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Crisi del partito come istituto  costituzionale o crisi dei partiti come attualmente sono strutturati?  Tutti sappiamo che la Costituzione in vigore in Italia non parla dei partiti come istituzione attraverso i quali si forma la classe dirigente  rappresentativa dei cittadini. L’articolo 49, l’unico che usa il termine “partito”,  dice  soltanto che «tutti  i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

La formulazione non potrebbe essere più generica di così ed infatti, le diverse leggi elettorali, varate dal 1948 (data di entrata in vigore della Costituzione) in poi,  non hanno nella realtà effettiva regolato il meccanismo con il quale il popolo esprime i propri rappresentanti in Parlamento.

Di volta in volta le leggi elettorali hanno solo modificato la maniera della presenza dei partiti  nelle due Camere ed inoltre tali legislazioni non si sono mai occupate dei sistemi  di selezione dei rappresentanti del popolo.

Questo compito è sempre stato lasciato alle oligarchie che hanno dominato i singoli partiti. Ne è derivato che  a determinare la formazione e quindi ad esprimere la volontà  del Parlamento è stata solo una  casta di cooptanti  che ha qualificato il regime politico vigente in l’Italia  come una partitocrazia invece che come una democrazia.

Il “metodo democratico”, cui si fa riferimento nel dettato costituzionale, non  stabilisce  nemmeno che esso venga applicato all’interno dei partiti  per la formazione  della loro dirigenza, né per la determinazione dei loro indirizzi. In altre parole,  non esiste – prevista costituzionalmente, né stabilita per legge – una base elettorale interna nei partiti che selezioni i propri dirigenti.

L’introduzione del finanziamento pubblico dei partiti –  consolidato ulteriormente attraverso il  deliberato misconoscimento dell’esito di un famoso  referendum (che  ne aveva deciso la cessazione) con la formula ipocrita del “rimborso delle spese elettorali” – ha fornito i mezzi per il definitivo radicamento della oligarchia dei cooptanti.

Quindi il fisiologico rinnovamento della classe dirigente nazionale  – particolarmente necessario in un’epoca,  come l’attuale, di accelerate modifiche strutturali della società  –  mediante la libera  selezione democratica non è mai avvenuto.  Vi sono stati solo due casi di cambiamento, ma ambedue al di fuori delle decisioni dirette del popolo sovrano.  Uno è stato l’intervento della magistratura in sede di  procedimenti penali contro gli esponenti di vertice di alcuni partiti (inizio degli anni Novanta) e l’altro, promosso dal Presidente della Repubblica, con la nomina di un “governo dei tecnici” (nel novembre dello scorso anno).

Quindi, i cambiamenti in Italia,  per quanto riguarda “la determinazione della politica nazionale”, come dice l’art. 49 della Costituzione, non sono avvenuti a seguito della evoluzione del comune sentire politico e della modifica delle esigenze espresse della  società nazionale,  ma a seguito degli episodi di corruzione della oligarchia partitocratica, oppure a seguito delle necessità determinate da una crisi nata e sviluppatasi fuori dai confini nazionali.

Le modifiche, dunque, non sono state  fisiologiche, ma patologiche e il popolo italiano non ha mai potuto dare effettive indicazioni politiche. I partiti hanno solo gareggiato fra loro nella demagogia  per acquisire consensi come gruppi di potere e non come operatori responsabili al servizio della comunità nazionale.

L’ultima obbligata abdicazione imposta al popolo italiano, come abbiamo detto, è l’attuale cosiddetto “governo di tecnici”  sostenuto in Parlamento dal gruppo maggioritario dei partiti e composto da persone non elette dal popolo.

A modificare l’attuale situazione  è chiaro che non possa essere una semplice legge elettorale, espressa dall’attuale Parlamento dei partiti, che dia la sovranità al popolo. E’ bensì necessaria una radicale modifica  costituzionale rivolta a definire che cosa si intenda per «libera associazione rivolta  a determinare la politica nazionale» e a indicare quali sono i corpi sociali intermedi che sono legittimati ad esprimere i veri rappresentanti del popolo che determinano quella politica.

Ripetiamo quindi che il problema non è  legislativo e non può essere risolto dal Parlamento dei partiti, perché è una questione costituzionale che deve essere risolta da una Assemblea Costituente.

Attualmente, a questo proposito, vi è tuttavia un generale disorientamento, né coloro che formano l’opinione pubblica, siano essi giornalisti oppure docenti universitari, aiutano a far chiarezza.

La risposta alla domanda con la quale abbiamo aperto questa nota non può essere pertanto che la seguente: la crisi è di tutti e due i tipi di partiti, sia del partito come descritto dall’attuale Costituzione sia dei partiti quali sono oggi.

La sovranità popolare non risiede nelle associazioni private di cui l’art.49 della Costituzione, che attualmente sono destinatarie, tra l’altro, di ingenti risorse pubbliche dell’uso delle quali non danno giustificazione, né tanto meno risiede nei partiti, che arbitrariamente dettano gli indirizzi della politica nazionale e la composizione non rappresentativa del Parlamento.

Il moderno concetto di “popolo sovrano” deve far riferimento alle articolazioni nelle quali è organicamente composta la società contemporanea. I gruppi sociali, quelli professionali, le attività culturali ed economiche, hanno acquisito una consapevolezza che in precedenza non esisteva. In passato l’elettorato era composto da masse di individui indifferenziati, spesso in condizioni di passività rispetto ai problemi gestione della res publica. Oggi non è più così.

Quindi la moderna rappresentanza democratica non può che essere espressa, compiutamente e in maniera competente, dai corpi intermedi come sopra indicati. Ad essi possono essere affiancati i partiti, come associazioni di coloro che condividono comuni opinioni e indirizzi, che però debbono essere dotate, per essere tramite di rappresentanza politica, di responsabilità pubblica e quindi soggetti ai controlli di legittimità, di interna democraticità e di corretto uso delle risorse ad opera degli organi dello Stato a ciò deputati.

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