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Un episodio di violenza dimenticato che permise l’affermazione del fascismo in Val di Chiana

di Pietro Cappellari

 

La Primavera del 1921 fu una “Primavera di sangue” per quell’Italia così lontana nel tempo, come dai ricordi. Il 15 Maggio, infatti, era previsto il rinnovo della Camera dei Deputati. Gli opposti schieramenti si erano dati appuntamento nelle piazze del nostro Paese per una resa dei conti dopo due anni di violenze generalizzate compiute dai sovversivi in vista della agognata rivoluzione “liberatrice” del proletariato, quella bolscevica, naturalmente.

Il Biennio Rosso (1919-1920) si è era concluso con un bilancio del tutto negativo, dovuto alla fallimentare gestione politica della dirigenza del PSI che aveva predicato il prossimo avvento del “sol dell’avvenire” senza avere adeguatamente preparato le masse a una vera e propria insurrezione, tanto questa sarebbe scoppiata da sé, senza alcuna necessità di organizzarla. L’unico risultato concreto che si era raggiunto – di là della storica, quanto inutile, vittoria elettorale del Novembre 1919 – era quello di aver creato in tutta Italia un clima pre-insurrezionale, condito da scioperi, occupazioni di terre e di fabbriche, ammutinamenti di truppe, violenze generalizzate (durante le quali si erano registrati anche alcuni morti). Lo Stato pareva in balia di queste agitazioni diffuse, anche se non erano mancati veri e propri eccidi proletari condotti dalle forze dell’ordine durante la repressione dei moti.

Già nell’Autunno del 1920, durante la campagna elettorale per il rinnovo dei Consigli Comunali, erano apparse in diverse contrade italiane delle Squadre d’azione allestite dai Fasci di Combattimento per rintuzzare ogni violenza massimalista e incominciare a contendere fisicamente le piazze ai socialisti.

Il fenomeno dello squadrismo fascista esplose nella Primavera 1921, durante la quale fu condotta una vera e propria campagna militare contro le strutture del PSI e del neonato Partito Comunista d’Italia. In questo clima, il 17 Aprile 1921, si registrò uno dei più gravi fatti di sangue di quella tornata elettorale, l’imboscata di Renzino di Foiano della Chiana (Arezzo).

Una ventina di fascisti – tra cui anche Ufficiali del Regio Esercito in servizio – erano impegnati in un “giro di propaganda” nella zona, il cui fine primario era quello di ristabilire il tricolore sugli edifici dei Municipi socialisti e contestualmente far dimettere le Amministrazioni. Per l’occasione alcune ragazze aretine avevano cucito delle bandiere, unendo alla meglio i tre colori del vessillo nazionale, visto che in tutta la regione era praticamente impossibile trovare bandiere tricolori, odiato simbolo della “Patria borghese reazionaria”.

Durante il “giro di propaganda” dei fascisti si erano registrati degli scontri a Pozzo e Marciano, dove il locale Segretario del PCdI, Domenico Gialli, era stato malmenato. Uno squadrista, Ettore Guidi di Poppi, era stato ferito piuttosto seriamente ed era stato portato all’ospedale di Foiano della Chiana. Qui era stata lasciata una “guardia”, in quanto i socialisti del paese minacciavano di assaltare il nosocomio per linciare il ferito. Ai fascisti di guardia vennero lasciate anche le armi per difendere se stessi e il camerata ricoverato.

Dopo una puntata su Foiano, gli squadristi, al comando del Cap. Giuseppe Figino del 70° Reggimento di Fanteria, si apprestarono a rientrare ad Arezzo al canto di Giovinezza quando, da una casa colonica radente la strada, la Cascina Sarri, partì un colpo di fucile che ferì l’autista dell’autocarro sul quale viaggiavano. Si narra che l’arrivo del mezzo fu segnalato agli aggressori dal suono di una campana di una chiesetta lì vicino.

L’autocarro dei fascisti sbandò e si ribaltò in un piccolo fosso. Dalle fratte uscirono allora una cinquantina di militanti di sinistra guidati dal comunista Galliano Gervasi e dall’anarchico Bernardo Melacci. Scrisse Giorgio Alberto Chiurco:

 

La gente grida attorno infierendo su Figino che è a terra ferito: «Tagliategli le mani», e si odono le grida del fascista Quadri Gabriele al quale un colpo di ascia fa saltare le dita. […] La malvagità dei carnefici è ripugnante. Il volto di Guido Ciofini è trasfigurato dai colpi. Un ragazzo di 14 anni, avvistosi che i feriti respirano ancora chiama: «Babbo, vieni qua, sono ancora vivi!», e il padre si scaglia sui corpi torturati.

I morti sono straziati anche dopo che i corpi son già gelidi. Roselli ha il cranio fracassato da un colpo di fucile tirato a bruciapelo, a Rossi è staccata la testa, sopra Cinini, colpito in pieno, si accaniscono con furia mostruosa i comunisti.

