una Commissione di studio che ho avuto l’onore di presiedere. Essa fu costituita da due gruppi di notevole valore scientifico e professionale.

Un primo gruppo, espresso dall’ISC, era costituito, oltre che dal sottoscritto come economista, dall’ing. Marziale Concari (che fu il principale ispiratore, traendo molti elementi dalla sua grande esperienza di alto dirigente d’azienda); dal dott. Giuseppe Amorese (esperto commercialista) e dal prof. Franco Tamassia (noto giuspubblicista e costituzionalista); un secondo gruppo fu espresso dalla CISNAL: l’avv. Luigi Gabriele, il dott. Liano Fabietti, il dott. Mauro Nobilia, il dott. Alberto Ranieri e il dott. Giorgio Verzelli. Ai lavori di questa commissione diedero importanti indirizzi il dott. Ivo Laghi, Presidente della CISNAL, e l’on. avv. Raffaele Valensise, Presidente del Consiglio Nazionale del Lavoro del MSI.

Nella relazione, premessa all’articolato, sono trattati in maniera approfondita – esempio non comune in una proposta di legge – i rivoluzionari principi ispiratori: che cos’è la partecipazione organica; quali sono le premesse dottrinali e costituzionali; in che consiste l’identificazione di cittadino e di lavoratore; il perché del diritto di partecipazione alla proprietà; l’elencazione dei problemi che l’istituto intende risolvere; la caratterizzazione dell’impresa partecipativa; in che consiste il concetto di “organizzazione” tra i fattori della produzione; il fatto che la “sovraordinazione” e “subordinazione” siano posizioni funzionali e non status sociale; gli organi dirigenti: il Capo dell’impresa, il Comitato consultivo, l’Assemblea dei soci partecipanti, il Comitato di gestione; il principio dell’unità nella direzione; la partecipazione al finanziamento; le due parti della rimunerazione; la natura delle azioni di lavoro e di capitale; la partecipazione agli utili e alle perdite; conseguenze della diffusione in Europa della partecipazione organica

4. Gli indirizzi europei e l’ostinata sordità del regime vigente in Italia.

E’ di ulteriore rilievo la politica di promozione dell’azionariato dei dipendenti ripetutamente rivolta da parte dell’Unione Europea alle nazioni ad essa aderenti. Vanno ricordate a questo riguardo le Raccomandazioni e le Dichiarazioni del Consiglio Europeo (1992-1999); le Risoluzioni del Parlamento Europeo (1992-1998-2003); i “Pepper Reports”, le Comunicazioni della Commissione Europea (1991-1996-2002-2004-2012); le Indicazioni del Comitato Economico e Sociale Europeo (2003-2010).

Malgrado così costanti e coerenti indirizzi, in Italia non esiste ancora una legislazione organica in materia tale da fornire alle imprese e ai lavoratori italiani punti di riferimento istituzionali. Sia il Parlamento, nelle varie legislature succedutesi dalla fine della guerra ad oggi, che i Governi espressi dalle diverse forze politiche in un arco di tempo di oltre sessant’anni, non hanno provveduto ad attuare l’indirizzo costituzionale contenuto nell’art.46 (nonché l’art.47 parte II) della Carta fondamentale, né vi sono stati orientamenti impegnativi delle forze di Governo per una adeguata politica economica sia nel breve che nel medio-lungo periodo riguardante la partecipazione organica nelle imprese e nella programmazione dello sviluppo del Paese.

5. L’improrogabile necessità di un effettivo impegno politico partecipativo.

In questo ultimo anno si è sentita in maniera acuta la mancanza nel nostro Paese di una adeguata politica economica di sviluppo e in particolare si è constatata l’assenza di politiche industriale, agricola e del settore terziario, e soprattutto non hanno avuto luogo la predisposizione e l’attuazione di un sistematico programma di investimenti infrastrutturali di ammodernamento e di ristrutturazione.

Tale situazione costituisce una gravissima condizione di arretramento civile e una colpevole incapacità di manovra per uscire, attraverso i necessari lavori pubblici, dalla recessione economica. A ciò si aggiunge che si è imposta una politica esclusivamente fiscale che aggrava in maniera dilaniante l’arretramento civile ed economico della società nazionale.

