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Le Regioni sono uno dei tabù del sistema costituzionale italiano. Non è concesso parlarne male (salvo poi prendere atto dei gravi scandali che le hanno colpite negli ultimi anni). Ancor meno evidenziarne l’inefficienza. Proibito chiedere un allineamento tra Regioni “ordinarie” e Regioni a “statuto speciale” (con la conseguente perdita di privilegi da parte di quest’ultime).

Ad essere onesti, evitando sul tema la retorica che ne ha accompagnato, nel 1970, l’istituzionalizzazione, le Regioni non sembrano avere realizzato, in questo quarantennio, l’auspicata riforma politico-amministrativa del sistema-Italia. Al contrario, viste le difficoltà di bilancio e di capacità di governo del territorio manifestate, esse si sono trasformate in una sovrastruttura burocratica, costosa ed inefficiente.

Lo confermano gli studi della Società Geografica Italiana, che da anni sta analizzando la nascita, la crescita e il reale impatto delle Regioni sull’assetto nazionale, denunciando come esse siano – di fatto – degli enti “artificiali”, dei semplici compartimenti statistici, elaborati a tavolino. A queste “elaborazioni statistiche” si adeguò l’ Assemblea Costituente (1946-1948) fissando i confini dei nuovi enti e le stesse denominazioni, non basandoli su motivi storici o economici e nemmeno culturali, con il risultano di creare dei piccoli mostri amministrativi, disomogenei, spesso ipertrofici. Da qui la proposta choc della Società Geografica: abolire tutte le Regioni, anche quelle a statuto speciale, accorpando le province e trasferendo ad esse i poteri regionali.

La proposta dei geografi nasce dagli studi che, negli ultimi vent’anni, la Società Geografica ha sviluppato a partire dal “progetto 80”, (un documento che fu redatto dalla parte più sensibile e innovativa dei territorialisti che, a metà degli anni Settanta, pensò di ridisegnare l’assetto italiano per adeguarlo alla modernizzazione del sistema insediativo e dell’apparato produttivo).

Le ragioni del territorio si sommano ad oggettivi risparmi economici. Basti considerare che l’abolizione delle Regioni rispetto a quello delle province porterebbe a 182 miliardi di risparmi contro 11. Infine c’è la possibilità, definendo i nuovi enti territoriali (35 secondo le previsioni) sulla base dell’omogeneità storica, geografica ed economica, di costruire reti infrastrutturali (legate alla mobilità, ai trasporti e alle comunicazioni), presenti sul territorio o in avanzata fase progettuale incrociate con le interazioni tra l’ambiente e la società secondo un modello geografico in progressiva evoluzione.

In una fase di ripensamento degli assetti socio-economici e politico-istituzionale del nostro Paese, la scelta coraggiosa proposta dagli studiosi della Società Geografica dovrebbe agitare il confronto piuttosto che essere relegata nelle notizie minori.

Della retorica sul regionalismo gli italiani sono stanchi. Di false promesse sulle istituzioni “vicine” ai cittadini non ne possono più. Se il metro di giudizio per le istituzioni, locali e nazionali, deve essere l’efficienza, il rigore, la capacità gestionale, è tempo che ogni retorica venga abbandonata e con essa un modello regionale che non è mai decollato. Abolite le Regioni, si dia voce ai territori, quelli veri, piuttosto che i soffocanti apparati burocratici, soffocanti, inefficienti e spendaccioni.

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