 

Tre le vittime: Aldo Roselli di 17 anni, cadde gridando «Viva l’Italia! Viva il Duce!»; Dante Rossi di 21 anni, interventista, Mutilato di guerra; e Tolemaide Cinini di 20 anni, portabanidiera. Una dozzina furono i feriti che riuscirono ad evitare il linciaggio fuggendo nei campi o fingendosi morti. Tra questi Bruno Dal Piaz (sarà Alfiere federale di Arezzo e Mutilato della Rivoluzione) e l’ex-Legionario fiumano Ezio Narbona. Determinante fu l’arrivo di un gruppo di ciclisti che partecipava ad una gara. Gli anarco-comunisti, temendo di essere riconosciuti, interruppero il massacro e fuggirono anche loro tra i campi.

Diffusasi subito la notizia dell’agguato, la zona fu investita dalla rappresaglia fascista. Vennero mobilitate le Squadre d’Azione di Siena “Mussolini” e “D’Annunzio”. Raggiunsero Foiano anche gli squadristi perugini e fiorentini, risoluti a tutto. Il risultato sarà spaventoso: nove morti e diversi circoli e sezioni social-comunisti dati alle fiamme. In poche ore tutta la possente organizzazione del PSI, delle Leghe rosse, delle Cooperative, fu distrutta.

I responsabili dell’agguato vennero arrestati e condanni, nel 1924: Melacci a 30 anni e Gervasi a 22 anni. Il Segretario della Camera del Lavoro di Foiano, sebbene portato in giudizio, verrà assolto. Nessuno dei condannati sconterà per intero la pena. Entrambi usciranno dal carcere successivamente all’atto di clemenza generalizzato del Duce in occasione del Decennale della Marcia su Roma. Melacci, che riprenderà immediatamente la sua attività antifascista, sarà nuovamente arrestato e morirà in manicomio nel Dicembre 1943; Gervasi, invece, riprese l’attività politica nel 1944 come esponente del PCI nel locale Comitato di Liberazione Nazionale, sarà Costituente e Senatore della Repubblica Italiana per lunghi anni.

I tre martiri fascisti di Renzino verranno ricordati dal Regime, nel ventennio successivo, con solenni manifestazioni: ad Arezzo verrà costruita un’“Arca” in ricordo di Roselli (tumulato nel cimitero cittadino); mentre Cinini e Rossi, fiorentini, vennero traslati nel Sacrario dei Martiri Fascisti di Santa Croce, a Firenze. Sulla facciata della Cascina Sarri verrà affissa una lapide in ricordo del tragico evento.

Sul finire del 1944, dopo l’occupazione della regione da parte delle truppe anglo-americane, i comunisti “assaltarono” i simboli fascisti, primi fra tutti quelli dei martiri di Renzino: l’“Arca” di Roselli venne distrutta a picconate e la tomba del caduto fu sfregiata; i corpi di Cinini e Rossi (e di tutti gli altri squadristi del Sacrario di Santa Croce) vennero dispersi. Nel 1945, Gervasi, divenuto Sindaco di Foiano della Chiana, provvide celermente anche ad eliminare la lapide ricordo sulla Cascina Sarri e dei “fatti di Renzino” si perse per sempre memoria…

 

L’agguato di Renzino, lungi da rappresentare una controreazione agli attacchi degli squadristi, fornendo le basi di un’unità antifascista anarco-comunista sul modello dei successivi Arditi del Popolo, fu un atto privo di una propria strategia, che permise ai Fasci di attuare una violenta rappresaglia in tutta la zona, ponendo in rotta le organizzazioni di sinistra e le basi per la conquista definitiva di tutta la Val di Chiana. Infatti, i corpi dei fascisti straziati dai bastoni, dalle roncole e dai forconi suscitarono ribrezzo e condanna generale dell’opinione pubblica borghese, che non esitò ad approvare la rappresaglia delle camicie nere, i metodi squadristi e la politica dei Fasci. Ma non solo la borghesia cominciò  a guardare il fascismo come a una “soluzione”. Dopo quel giorno anche ampi strati popolari si avvicinarono al movimento di Mussolini. Come rilevava l’Ispettore Generale di PS Alfredo Paolella, dopo che la calma era ritornata in tutta la provincia di Arezzo, “in alcuni Comuni […] rilevanti sono le inscrizioni dei coloni alle nuove organizzazioni promosse dai Fasci di Combattimento”.

 

Pietro Cappellari

FONDAZIONE DELLA RSI – ISTITUTO STORICO

 

 

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

 

G.A. Chiurco, Storia della Rivoluzione fascista 1919-1922, Vallecchi, Firenze 1927, vol. III

F. Fabbri, Le origini della guerra civile. L’Italia dalla Grande Guerra al fascismo 1918-1921, UTET, Torino 2009

S. Mannino, Una Domenica di sangue. I “fatti di Renzino” fra storia e mito, Il Mulino, Bologna 2011

G. Sacchetti, L’imboscata. Foiano della Chiana, 1921: un episodio di guerriglia sociale, Arti Tipografiche Toscane, Cortona 2000

R. Vivarelli, Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla Marcia su Roma, Il Mulino, Bologna 2012, vol. III

M. Zannoni, Per l’Italia. I caduti per la causa nazionale (1919-1932), Edizioni Campo di Marte, Parma 2002

 

 

FOTO: http://www.facebook.com/home.php#!/groups/317458083905

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