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Sul quotidiano on line “CITTA’ DELLA SPEZIA”, il 3 dicembre scorso, lo stimato politico spezzino Giorgio Pagano, già apprezzato sindaco per dieci anni della città, ha pubblicato un duro articolo contro il Convegno «Carlo Alberto Biggini. La rivoluzione costituzionale. L’uomo, il professore, il politico», svoltosi a Sarzana in occasione del settantesimo anniversario della prematura scomparsa del docente e uomo politico sarzanese che fu Rettore Magnifico dell’Università di Pisa e ministro dell’Educazione Nazionale del Regno d’Italia e della Repubblica Sociale Italiana.

Scandalizzato per il fatto che si sia osato commemorare un “gerarca fascista”, Giorgio Pagano ha accusato gli organizzatori del convegno e i relatori di avere “manipolato la storia” e si è scagliato contro la figura di Carlo Alberto Biggini definendolo “ubbidiente fino all’ultimo a Mussolini e a Hitler”, “corresponsabile degli eccidi nazifascisti”, “corresponsabile della persecuzione agli ebrei”.

Quali le pezze d’appoggio di Pagano per così gravi accuse? Alcuni articoli del progetto di Costituzione della RSI redatto da Biggini su incarico di Benito Mussolini e peraltro mai realizzatosi. Da dove, l’illustre ex sindaco spezzino, ha tratto le informazioni? Dal mio libro «Mussolini e il Professore», pubblicato da Mursia nel 1983 e contenente il progetto di Costituzione della RSI, ritrovato dopo 40 anni. Si da’ però il caso che il dottor Pagano abbia accuratamente evitato di citare ciò che scrissi per spiegare il perché di quegli articoli. Ovvero il capitolo che intitolai “Un virus nel sangue degli italiani». Gli rinfresco la memoria.

Tre articoli del progetto di Costituzione di Biggini contenevano norme di discriminazione razziale. L’articolo 73 contemplava il divieto di matrimonio tra cittadini italiani e “sudditi di razza ebraica”, e una “speciale disciplina” per i matrimoni tra cittadini italiani “sudditi di altre razze o stranieri”. L’articolo 89 stabiliva che la cittadinanza non avrebbe potuto essere acquisita da “appartenenti alla razza ebraica e a razze di colore”. Infine, l’articolo 90 precisava che tali sudditi avrebbero goduto dei diritti civili ma non di quelli politici: non avrebbero potuto “servire l’Italia in armi”, né svolgere attività “culturali ed economiche” che presentassero un interesse pubblico.

Biggini non era razzista, né tantomeno antisemita. A Padova era andato ad abitare in quattro stanze ammobiliate del palazzo dei Diena, una famiglia israelita: impedì che i beni della famiglia fossero confiscati, come avrebbe voluto la legislazione vigente, e lasciò che, sotto la sua protezione, trovassero rifugio in quella casa decine di ebrei. In un drammatico messaggio fatto pervenire il 27 ottobre 1945, dalla clinica di Milano dove si nascondeva, al suo avvocato Paolo Toffanin, in previsione del processo cui sarebbe stato sottoposto in quanto ex ministro di Salò, invitava il celebre penalista a “citare, oltre i più importanti nomi contenuti nella mia difesa, ebrei ed ebree da me aiutati, a cominciare dalla famiglia Diena e dalla famiglia Vanzetti”. Un giorno, durante la RSI, era accorso personalmente a trarre in salvo la marchesa Bonacossi, ebrea, che stava per essere catturata, nella sua villa di Pernumia (Padova), da elementi della “Muti” e delle SS.

