Author: marsen

Siamo lieti di annunciare che verrà presto organizzata la proiezione del film “Il Segreto d’Italia” di Antonello Belluco. Il film, tanto atteso quanto boicottato sulla strage partigiana di Codevigo sarà proiettato presso il Cinema Astoria di Anzio nel mese di marzo in occasione della seconda edizione del Premio “Daniele Lembo”.
“Il film di Antonello Belluco – spiega il Dott. Pietro Cappellari – ha subito una lunga e travagliata gestazione, tra divieti e minacce, che hanno sconvolto non solo il normale lavoro di produzione, ma anche messo in serio dubbio la riuscita del progetto. Il tenace regista, tuttavia, ha incredibilmente perseverato ed ha compiuto un vero e proprio miracolo, facendo proprio l’antico detto: “Parlerò anche se l’Inferno stesso si spalancasse per ordinarmi di tacere”. E l’Inferno si era aperto, ordinando di tacere… Tutta l’intellighenzia italiana – quella che si spartisce i soldi pubblici, si intende – è insorta contro quello che era da considerarsi un reato di “lesa maestà”. La fascio-fobia ha di nuovo annebbiato le menti di professori e politici, condannando il progetto cinematografico alla consunzione per mancanza di fondi, minacciando tecnici, comparse e attori che volevano condividere il “percorso belluchiano”.
“Mobilitando amici e le coscienze di chi credeva fermamente in quel progetto – spiega Cappellari – Belluco è riuscito a produrre un lungometraggio straordinario, che supera di gran lunga le “telenovele” blasonate del cinema italiano (quelle, per intenderci, che – prive di contenuti, ma ricche di “bambole gonfiate” – divorano voracemente i contribuiti statali per la cinematografia). Si è registrata una mobilitazione di popolo, quella comunità che, il 18 Novembre, si è stretta con affetto e stima intorno al regista e ai suoi “ragazzi”. Quella comunità che ha permesso la realizzazione del film”. 
Ma cosa poteva contenere di così scandaloso “Il segreto di Italia”, tanto da mettere al bando dalla “società che conta” chiunque avesse osato collaborare con il maestro Belluco? Cosa ha scatenato quell’incredibile “epidemia” che ha fatto fuggire chi pure aveva, in prima battuta, accettato di lavorare con il coraggioso e determinato regista? Nulla. In un’Italia dove anche la pornografia è considerata un’“arte” e le perversioni sono il simbolo del progresso, il lungometraggio belluchiano aveva la “colpa” di raccontare una storia d’amore all’ombra di una delle più efferate stragi partigiane del dopoguerra: quella di Codevigo. Un massacro che doveva essere per sempre dimenticato. Eppure Il segreto di Italia non è un documentario, non è un film storico né di guerra, ma una “semplice” pellicola drammatica che, uscendo fuori dal dorato percorso del politicamente corretto, riportava alla luce una triste vicenda italiana che molti – moralmente complici – volevano cancellare”. Dopo il 28 Aprile 1945 crollato il fronte e ritiratisi i reparti italo-tedeschi, Codevigo venne occupata dall’8a Armata britannica, alle cui dipendenze operava il Gruppo di Combattimento “Cremona” e alcune bande partigiane, tra cui la 28a Brigata Garibaldi “Mario Gordini” al comando di Arrigo “Bulow” Boldrini, già Ufficiale della Milizia fascista. Quello che avvenne nei giorni successivi nella zona di Codevigo, ancor oggi, non ha responsabili. Si sa solo che in questa regione si scatenò una indiscriminata caccia al fascista che si trasformò in una delle più feroci mattanze che la storia d’Italia ricordi: quando nei primi anni ’60 fu possibile recuperare i corpi degli uccisi seppelliti in anonime fosse comuni, si contarono 136 cadaveri, di cui solo 114 vennero riconosciuti. Di decine di altri scomparsi in quei giorni di sangue non fu possibile ritrovare nulla, dispersi nelle campagne, trascinati via dai fiumi, inghiottiti dal “muro di gomma” che ha sempre circondato, con un’omertà diffusa, la strage antifascista”.
“Il Segreto di Italia – prosegue Cappellari – ci permette di riflettere, a tanti anni di distanza dall’impunito eccidio, sulla Resistenza, su cosa avvenne a Codevigo dopo la fine della guerra, contro gente disarmata cui nulla poteva essere imputato, se non la fede nella propria Patria e a un’idea. Ma non è un film storico, la sua impostazione è su un quadro di riferimento diverso, dove la strage – sebbene centrale – rimane sullo sfondo di unastraordinaria storia d’amore, quella che lega la giovane Italia (Gloria Rizzato) al fascista Farinacci (Alberto Vetri) e questi ad Ada (Maria Vittoria Casarotti Todeschini), moglie di un eroe della Regia Aeronautica disperso in Grecia, fuggita da Fiume ormai in balia degli slavo-comunisti. L’amore è presentato nel suo aspetto più puro, senza mai una sbavatura o una volgarità. Ci si innamora del sorriso della quindicenne Italia, degli sguardi straordinari di Ada, del volto pulito di Farinacci. La loro interpretazione è a dir poco magnifica, trasmettendo allo spettatore una miriade di sentimenti e di passioni che lo rapiscono e lo accompagnano per tutto il film. Quello che più colpisce, non è solo il coraggio e il tratto con cui Belluco dipinge la strage partigiana non dimenticando, ad esempio, il martirio della maestra Corinna Doardo. Si rimane impressionati dal talento degli attori, dalle loro interpretazioni a dir poco perfette. Mai una nota stonata, mai una caricatura: Fabrizio Romagnoli, Andrea Pergolesi, Valerio Mazzuccato, Giovanni Capalbo, Elisabetta De Gasperi, Amedeo Gagliardi, Monica Garavello e tutti gli altri attori hanno dimostrato una professionalità rara nel panorama cinematografico italiano. Quanto è bello leggere i nomi di attori italiani, in un film italiano!
Alla fine, quello che rimane dentro al cuore, è un leggero dolore. Come il colpo di cannone che, sovente, si ascolta durante la proiezione annunciando l’arrivo della tempesta, dell’odio antifascista. Quel dolore che ho potuto scorgere negli occhi di Stelvio Dal Piaz, che ha rivissuto il momento del triste abbandono di Arezzo insieme al papà, proprio su una Balilla uguale a quella con cui la famiglia di Italia fugge da Codevigo durante la mattanza partigiana. Il dolore che ho visto negli occhi di Giuliana Tofani, figlia di un caduto della Repubblica Sociale Italiana, che ha ripensato a suo padre, alla sua fine, al suo messaggio d’amore per la Patria e l’idea”.
“Il Segreto di Italia – conclude Cappellari – è un film da vedere e rivedere, non solo perché il sorriso di Italia (Gloria Rizzato) e gli occhi di Ada (Maria Vittoria Casarotti Todeschini) ci hanno letteralmente rapito. Il lungometraggio ha avuto un merito: quello di dare voce, dopo tanti anni, a chi voce non l’ha mai avuta. Ai caduti della RSI, uccisi ingiustamente fisicamente e, poi, vigliaccamente anche nella memoria collettiva. Di loro non si doveva parlare. Non erano degni di nessun ricordo. E quanto hanno sofferto i parenti delle vittime, aggiunge solo dolore al dolore. Il martirio e il silenzio. Obbligato. Quante sofferenze e quante dure lotte ha dovuto sostenere l’Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi della RSI per poter aver almeno un piccolo luogo dove pregare i nostri morti, i morti per l’Italia. Quel piccolo sacrario che, oggi, si può visitare, con il cuore che si stringe, a Codevigo. Tra i nomi incisi sul marmo ecco il S.Ten. Farinacci Fontana, che è anche uno dei protagonisti del film, su cui si posa, come ad accarezzarlo, la mano di un’ormai anziana Italia (Romina Power). Oggi, possiamo dire, che Farinacci – e tutti i caduti nella strage di Codevigo – non sono più soli e hanno una voce. Grazie Antonello, Romina, Gloria, Maria Vittoria, Alberto… e a tutti coloro che hanno permesso questo miracolo, non solo cinematografico”