Tuttavia la questione non è solo quella di contrastare una attività di politica economica di governo nel breve periodo, ma quella di impostare una programmazione strutturale a carattere istituzionale e costituzionale rivolta anzitutto ad introdurre adeguata ed aggiornata legislazione seguita da immediati decreti attuativi.

Su questa esigenza stanno convergendo iniziative che hanno avuto origine già da tempo e che si sono rese ancor più ampie negli ultimi mesi. Un’indicazione dell’accelerazione di tali indilazionabili necessità è avvenuta in maniera esplicita in questi ultimi giorni, in sede di campagna elettorale anche a seguito dell’Appello lanciato dal CESI in materia di partecipazione nelle imprese.

Per il passato vi sono state varie autorevoli sollecitazioni; ne citiamo solo due. Nell’agosto del 2010 sul Corriere della Sera Giuseppe Vita – il maggior esperto di relazioni industriali europee con alle spalle la dirigenza di gruppi bancari, editoriali, assicurativi e farmaceutici – a proposito della ripresa tedesca dopo la crisi succeduta alla riunificazione, analizzava il successo di quella economia basata sulla partecipazione organica.

Alla domanda della giornalista che lo intervistava: « Qual è il segreto della straordinaria ripresa tedesca», rispondeva che era stato quello di iniziare per tempo con le ristrutturazioni, il ricupero della competitività e gli investimenti in ricerca e nei prodotti ad alta tecnologia. Soprattutto indicava il successo nell’«ottima intesa fra capitale e lavoro, che è il segreto del capitalismo renano per il recente recupero della competitività».

Dopo aver analizzato come la ristrutturazione tedesca sia andata intensificandosi a seguito della crisi del 2003, Giuseppe Vita aveva osservato che «grazie alla cogestione i sindacati sono molto più informati di quel che succede in azienda e della lotta per mantenere la competitività nel mondo globale. E per questo hanno un atteggiamento di cooperazione massima».

Alla domanda se effettivamente la capacità di cambiamento della Germania sia superiore all’immagine che ne abbiamo, l’autorevole esperto di relazioni industriali rispondeva in questa maniera: «La Germania è molto più flessibile di quanto si pensi, grazie al modello del capitalismo renano, che assicura la cogestione paritetica ai sindacati. Il capitale e il lavoro sanno di essere nella stessa barca, e cercano di tenerla a galla uniti. Perché sanno che se affonda l’azienda affondano tutti. C’è insomma una cooperazione assoluta. E il governo sta molto attento ai problemi dell’industria e a far funzionare la collaborazione».

Passando ad un altro autorevole giudizio va ricordato che, esattamente un anno fa, sul Corriere della Sera del 28 febbraio 2012, rispondendo ad una lettera del prof. Alberto Mingardi dell’Istituto Leoni di Torino, che chiedeva quali fossero i punti forti della ripresa tedesca incominciando addirittura dall’immediato dopo guerra, Sergio Romano nella consueta rubrica rispondeva: «Credo che alle fortune dell’economia tedesca abbia giovato anche il sistema della Mitbestimmung (cogestione), vale a dire l’esistenza, al vertice delle aziende, di due consigli: il Vorstand (consiglio esecutivo) e l’Aufsichtsrat (consiglio di sorveglianza). Nel secondo una metà è composta dai rappresentanti degli azionisti, l’altra dai rappresentanti dei dipendenti. Non so se i sindacati italiani sarebbero stati pronti ad accettare gli oneri della cogestione, ma per quelli della Repubblica federale il sistema è stato una scuola di responsabilità aziendale che ha reso più facile la riforma del mercato del lavoro durante il cancellierato Schröder da cui dipende la crescita dell’economia tedesca negli ultimi anni».

6. Esempi di partecipazione ai risultati economici in imprese italiane

La partecipazione dei lavoratori ai risultati economici sta assumendo sempre più una esigenza da parte dell’imprese che intendono non solo affermasi nel proprio settore, ma anche progredire nell’ambito dell’intero sistema economico.