Nessun dubbio sulla ferocia della persecuzione antiebraica attuata durante la dittatura fascista: prima, e soprattutto durante la RSI. Ne ho parlato, e l’ho raccontata, diecine di volte, nei miei articoli e nei miei libri. Una realtà di cui, in quanto italiani, dobbiamo solo vergognarci. Il che non toglie che il raffronto tra le proposte contenute nel progetto di Costituzione di Biggini e quella vergogna, autorizza a concludere che, se l’Italia sarebbe stata ancora, per gli ebrei, un Paese dal quale tenersi alla larga, tuttavia le condizioni di coloro che non avessero avuto altra scelta che quella di restare, sarebbero notevolmente migliorate.

Spiace che l’avveduto e intelligente ex sindaco spezzino abbia completamente dimenticato la parte centrale del progetto costituzionale di Biggini: quella parte ancora oggi più che mai valida e attuale, e alla quale sarebbe molto, ma molto utile rifarsi per uscire dalla crisi che ci sta dilaniando: quella del lavoro, della mancanza di lavoro, della disoccupazione dei giovani. Poiché non sto scrivendo un libro di storia, ma una lettera, mi limito a riportare il breve ma straordinario testo dell’articolo 116 del progetto Biggini (Sezione Seconda: il Lavoro): «La Repubblica italiana garantisce a ogni cittadino il diritto al lavoro, mediante l’organizzazione e l’incremento della produzione e mediante il controllo e la disciplina della domanda e dell’offerta di lavoro. Il collocamento dei lavoratori è funzione pubblica, svolta gratuitamente da idonei uffici gestiti dall’organizzazione professionale riconosciuta».

Prego cortesemente il dottor Pagano di rileggersi gli articoli del progetto Biggini dedicati al problema del lavoro, reperibili nella «Sezione Seconda: il Lavoro», pagg. 377 e seguenti del mio libro «Mussolini e il Professore», al quale egli ha sicuramente attinto per redigere il suo articolo per «CITTA’ DELLA SPEZIA». E, sempre al dottor Pagano, in riferimento alle sue accuse rivolte al sindaco di Sarzana Alessio Cavarra, che ha “osato” presenziare all’inaugurazione del convegno sul sarzanese Carlo Alberto Biggini, mi permetto ricordargli il messaggio dell’attuale Sindaco di La Spezia Massimo Federici esprimente piena, totale e incondizionata solidarietà al collega sarzanese:

«Caro Alessio, in merito alle polemiche sul tuo intervento di saluto al convegno sulla figura di Biggini, non posso che esprimere il mio rammarico per gli equivoci e le strumentalizzazioni di cui sei oggetto. Mi è parso davvero arbitrario gettare ombre sulle scelte di campo di cui sei da sempre fermo interprete. Sotto il profilo prettamente storico e alla luce del rigore storico, tutti i temi meritano di essere trattati. Recentemente, qui alla Spezia, la prestigiosa Accademia Cappellini si è intrattenuta sulla figura di Biggini senza che ciò generasse dibattIto alcuno. Mi è parso pertanto, di fronte alla pretestuosità della polemica in corso, doveroso manifestarti la mia solidarietà».

Null’altro da aggiungere

 

 

Luciano Garibaldi, 4 dicembre 2015

di Giorgio Pagano

 