di Lemmonio Boreo
La mattina del 21 Gennaio 2015 una delegazione del Comune di Anzio ha deposto una corona di fiori  al  Campo  della  Memoria  di  Nettuno,  il  Sacrario  militare  che  raccoglie  le  spoglie  dei  caduti della Repubblica Sociale Italiana immolatisi sul fronte di Nettunia nella Primavera 1944.
Con  questo  atto  dall’alto  valore  simbolico  si  sono  aperte  le  manifestazioni  del  71°  Anniversario dello Sbarco Alleato del 22 Gennaio 1944. Il fatto che il Campo della Memoria sia stato scelto come primo luogo per la deposizione di un omaggio floreale da parte delle Istituzioni ha onorato i ragazzi dell’associazione che da anni curano il sacrario della RSI.
Presenti  alla  manifestazione  le  rappresentanze  ufficiali  dell’Arma  dei  Carabinieri  e  della  Polizia Locale di Anzio, nonché alcuni reduci della Repubblica Sociale Italiana e il Paracadutista nettunese Santo Pelliccia, combattente di El Alamein,  che non ha mancato di ricordare chi ha sacrificato la propria vita per un ideale di Patria, per la libertà e l’onore della nostra Nazione.
Quel 22 Gennaio 1944, Nettunia fu occupata dalle truppe angloamericane che, con una massiccia operazione anfibia, speravano così di far crollare il fronte di Cassino. Ma i Germanici resistettero su tutta le linea. Il fallimento dell’intera operazione fu subito evidente e Nettunia si trasformò per ben quattro mesi  nel più grande “campo di prigionieri di  guerra autogestito” dell’intero conflitto. Qui, infatti,  rimasero  impanate  le  migliori  unità  degli  Eserciti  angloamericani,  tra  cui  ricordiamo  i Ranger che, nei pressi di Cisterna di Littoria,  subirono una delle più umilianti sconfitte della storia dell’intera Seconda Guerra Mondiale.
Sul  fronte  di  Nettunia  vennero  impiegati  anche  i  primi  reparti  della  neonata  Repubblica  Sociale Italiana come la Decima MAS, i Paracadutisti del “Nembo” e del “Folgore”, i reparti Aerosiluranti che si ricoprirono di gloria e dimostrarono al mondo il valore del soldato italiano, scrivendo pagine memorabili della storia militare della nostra Nazione.  I combattenti della RSI parteciparono così alla  difesa  di  Roma,  alto  onore  concesso  a  chi  amava  la  Patria  sopra  ogni  cosa.  Il  loro  sacrificio volontario fu necessario per dimostrare che vi erano degli Italiani pronti a sacrificare la propria vita in  nome  di  un  sacro  ideale  e  che  non  erano  disposti  a  vivere  come  schiavi  sotto  l’imperialismo angloamericano che, proprio allora, allungava le sue mire sul suolo della nostra Nazione.