Il fenomeno quindi non è solo tedesco perché già attualmente anche in Italia vi sono imprese di varie dimensioni che applicano il sistema della partecipazione dei lavoratori ai risultati economici da esse conseguiti.

Il sistema va sotto il nome di “premio di risultato”, ma la sostanza non muta ed in ogni caso costituisce un avvio anche alla partecipazione alla gestione come, peraltro, già viene indicato dagli indirizzi europei. A questo riguardo in Europa è noto che il caso più significativo è quello della Volkswagen, la quale nell’ultimo anno è stata in grado di assegnare a ciascuno dei suoi 100 mila dipendenti ben 7.200 euro come premio di risultato.

In Italia vi è stata la Ferrari che è andata anche oltre questo importo in quanto, tra premio annuo e bonus speciale legato a i record conseguiti nelle gare dell’ultimo triennio, ha distribuito ai dipendenti cifre superiori a quelli della casa di Wolfsburg sia in termini assoluti perché riferiti ai risultati sportivi, sia in termini relativi perché proporzionati in percentuale degli utili realizzati.

In un recente passato, pure cifre notevolissime sono state distribuite ai propri lavoratori, da parte di un’altra impresa, la Tenaris Dalmine, che è il primo produttore italiano di tubi di acciaio senza saldatura per l’industria energetica, automobilistica e meccanica, con una capacità produttiva annua di 950.000 tonnellate di prodotti finiti. Nel 2007, per esempio, quando le vendite lo consentirono, a ciascuno dei lavoratori fu distribuito un premio di oltre 10 mila euro.

Purtroppo la situazione dell’industria manifatturiera italiana – la quale è , come noto, la seconda industria europea in questo settore – non è certo favorevole in quanto la produzione industriale italiana è scesa ai minimi di 25 anni fa e il prodotto interno lordo nazionale è diminuito del 2,4%. Tuttavia, pure in questo contesto, vi sono aziende, specialmente quelle che esportano all’estero, che rendono partecipi degli utili prodotti tutti i loro dipendenti.

Un altro esempio è quello della vicentina Baxi, azienda attiva nella progettazione e produzione di caldaie e sistemi per il riscaldamento ad alta tecnologia, che è ben 700 volte più piccola della Volkswagen, ma che tuttavia ha dato ai dipendenti un premio di 4.100 euro, oltre che due mensilità aggiuntive al normale salario contrattuale.

7. Le sollecitazioni delle categorie professionali per istituti di partecipazione.

Se la recente campagna elettorale ha visto due fenomeni negativi e cioè quello di un dibattito polarizzato quasi esclusivamente intorno al contingente peso fiscale, trascurando i veri programmi di radicale rinnovamento – politico, sociale, economico ed istituzionale – e, inoltre quello meramente esibizionistico e “gridato” di personaggi assolutamente improbabili come “guide” al cambiamento, dobbiamo segnalare il significato positivo di un fatto nuovo colpevolmente trascurato dai mass media.

Si tratta di una serie di articolate proposte politiche avanzate da alcune categorie professionali: Esse in sostanza richiedono radicali modifiche nelle strutture istituzionali di valore costituente; in altre parole i documenti di tali proposte illustrano programmi che rivelano come le categorie professionali sono mature per assumere ruoli legislativi e di governo nell’interesse generale ed essere nel contempo in grado di esprimere leader con ruoli e capacità progettuali.

Tale fenomeno conferma la necessità dell’uscire dall’equivoco – sia nel termine che nel concetto – della espressione “società civile” come serbatoio eterogeneo dal quale i partiti traggono passivi esponenti, proni al loro volere oligarchico, per la formazione delle Assemblee rappresentative.

Infatti, si sta diffondendo sempre più la consapevolezza che debbono essere le categorie del lavoro e della produzione, della cultura e della solidarietà, ad esprimere, direttamente come protagoniste, i propri esponenti capaci di esercitare compiti politici rappresentativi con le necessarie competenze e dotati di adeguate sensibilità di servizio per il bene pubblico.

Insomma, appare sempre più chiaro che la base democratica deve essere completata: oltre il voto dell’elettore anonimo vi deve essere anche quello dello stesso elettore individuato nella sua qualità professionale in tutti i gradi e i settori dell’attività lavorativa. Analogamente debbono essere duplicati i canali di formazione della rappresentanza politica: oltre quella partitica anche quella categoriale.