Anche questo nostro intervento per smentire le fandonie di RAIBUFALA

Agli inizi degli anni Trenta fu concepita una apertura fra il Governo di Roma e i Paesi arabi. Tra il 1930 e il 1936 Roma cercò di accentuare la ua azione culturale ed economica nel Medio Oriente e nell’area araba-islamica in generale. Nel 1930 fu concepita la Fiera del Levante di Bari. Convegni furono organizzati dai Gruppi Universitari Fascisti nel 1933 e nel 1934 allo scopo di far incontrare a Roma gli studenti islamici. Radio Bari iniziò a trasmettere in lingua araba notiziari e programmi culturali. Tutto ciò mirava ad una penetrazione pacifica politica-culturale nel mondo arabo. Si diede anche maggior impulso agli studi arabi e a quelli sull’islamologia. L’impulso era orientato principalmente verso il mondo giovanile arabo che rispose creando affiliazioni fra le quali il Partito Giovane Egitto (Hisb al Folà) di Ahmad Hussayn e le Falangi Libanesi (al-Kadr al Lubnòniyya), e le Camicie Azzurre (al-Qumsàn az Zarqǎ) organizzazioni egiziane che si ispiravano, anche se vagamente, al Fascismo. Per conferire maggior impulso a questa politica, dal 12 al 21 marzo 1937 il Duce si recò in Libia dove, fra l’altro inaugurò la grande strada litoranea, detta Baldia opera gigantesca che si estendeva dai confini della Tripolitania a quello della Cirenaica con l’Egitto con un percorso di 1882 chilometri. Tempo impiegato: un anno; inaugurò, quindi la Fiera di Tripoli. Pose la prima pietra per la costruzione di un sanatorio e per una scuola elementare. <Quando il Duce appare a cavallo sulla più alta duna, esplose il triplice grido “Ulad!” I cavalieri prescelti offrono al Duce la spada lampeggiante dell’Islam in oro massiccio intarsiato (…) Il Duce snuda la spada e l’alza fieramente puntata verso il sole, lanciando a voce altissima il grido “Ulad!” (…). Il Duce lascia la duna e si avvia verso Tripoli, seguito da duemila cavalieri galoppanti> (Il Popolo d’Italia, 19/3/1937).

   La Spada dell’Islam, in oro massiccio, finemente cesellata dagli artigiani berberi, assumeva un notevole valore simbolico e venne consegnata al Duce da uno dei capi berberi Lusuf Kerbisc: era il riconoscimento di una sostanziale parte del mondo islamico, per la politica filo-araba del fascismo. Il viaggio in Libia fu programmato in previsione di un piano quinquennale per l’insediamento di 53mila coloni in Tripolitania. Negli anni 1938-39, in due riprese, sbarcarono in terra d’Africa 20mila coloni veneti scelti fra i non proprietari di terra e trasportati nei nuovi villaggi. Ad essi vennero assegnate case coloniche con apprezzamento di terreno; ogni casaera fornita da pozzi artesiani con quanto necessario per il pompaggio di acqua potabile. Ogni giorno automezzi dell’Ente Nazionale della Libia riforniva le famiglie di quanto necessario per vivere, nonché di attrezzi e sementi per rendere quelle terre aride in verdi di piante. La stessa assistenza veniva fornita anche ai libici, i cui possedimenti furono inseriti fra quelli dei coloni italiani affinché apprendessero le tecniche più moderne per il migliore sfruttamento del suolo. Così in quegli anni mai si dovette assistere a carrette del mari che, come in questi periodi trasportano disperati che navigano verso l’Europa e che tanti morti hanno causato. E tu, caro lettore, non ti chiedi perché RaiBufata, e i suoi coi detti storici, mai trattano anche questo argomento?

A Tripoli e Bendasi vi erano due ospedali, di moderna concezione, dove potevano accedere – al contrario di quanto accadeva al di fuori delle nostre colonie – anche cittadini autoctoni. Le stazioni dei carabinieri erano composte anche da militari indigeni perché, come vedremo più avanti, considerati Italiani della Quarta Sponda; la criminalità era inesistente.

Per ritornare al viaggio del Duce in Libia, è interessante ricordare alcune tappe. Mussolini visita la piccola città di Sirte dove <la popolazione indigena adunata intorno ai vessilli dell’Islam, lo accoglie con fervide dimostrazioni di fedeltà e di entusiasmo; il Duce, che traversa la città in piedi sull’automobile risponde con il saluto romano alle intense acclamazioni della folla>.Quindi si sposta a Tauroga, poi a Misurata, dove ispeziona i lavori di bonifica e di irrigazione; quindi si porta a Bir Tumina, ove scaturisce acqua da un pozzo artesiano, capace di irrigare tremila ettari di terreno. Quindi è la volta di Tripoli, ove giunto al tramonto scende dalla macchina, monta a cavallo e, alla testa di duemilaseicento cavalieri entra in città. Il giorno dopo, in occasione dell’inaugurazione della Fiera di Tripoli, loda il lavoro compiuto in poco meno di un decennio <le città si sono trasformate e abbellite e nelle campagne i forti rurali italiani svegliano, col vomero temprato, una terra che dormiva da secoli>.

Prima di rientrare in Patria affermò: <Nei Paesi della cosiddetta democrazia, questo continuo allarmismo nevrotico, questa seminaggione di panico e sospetto non serve certamente alla causa della pace, perché turba profondamente l’atmosfera fra i popoli. Entro il Mediterraneo e fuori noi desideriamo di vivere in pace con tutti e offriamo la nostra collaborazione a coloro che manifestino un’identica volontà>. Ricordiamo che questo discorso fu tenuto nel pieno ella guerra civile spagnola, quando tutto il mondo era schierato contro il nostro Paese.

Appena rientrato, il 18 marzo Mussolini concesse un’intervista al giornalista Ward Price del Daily Mail, e così espresse il suo pensiero in merito ad una paventata guerra europea: <Anche soltanto dal punto di vista pratico del profitto e delle perdite, nulla potrei guadagnare da una guerra europea, mentre esporrei l’Italia a un terribile rischio>. Alla domanda di Price se <fosse pronto a dichiarare che l’Italia è ora interamente soddisfatta> il Duce così rispose: <Sì, dichiaro che dal punto di vista coloniale l’Italia è soddisfatta. L’Etiopia è un territorio immenso, colmo di enormi possibilità. Lo sviluppo di questo richiede tempo, energia e capitali ed è ragionevole che l’Italia desideri cooperare con le nazioni europee che hanno colonie in Africa, continente che rappresenta il complemento dell’Europa ed è necessario ai suoi interessi economici>.

Proprio in quei giorni si verificherà un avvenimento unico nella storia e che, da solo, dovrebbe vanificare le bufale raccontate da soggettini come RaiBufala e dai suoi cosiddetti storici, sempre se si raccontasse la STORIA, quella vera e non le bufale raccontate per annullare il valore di quell’Uomo e di quel Regime. Ecco i fatti:

NELLA 179° RIUNIONE DEL “GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO” TENUTASI IL 26 OTTOBRE 1938, ESAMINANDO LA POSIZIONE DELLA LIBIA, RELATORE ITALO BALBO, VENNE APPROVATA UNA MOZIONE CHE STABILISCE “CHE LE QUATTRO PROVINCE DELLA LIBIA ENTRANO A FAR PARTE DEL TERRITORIO NAZIONALE”>. Questo provvedimento non è che l’estensione del R.D.Legge 3 dicembre 1934 XIII N° 2012 e del R.D. 8 aprile 1937 XV N° 431, nel quale l’articolo 4 riconosce: <una cittadinanza italiana speciale per i nativi musulmani delle quattro province libiche che fanno parte integrante del Regno d’Italia>. Con questa legge i libici divennero gli ITALIANI DELLA QUARTA SPONDA.

Un decreto veramente rivoluzionario: mai nulla di simile era stato realizzato da alcun Paese coloniale. Ma questo determinò un ulteriore motivo di attrito con Londra e Parigi, che mal sopportavano qualsiasi mutamento allo status quo che considerava le colonie delle semplici terre di sfruttamento e gli autoctoni degli schiavi.

Anche e sottolineo anche in questo caso la soluzione si trova ispirandosi alla politica del mai sufficientemente deprecato ventennio. La dissennata politica dell’accoglienza è un danno per noi europei e per coloro che fuggono dall’inferno. C’è un solo modo di risolvere il problema: portare la civiltà europea e la capacità di lavoro sul posto: in Africa. All’incirca come si fece nell’infame periodo. Che sempre sia benedetto

Nessuno può negare che oggi siamo governati da una cricca di ladri, corrotti, corruttori, incompetenti, assassini, pedofili, mafiosi, camorristi, stupratori, bestemmiatori, maramaldi, “finocchi”, burattini, traditori, palazzinari, voltagabbana, vigliacchi, “vitaliziari” ecc. ecc..

Vediamo quale è stata la risposta italiana alla grande crisi economica mondiale del 1929, crisi che, a detta di valenti economisti fu più grave di quella nella quale siamo stati affogati.

Scrive Giorgio De Angelis (L’Economia Italiana tra le Due Guerre, pag. 137): <L’onda d’urto provocata dal risanamento monetario on colse affatto di sorpresa la compagine governativa (…). L’opera di risanamento monetario accompagnata da un primo riordino del sistema bancario, permise comunque al nostro Paese di affrontare in condizioni di sanità generale la grande depressione mondiale sul finire del 1929 (…)>. Sempre nello stesso volume il professore Gaetano Trupiano, a pag. 169, afferma: <Nel 1929, al momento della crisi mondiale, l’Italia presentava una situazione della finanza pubblica in gran parte risanata: erano stati sistemati i debiti di guerra, si era proceduto al consolidamento del debito fluttuante (…)>. Il altre parole, mentre nel mondo centinaia di persone si uccidevano per la disperazione, in Italia, anche se la crisi internazionale sta producendo diversi danni, le iniziative del Governo (attenzione! Sia chiaro, per Governo s intende quello di Mussolini) erano riuscite ad evitare che la catastrofe assumesse quelle drammatiche proporzioni che altrove si erano verificate. Addirittura grazie ai Ministri finanziari del Governo Mussolini e, ultimo in ordine di tempo fra questi, Antonio Mosconi, riuscirono a far sì che negli anni fra il 1925 e il 1930, i conti nazionali registrassero attivi da primato.

Sabino Cassese, a pag. 20 dello stesso volume sopra indicato, osserva: <Lo Stato affrontò la crisi congiunturale spaziando dalla politica monetaria alla politica creditizia, dalla politica finanziaria alla politica valutaria, dalla politica agraria alla politica industriale, dalla politica dei prezzi alla politica dei redditi, dalla politica fiscale alla politica del commercio estero, dalla politica previdenziale alla politica assistenziale>. Questo si poté realizzare grazie alla generale onestà e a coloro che operarono e poterono vantare di avere i cabasisi al posto giusto.

Ed ora una testimonianza al di sopra di ogni sospetto. Che l,’Italia fosse (allora) sulla via giusta è attestato proprio da colui che è considerato uno dei maggiori giornalisti e scrittori dello scorso secolo: Giuseppe Prezzolini . Prezzolini nacque per caso – così era solito dire – a Perugia il 27 gennaio 1882 (morì centenario a Lugano nel 1982). Dopo aver partecipato alla Prima Guerra mondiale si trasferì, non accettando il regime fascista, negli Stati Uniti nel 1929; ma, come poi scriverà, non mancherà di tornare frequentemente in Italia. A seguito di uno di questi viaggi compiuto nei primi anni Trenta, scrisse:<Le mie impressioni possono forse parere semplici per i lettori italiani, ma hanno, lo sfondo dei paesi per i quali passo quando torno: un confronto e un controllo. Pace in questa Italia: ecco il primo sentimento certo che si prova venendo da fuori e dura per tutto il soggiorno. La pace degli animi, il silenzio delle lotte che divorano gli altri paesi, e separano classi e spezzano famiglie e rompono amicizie, e disturbano il benessere, talora in apparenza maggiore. Le strade non saranno grandi come le Avenue, ma non ci sono mitragliatrici; le lire non saranno molte come i dollari, ma sono sempre lire e lo saranno domani. I ricchi non hanno bisogno i guardie del corpo per salvare i figlioli dal sequestro. I poveri non devono pagare la taglia mensile alla mala vita per esercitare il loro mestiere. C’è oggi una generale convinzione che in un mondo come quello d’ora l’esercito è uno strumento di prima necessità. Vi sono momenti in cui anche la famiglia più modesta e l’uomo più pacifico pensano che sia meglio saltare un pasto per comprarsi un revolver (…). Il popolo italiano appare rinnovato. Sta lontano dalle osterie e dalle risse; sale sui monti in folla. Gode, come nessun altro popolo, del paesaggio, dei fiori, dei colori e dell’aria. I discorsi e i commenti che vi sentii, lasciano trasparire l’atmosfera di serenità e di salute. Il popolo italiano ha un aspetto più forte, più dignitoso, più serio, meglio vestito di un tempo, è ossequiente alle leggi e ai regolamenti, è istruito nella generalità e più aperto perfino agli orizzonti internazionali. Si muove di più, viaggia di più: conosce meglio di una volta il suo paese. Non è ricco come altri popoli, ma non lo è mai stato e in confronto del popolo americano mi pare, senza dubbio, più contento>. Esattamente come oggi, vero, signori di Rai Bufala?