8. Un ruolo politico-costituzionale per le categorie. Il documento intersindacale.

Tre esempi di maturazione a questo riguardo sono illuminanti. Anzitutto, importanti sono le “Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia” firmate dalla Confindustria, dalla CISL, dalla UGL e dalla UIL, il 16 novembre 2012 affinché vengano assunti a livello legislativo provvedimenti coerenti con tali indirizzi.

Premesso che il tema della produttività incide, oltre che sul lavoro, anche sulle infrastrutture dell’energia, della logistica e dei trasporti, nonché sulla Pubblica Amministrazione, la sicurezza, la legalità e l’istruzione, il documento richiede che la contrattazione collettiva nelle diverse sedi sia finalizzata ad un migliore impiego dei fattori della produzione e dell’organizzazione del lavoro correlando a tale aspetto la crescita delle retribuzioni dei lavoratori.

Al quarto punto del documento si affronta deliberatamente la tematica in questione sotto il titolo “La partecipazione dei lavoratori nell’impresa” affermando che i rappresentanti delle organizzazioni firmatarie «tenuto conto che la legge 28.6.2012 n°92 dispone che siano i contratti collettivi a dare attuazione alle misure per la partecipazione, ritengono che il Governo, nella prospettiva di conferire organicità e sistematicità alle norme in materia di informazione e consultazione dei lavoratori, nonché di partecipazione dei dipendenti agli utili e al capitale, debba esercitare la delega in materia …».

Inoltre, a tal proposito, il documento intersindacale afferma ancora tre punti, ossia che:

«La cultura della partecipazione è favorita, altresì, da un modello di relazioni industriali moderno, attento agli obiettivi generali dell’economia, orientato alla competitività delle imprese allo sviluppo coeso dei territori e al miglioramento delle condizioni e della qualità del lavoro»;

«La cultura della collaborazione fra imprese e lavoratori è favorita, anche, dal ruolo che possono svolgere gli enti bilaterali di matrice contrattuale per la diffusione di modelli partecipativi;

«Per diffondere questa cultura le Parti ritengono opportuno valorizzare, nei diversi livelli contrattuali, i momenti di informazione e consultazione previsti, anche per favorire un responsabile coinvolgimento nelle scelte dell’impresa sulle materie che migliorano la produttività, le condizioni di lavoro, lo sviluppo dell’impresa».

9. Il documento-programma della CIDA: L’Italia che vogliamo.

In secondo luogo va citato il documento-programma della CIDA, la Confederazione sindacale che rappresenta dirigenti, quadri e professionisti ad elevata qualificazione dei settori pubblico e privato, dal titolo L’Italia che vogliamo per il rilancio del Paese, pubblicato il 24 gennaio 2013 e chiaramente rivolto ai candidati alle elezioni del 24-25 febbraio 2013. Il programma CIDA è molto articolato e merita una riflessione esclusiva ad esso da effettuarsi a parte.

Intanto, a questo proposito, vanno anticipate due espressioni fondamentali:

  1. Per contrastare il declino del nostro Paese «noi manager della nuova CIDA intendiamo impegnarci per il bene comune integrando la nostra professionalità con la gestione della politica sulla base di una rinnovata forma di “attenzione” e “partecipazione” alla res publica»;
  1. «Vogliamo che l’Italia partecipi da protagonista, insieme all’Europa, alle sfide imposte dalle profonde trasformazioni politiche, sociali e culturali: la concorrenza crescente dei paesi emergenti, la riorganizzazione dei processi produttivi su base globale, il ripensamento del modello di crescita, la rapidità dell’innovazione, la frammentazione dei percorsi lavorativi, la razionalizzazione del welfare, l’ingresso nella società (e nell’economia) della conoscenza».

In questa sede inoltre riteniamo di porre in rilievo alcuni altri particolari punti relativi all’istituto della cogestione. A questo proposito va sottolineata anzitutto la visione sociale costituita dalla centralità del lavoro, dalla qualità e dal merito.