E tu, amico lettore, sapevi che Franklin D. Roosevelt, inviò nel 1934, Rexford Tugwell e Raymond Moley, due fra i più grandi cervelloni del Brein Trust in Italia per studiare il miracolo italiano? Ma sentite, sentite, una parte della relazione di Tugwell: <Mi dicono che dovrò incontrarmi con il Duce questo pomeriggio (…). La sua forza e intelligenza sono evidenti come anche l’efficienza dell’amministrazione italiana, il più pulito, il più lineare, il più efficiente campione di macchina sociale che abbia mai visto>. (Dal Diario inedito di Tugwell, in data 22 ottobre 1934).

Ė come se oggi io scrivessi che Obama, o Bush, o chi per loro, inviassero due o tre cervelloni in Italia per studiare la politica di Renzi, o di Monti, o di Letta. Non mi prendereste per matto?

Cosa grida quel lettore laggiù in fondo? Che festeggia la ricorrenza della liberazione?!. Poverino…

E concludo. Visto che le leggi (parlo di leggi) in economia sono eterne, perché non ispirarsi a quanto fu fatto nel mai sufficientemente deprecato, infausto Ventennio?

Cosa grida quest’altro lettore? <E la disoccupazione!? E la giustizia sociale!?>. Cercheremo di fornire appropriate risposte quanto prima con altri confontini.

CIRCA L’ITALIA CHE FRANA, CON RELATIVI MORTI. Avevo 5 o 6 anni; un giorno durante uno dei normali giorni di scuola, la mia insuperabile maestra, la signora Gandolfi, ci disse di avvertire i nostri genitori che il giorno successivo saremmo dovuti andare per una missione in campagna e chi voleva poteva indossare la nostra divisa. Avvertii della cosa mamma e papà e, indossata la divisa di Figlio della Lupa, il giorno dopo mi recai a scuola (Riccardo Grazioli Lante), ma non feci in tempo ad entrare che fuori ci attendeva, fra le altre, anche la maestra, signora Gandolfi, che ci accompagnò ad un autobus che ci attendeva fuori della scuola. Dopo un certo tragitto, giunti in una zona di campagna e, scesi dall’autobus, ci venne incontro addirittura il Duce, il quale dopo un brevissimo discorso ci spronò a svolgere una missione nella quale eravamo tutti impegnati. Missione, ci disse, nell’interesse della Patria e del nostro futuro. Detto questo ci vennero consegnate delle piantine e cominciammo, tutti insieme con il Duce in testa, a piantarle salendo su una collina.

La sera, stanco quanto mai, mi addormentai felice di aver compiuto, con il mio dovere, anche qualcosa di utile, appunto, per la mia Patria.

Qualche tempo fa lessi che durante il mai sufficiente deprecabile, infame Ventennio (che sia sempre benedetto) furono piantati un miliardo di alberi; ritengo la cifra esagerata, ma ne furono piantati a sufficienza perché l’albero, grazie alle sue radici opera all’incirca come il ferro-cemento, cioè, ripeto, grazie alle radici queste trattengono la terra impedendo che essa frani. Non so se mi sono spiegato. Provo a farlo meglio: durante il Male Assoluto, vennero piantati degli albero che svolsero nel tempo le loro funzioni. Poi, finalmente (bah!) fummo liberati (doppio bah!, anzi triplo) e grazie ai liberatori (ma quando ce ne libereremo?) è tornata la libertà (quella di rubare, quella di cementificare a cacchio di cane) ed oggi, finalmente possiamo navigare, grazie alle frane, nelle strade e godererne molto più di qualsiasi altro popolo. Quando c’era il Male Assoluto (che sia una volta ancora benedetto) esisteva la salvaguardia dell’ambiente e sorgevano i Parchi Nazionali e, di conseguenza la salvaguarda del verde. Non so se mi sono spiegato!

ORA UNA FAVOLA – CHE E’ STATA REALTA’. Oggi è stata raggiunta un’Italia dei diritti e della libertà (non si espresse così l’onorevole Violante?). A proposito di onorevole, non sarà mai così, ma se fossi deputato e qualcuno mi chiamasse onorevole, per me sarebbe una offesa molto grave.Tornando a noi: il ladro che ruba commette una grave colpa e per questo se acciuffato dovrebbe finire in galera, e questo sarebbe giusto. Ora volgiamo lo sguardo nell’ambito politico. Certi onorevoli – credo che siano tre o quattromila – prima hanno varato una legge attestante che rubare non è un furto, poi si sono concessi dei vitalizi che vanno dai 3.000 ai 10.000 euro mensili, ovviamente senza annullare la ricchissima pensione. Mi spiego meglio dato che il furto è così infame che anch’io sono rimasto incredulo. Ebbene questi signori che a fine rapporto (rapporto che può essere loro riconosciuto anche se si sono presentati nelle aule solo per un paio di mesi) si sono concessi un premio (chiamiamolo così), battezzato vitalizio, cioè vita natural durante, vitalizio che non intacca la loro super dorata pensione, vitalizio che parte, appunto, da 3.000 a 10.000 Euro mensili. E questi mariuoli da galera, molti di questi, non contenti della furbatina sono anche dei corroti e corruttori. Sapete, tanto per arrotondare, e poi tengono famiglia…

Ed ora per farmi passare l’incombente mal di fegato, trattiamo della favola. E spostiamoci a qualche anno indietro. Sino alla fine del 1943 Mussolini (sì, sì, Lui, l’infame) aveva rifiutato qualsiasi appannaggio, non solo a titolo personale, ma anche per le spese della sua segreteria. Riporta il Candido del 1958, parla il Ministro Pellegrini-Gianpietro: <Nel novembre era stato preparato un decreto, da me controfirmato, con il quale si assegnava al Capo della Rsi, l’appannaggio mensile di 120 mila Lire. Il decreto, però che doveva essere sottoposto alla firma del Capo dello Stato, fu da lui violentemente respinto una prima volta. Alla presentazione, effettuata dal sottosegretario di Stato, Medaglia d’Oro Barracu, seguì una seconda del suo segretario particolare Dolfin. A me, che, sollecitato da Dolfin e dall’economo, ripresentai per la terza volta il decreto, Mussolini disse: “Sentite Pellegrini, noi siamo in quattro: io Rachele, Romano e Annamaria. Mille lire ciascuno sono sufficienti”. Dovetti insistere nel fargli notare che, a parte l’insufficienza della cifra indicata, in relazione dl costo della vita, occorreva tener conto delle spese della sua casa e degli uffici. Dopo vive sollecitazioni finì per accettare, essendo egli anche Ministro degli Esteri, solo l’indennità mensile di 12.500 lire assegnata ad ogni altro Ministro. Nel dicembre 1944, però, mi inviò una lettera che pubblicò, rinunciando ad ogni e qualsiasi emolumento, ritenendo sufficienti alle sue necessità i diritti d’autore>. Cosa ne pensi, caro lettore? Mi dici che vai a Montecitorio o nelle sedi di qualsiasi ufficio delle Regioni? A far che, ti chiedo, in quelle sedi troverai solo esponenti dei diritti e della libertà.

Concludo. Gli italioti, che come tutti sappiamo sono tanto intelligenti e furbi, cosa hanno escogitato? Hanno messo in atto gli ordini dei liberatori, hanno assassinato il malefico ed hanno instaurato questa democrazia dei diritti e della libertà. Non siete felici?

E grazie ai liberatori (sì, sì, quelli che con solo due bombette, quelle, cioè, assolutamente fuori da ogni convenzione, uccisero e storpiarono 300 mila esseri umani, tutti scrupolosamente civili!) oggi abbiamo una classe politica, mafiosa, corrotta, corruttrice, ecc. ecc. ecc. Allora avevamo un Jung, un Beneduce, un Serpieri, un Crollalanza ecc. ecc., uomini onestissimi, a capo dei quali c’era un Male Assoluto il più onesto di tutti, e tutti tesi all’interesse del popolo, i quali con gli occhi di oggi possiamo catalogarli fra i fessi.

   E ALLORA, COME USCIRE DALL’ATTUALE CRISI? Sarebbe semplicissimo: ispirandosi a quanto fu fatto durante il mai sufficientemente condannabile, infausto truce Ventennio; sempre che gli attuali mascalzoni lo volessero. Una breve premessa: sapete che nel periodo del Male Assoluto l’Italia uscì dalla crisi congiunturale nata nel 1929 meglio di qualsiasi altro paese, tanto che da ogni parte del mondo giungevano in Italia esperti per studiare il miracolo italiano? Non lo sapevate? Ė ovvio, certe cose si debbono nascondere.

Concludo: Continuerò in uno dei prossimi miei lavori.

Allora in bocca al lupo a tutti, anche se sarebbe più veritiero augurare: in bocca a Renzi (o simili che sono tanti e ognuno simile agli altri). Ciao, ciao…

La complessa e inquietante evoluzione del quadro internazionale
Questo numero del Sestante, a carattere monografico, è dedicato integralmente alle analisi della situazione internazionale con riferimento centrale all’Europa.
Il panorama delle crisi che si sono sviluppate nel 2014, e che si caratterizzeranno ancor più nei prossimi anni, è delineato con la sua competenza ed esperienza da Giulio Terzi di Sant’Agata, il quale alla professionalità diplomatica unisce una profonda conoscenza dei percorsi storici.
Infatti, la sua analisi parte dalla constatazione di come vi sia una simmetria tra la crisi che nel 1914 ha portato alla Prima guerra mondiale – la quale ha modificato integralmente la geopolitica europea con decisive ripercussioni in tutto il resto del mondo – e le crisi di esattamente un secolo dopo, cioè quelle che abbiamo vissuto in questi mesi le quali sembrano prodromi di allarmanti e più vasti conflitti che potrebbero emulare le due grandi vicende belliche che hanno caratterizzato il Novecento.
L’ampio e documentato panorama di Giulio Terzi è seguito da un acuto e documentato testo sulla crisi ucraino-russa di Nazzareno Mollicone le cui cause e le cui conseguenze possono ricadere pesantemente sull’Unione Europea e sugli ulteriori sviluppi della politica della Russia.
Mollicone focalizza la problematica in maniera interessante e da non trascurare in quanto vede una politica statunitense che usa l’Unione Europea come strumento della sua strategia volta ad isolare la Russia di Putin anche con riferimento all’influenza che essa ha nella complessa crisi Medio-Orientale, ormai allargata all’Africa non solo mediterranea.
Come viene reso esplicito da questo numero monografico riguardante i problemi internazionali, il nostro Centro Studi estende con questo bollettino i suoi settori di studio, di analisi, e quindi di interpretazioni, affinché la prossima futura politica italiana venga elaborata e si doti di adeguate istituzioni tenendo appunto conto anche delle influenze che vengono dall’esterno del nostro Paese e della UE. L’Italia e l’Europa sono immerse in problematiche che riguardano forti evoluzioni in corso in tutto il mondo e debbono quindi dotarsi di capacità adeguate ai compiti che la storia passata e lo sviluppo civile odierno impongono per il futuro (g.r.).