«Il lavoro – vi si afferma – non più rappresentabile secondo categorie rigide e sostanzialmente costruite sul ciclo di vita dei beni materiali (progettazione, produzione, vendita, manutenzione), ritrova un ruolo centrale come espressione della conoscenza individuale e sociale. Occorre pertanto ricostruire un modello sociale nel quale la conoscenza non è fonte di guadagno per chi la possiede in base a meccanismi di esclusione e di protezione, ma invece lo diviene nel momento in cui è condivisa tra più soggetti ed utilizzata per far crescere il livello complessivo di qualità e produttività dell’impresa e della società generale».

Un secondo punto da sottolineare riguarda anzitutto la constatazione che, mentre «negli anni Settanta l’Italia era il primo tra i principali Paesi del mondo quanto a crescita della produttività nell’industria; oggi occupa le ultime posizioni» e che «il tasso di crescita del valore aggiunto al costo dei fattori è precipitato, mentre il costo del lavoro per unità di prodotto nell’ultimo decennio è cresciuto».

Da qui la CIDA osserva che «questo divario di crescita, rispetto agli altri Paesi, rischia di pesare più dello spread fra i titoli del debito pubblico [italiani e tedeschi] sul futuro del Paese, perché compromette alla radice la nostra competitività». E vi aggiunge come si debba far risalire la causa sia alla carenza di innovazioni alle ridotte dimensioni aziendali e alle strutture proprietarie chiuse, sia alle difficoltà di accesso al credito e alla grave riduzione degli investimenti pubblici e privati, nonché al «liberismo sconquassato» che caratterizza la nostra politica economica.

Non si può, a questo riguardo, non far mente subito sulla miopia che ha presieduto la politica economica del governo Monti, focalizzata solo su un aspetto della crisi e non sull’intero panorama riguardante l’economia reale.

L’ulteriore aspetto interessante del documento CIDA è trattato sotto il capitolo: “Linee di intervento” e riguarda la necessità di introdurre istituzioni che realizzino «la partecipazione dei lavoratori agli utili e … alla gestione dell’impresa». Aggiungendo, inoltre, che tale istituto deve essere incentivato fiscalmente secondo il modello tedesco che non prevede la tassazione nella partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa.

10. Dall’azionariato dei dipendenti alla partecipazione alla gestione. Il Manifesto DirCredito.

Altra iniziativa esplicitamente rivolta alla introduzione della cogestione viene dal Manifesto lanciato dal DirCredito, l’organizzazione di categoria dei dirigenti delle imprese del credito.

Al secondo posto dei cinque punti riguardanti l’azionariato dei dipendenti, la cooperazione e la ristrutturazione delle imprese si dice testualmente: «L’azionariato dei dipendenti deve essere associativo con la governance e con la gestione delle imprese (art.46 della Costituzione); i diritti dei dipendenti azionisti devono essere riconosciuti a pieno titolo nella legislazione civilistica, così come quelli dei Piccoli Azionisti, a loro volta spesso ex dipendenti o familiari dei dipendenti (art.47 della Costituzione)».

Il Manifesto osserva inoltre che, «mentre l’azionariato dei dipendenti si sta sviluppando rapidamente nella maggior parte delle grandi imprese europee in molti dei Stati maggiori, in Italia non esiste ancora in materia una legislazione organica in grado di fornire alle imprese e ai lavoratori i necessari punti di riferimento».

Gli appartenenti alla DirCredito, in questo documento chiedono esplicitamente oltre che sollecitare un sostegno, vi sia «anche una adeguata presa di posizione politica».

Concludendo questa nostra breve rassegna della storia passata e della odierna evoluzione non possiamo non riaffermare la convinzione che sia ormai matura la consapevolezza delle categorie, oltre che dei singoli lavoratori, di dover partecipare sia alle gestioni micro e macro economiche sia alla rappresentanza politica in sede legislativa e nella formazione dell’orientamento nel governo del Paese.

Un ulteriore passo in questo senso non può essere oggi, dunque, che quello della promozione da parte delle categorie, in tutte le loro esplicazioni professionali, morali e culturali, di una fase costituente avendo ormai chiari i lineamenti che deve assumere attraverso una nuova Costituzione lo Stato moderno.

Gaetano Rasi

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