SOMMARIO

- Panorama della situazione internazionale.
Le crisi del 2014 di Giulio Terzi
1. La crisi ucraina e il riemergere della contrapposizione est-ovest; 2. L’instabilità nel “grande Mediterraneo” e il confronto tra sunniti e sciti; 3. La “questione iraniana”; 4. Esiste una visione strategica dell’Occidente?
– La crisi euro-russa va adeguatamente interpretata.
La questione Ucraina e le ragioni dei separatisti filorussi di Nazzareno Mollicone
1. La situazione storica; 2. L’intervento degli Usa; 3. L’autonomia delle regioni russe; 4. Le elezioni nelle due parti; 5. Il ruolo assente o punitivo dell’Europa; 6. Il danno delle sanzioni.

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È venuta l’ora della svolta politica

Le ripercussioni per l’esito delle recentissime elezioni regionali, seppur limitate a due territori, stanno scatenando ulteriori allarmi e tuttavia, invece di dar luogo ad adeguati approfondimenti sulla crisi del sistema, hanno alimentato soltanto diatribe circa il diverso peso specifico dei gruppi politici che oggi pretendono di organizzare la rappresentanza legislativa ed esecutiva del popolo italiano.

Riteniamo, invece, che sia venuto il momento di affrontare alla radice il problema e completare l’Appello che il CESI ha già fatto agli italiani per un’Assemblea Costituente e per la Rifondazione dello Stato con un invito a coloro che in passato sono stati divisi da improvvide fusioni ed ora operano dispersi pur avendo alle spalle un comune patrimonio di principi e di valori che, se attualizzati, contengono soluzioni e progetti di rapida rinascita nazionale.

Questo numero de Il Sestante, porta quindi anzitutto una dettagliata analisi degli avvenimenti che caratterizzeranno i prossimi mesi. Sono procedure per obiettivi sostanzialmente non risolutivi, ma che per l’attuale classe dirigente costituiscono l’unica ragione per esistere. Le forze nazionali e sociali disperse hanno quindi – se lo vogliono perché ne sono consapevoli – tutto il tempo e le opportune occasioni per riprendere un lavoro di squadra in una unità d’intenti, di programma e di obiettivi.

Il bollettino del CESI, poi, analizza ad opera di Mario Bozzi Sentieri, le cause del dissesto idrogeologico del Paese e indica le soluzioni. Anche in questa analisi viene in rilievo come si tratti di un problema di sistema, che va affrontato sia al centro che alla periferia dello Stato, in maniera unitaria, coordinata e con rigorosa disciplina.

Altro argomento di estrema importanza è quello trattato nel rapporto steso dai professori Angelo Ruggiero per l’AESPI e Enrico Orsi per il CNADSI riguardante necessarie, indilazionabili riforme soprattutto nelle scuole medie e superiori . Tale rapporto punta a far uscire l’educazione delle nuove generazioni dagli attuali miopi criteri della pura istruzione nozionistica e auspica il ripristino del civilissimo insostituibile criterio di base costituita dalla formazione umanistica. Essa è l’unica che può dare spessore a tutte le professionalità richieste dal mondo moderno. Le sole conoscenze tecniche, sia pur le più raffinate secondo i canoni dell’informatica e l’uso generalizzato del computer, non sono in grado di formare – in nessun grado della scala sociale – cittadini attrezzati per il confronto con quanto avviene nel mondo globalizzato.

Questo numero è completato dalla consueta rubrica “I libri del Sestante” che fornisce un orientamento ed un aggiornamento indispensabili a quanti vogliono guardare al presente e al futuro con gli occhi aperti (g.r.).

SOMMARIO

- Parole franche a coloro che sono direttamente impegnati nelle attività politica. Assumere posizioni chiare e decise nelle prossime scadenze di Gaetano Rasi

- Clima e non solo. I costi sociali del “sistema” di Mario Bozzi Sentieri

- Comunicato AESPI-CNADSI del 12 novembre 2014. Le reali emergenze di una scuola da riformare. Commento culturale e didattico al rapporto governativo “La buona scuola” di Angelo Ruggiero (Presidente Nazionale AESPI) e Enrico Orsi (Presidente Nazionale CNADSI)

- I Libri del Sestante. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri

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Sabato 29 novembre, per iniziativa dell’“Associazione Culturale Pensiero e Tradizione” e con il patrocinio dell’AESPI, si terrà a Mantova, con inizio alle ore 17, una conferenza sul tema “Carlo Alberto Biggini, l’anima colta, l’uomo  puro”.

Biggini fu Ministro dell’Educazione Nazionale dal 1943 al 1945 e in tale veste elaborò un progetto di riforma della scuola che ancor oggi presenta aspetti di attualità. Come molti ricorderanno, già in occasione del 60° anniversario della morte, nel 2005, l’AESPI, in collaborazione con l’“Istituto Carlo Alberto Biggini”, gli aveva dedicato un Convegno.

Per conoscere la sede dell’interessante incontro mantovano, del quale si allega il programma, è necessario comunicare la propria partecipazione telefonando al numero

(+39)3336978325.

Cordiali saluti.

Per l’AESPI:Giuseppe Manzoni di Chiosca

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La nobilissima nazione armena custodisce gelosamente l’onore che le compete quale primo regno dell’antichità convertito alla fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo.

L’Occidente dovrebbe amare e onorare gli armeni, perseguitati dai maomettani a causa della loro indefettibile fedeltà alla religione cristiana e vittime dell’atroce persecuzione organizzata dagli efferati turchi, i quali, approfittando della distrazione umanitaria causata dalla grande guerra, nel 1914 avviarono un colossale genocidio, il primo Olocausto del secolo sanguinario.

Purtroppo la tragedia armena è stata ed è tuttora oggetto di una infame censura negazionista, orchestrata dai media sotto controllo democratico dei governi occidentali (occidente significa, appunto, terra dell’oscuramento), poteri che con ogni mezzo tentano di impedire il disturbo procurato dalla verità agli esigenti  alleati turchi.

L’epurazione della verità storica fu a tal punto  implacabile che i  futuri autori del film La masseria delle allodole, i fratelli Taviani, nella cui casa prestava servizio un’esule armena, giudicarono inverosimile la notizia del massacro compiuto dai turchi.

La diffusione delle notizie sull’Olocausto armeno è curata unicamente da scrittori, registi ribelli e da editori irriducibili, personalità che sono sistematicamente costrette al margine dal sistema della menzogna, trionfante nell’Occidente liberale, umanitario e pseudo-ecumenico.

Ora da Chieti l’impavida, disobbediente casa editrice Tabula Fati propone ai lettori italiani Melania,l’avvincente/struggente storia spirituale scritta dalla figlia di una donna armena, scampata allo sterminio del suo popolo.

Melania è un’opera dolente e struggente, scritta dalla figlia di una donna coraggiosa, rara superstite e testimone della immane tragedia vissuta dal cristianissimo popolo armeno.

Renata Dalmasso e Giovanni Franceschi, due liguri autori della toccante presentazione del volume, disegnano il profilo religioso di Melania, “nei suoi ultimi giorni immersa in una dimensione spirituale accesa, palesa alla figlia la forza della sua proiezione verso il Regno Celeste, quella proiezione infusa dalla Patria Armena” .

 Melania era una donna eccezionale: parlava sei lingue e possedeva una straordinaria attitudine a ricostruire e narrare la storia del suo popolo e della sua famiglia.

I suoi genitori erano originari di Gurun, nell’Anatolia Orientale. Laboriosi, “coltivavano terre fertili attraversate da torrenti pescosi“. Oltre agli orti e ai campi  possedevano generosi frutteti, “solo di noci ne avevano di cinque tipi“.

Melania, che era nata nel 1909, nel 1914, diventata orfana di padre, fu ricoverata in orfanotrofio. In quell’anno ebbe inizio la tragedia degli armeni. Alla figlia Melania rammenta i primi segnali dell’atroce pulizia etnica concepita e compiuta dai turchi: “Cominciarono a giungere notizie di massacri, di teste mozzate, di donne squartate da due cavalli in corsa, di olio bollente, di accecamenti, di impalamenti, di capezzoli femminili strappati ed esibiti a mo’ di manifesto truculento sui davanzali delle finestre delle sventurate abitatrici”. 

Da una zia, che visitò l’orfanotrofio prima di iniziare la fuga dalla scena del crimine, Melania apprese che sua madre, sua nonna e le sue tre sorelle erano state cacciate dalla loro casa e chiuse dai turchi nella stalla, su cui era segnata con sangue una croce.

Trascorsero alcuni anni e finalmente anche gli orfani armeni scampati alla morte furono espulsi dal loro territorio. Gli esuli “non poterono rifugiarsi in Grecia, perché nel frattempo cominciavano a giungere in quel paese altri profughi a migliaia, altri infedeli per i Turchi: i Greci di Turchia. … Quei pochi Armeni, giovanissimi, poveri e soli, furono mandati chi in Egitto, chi in Francia, dove almeno non li si respingeva“.

Fino agli anni Venti, Melania trovò rifugio  in un orfanotrofio gestito da Patriarcato Armeno del Cairo, che abbandonò per diventare la governante della famiglia del direttore del Canale di Suez. Alla direzione del canale lavorava un telegrafista italiano, Carlo Garibaldi, il quale si innamorò di Melania e la sposò. La coppia ebbe due figli Carlo e Concetta-Nunufar, la quale rimase con la madre finché questa visse. Nel 1956, a causa della guerra di Suez, la famigli di Melania fu costretta a emigrare in Italia, non senza fare esperienza della giustizia inglese: “Carlo, nonostante trentanove anni di onorato servizio presso la Società del Telegrafo, di proprietà della Gran Bretagna, non poté godere della pensione, negatagli in quanto cittadino di un paese nemico durante la Seconda Guerra Mondiale”.

 Gli ultimi anni della sua vita Melania li trascorse nella tranquilla riviera ligure, a Bordighera. A novant’anni decise di confessarsi a un frate cappuccino, “al momento del commiato del frate ella volle alzarsi dalla sedia e si mise a cantare Alleluja … il pentimento dei propri peccati era così ben riuscito che in Cielo si era fatta festa e gli angeli avevano cantato in coro sul capo della vecchina”.

 Il tramonto di Melania fu accompagnato da presenze celesti. Rammenta la figlia: “aveva accettato di essere olocausto per il resto della sua vita. A me non disse nulla dei segreti che le erano consegnati, ma a due persone estranee alla famiglia disse: Dio ha creato il mondo pieno di saggezza e bellezza e l’ha donato agli uomini con le sue benedizioni. Ma gli uomini non le vogliono”.

 Melania morì nella gioia di raggiungere finalmente la sua vera Patria, l’Armenia celeste. “Il suo viso sorridente  emanava un senso di pace e beata tranquillità a tutti quelli che l’hanno visitata.

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