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Conviene tornare sul tanto discusso convegno di commemorazione del gerarca fascista Carlo Alberto Biggini -non conosco altro modo per qualificarlo, nonostante che il Sindaco di Sarzana non sia d’accordo, perché Biggini tale era e perché lui stesso si autodefiniva così- sia per sgomberare il campo da incomprensioni o falsità sia per arrivare al nodo di fondo, che è quello dell’identità antifascista del nostro Stato e del “patriottismo costituzionale”.
Il “Secolo XIX”, riportando l’opinione di due miei amici storici e ricercatori, ha titolato: “Chi ha paura di studiare il pensiero di Biggini?”. Nessuno, ovviamente. C’è piena libertà di organizzare non solo momenti seri di studio ma anche iniziative di rivalutazione di quella figura e di manipolazione della storia. Ma c’è anche piena libertà -anzi, il dovere antifascista- di criticare queste ultime. E di criticare un Sindaco che vi interviene avallando di fatto quella rivalutazione e quella manipolazione. Che convegno si è tenuto sabato 21 novembre a Sarzana? Un convegno di rivalutazione di Biggini e anche di manipolazione della storia. La pagina a pagamento sui quotidiani e il sito dell’Istituto Biggini lo confermano: addirittura la bozza di Costituzione preparata da Biggini, allora Ministro dell’Educazione Nazionale della Repubblica sociale italiana, creata nell’Italia del centronord dagli occupanti nazisti con il loro fantoccio Mussolini, avrebbe “profondamente influenzato il testo che è diventato successivamente la Costituzione italiana del 1948”. In realtà si tratta di due Costituzioni antitetiche, e le differenze sono abissali. La Costituzione italiana, nell’articolo 1, afferma che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”; quella di Biggini, fatta propria da Mussolini, negli articoli 10 e 11 sancisce che “La sovranità promana da tutta la Nazione” e che “Sono organi supremi della Nazione: il Popolo e il Duce della Repubblica”. Ancora: la nostra Costituzione stabilisce che i tre poteri più importanti dello Stato -l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario- siano dati a tre organismi diversi, per evitare la concentrazione dei poteri che aveva caratterizzato la dittatura fascista; nella Costituzione di Biggini il Duce “esercita il potere legislativo”, a lui “appartiene il potere esecutivo”, mentre la funzione giudiziaria è esercitata dai giudici “nominati dal Duce”. Il Partito fascista è “organo fondamentale dell’educazione politica del popolo” ed è “riconosciuto come organo ausiliario dello Stato”: altro che “democrazia pluralistica”, come scrivono gli organizzatori del convegno! Ma ciò che è più manipolatorio è cercare di nascondere completamente gli articoli sulla “difesa della stirpe”, che contengono il “divieto di matrimonio di cittadini italiani con sudditi di razza ebraica”, e quelli sui “diritti e doveri del cittadino”, secondo i quali la cittadinanza italiana è titolo da “concedersi soltanto agli appartenenti alla stirpe ariana italiana” e “non può essere acquistata da appartenenti alla razza ebraica e a razze di colore”, le quali “non godono dei diritti politici”. Una Costituzione profondamente razzista, all’opposto della nostra, che nell’articolo 3 afferma che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Potrei continuare, ma credo che basti e avanzi. Come abbia potuto Cavarra parlare di “senso dello Stato e della giustizia” di Biggini è stupefacente. Che il gerarca sarzanese sia stato un uomo colto e che non sia stato personalmente un assassino è vero, ma ciò certamente non lo assolve, avendo egli obbedito fino all’ultimo a Mussolini e a Hitler, dalla corresponsabilità per gli eccidi nazifascisti, per la persecuzione degli ebrei e per aver portato l’Italia alla catastrofe (si vedano il mio articolo “Se vogliamo dare un senso alla storia dobbiamo celebrare Jacobs, non Biggini”, in “Città della Spezia” del 21 novembre, e quello di Sandro Bertagna su “La Spezia Oggi” del 22 novembre). Io non dubito dell’antifascismo di Cavarra: ma ha commesso un grave errore, e dovrebbe fare ammenda. Gli farebbe solo onore.
Se insisto non è per motivazioni politico-partitiche. Io non appartengo a nessun partito. Sono il copresidente del Comitato Unitario della Resistenza in rappresentanza dell’Anpi e ho il dovere, tanto più oggi che gli “ultimi” se ne stanno andando, di impegnarmi in ogni modo per trasmettere l’eredità morale e politica della Resistenza. Ma non è semplice: la vita repubblicana, in Italia, ha progressivamente oscurato e rimosso le sue pur incontestabili origini antifasciste. Ciò è avvenuto in modo marcato a partire dalla fine degli anni Settanta. Per comprendere la crisi della memoria e della politica dell’antifascismo, occorre tornare sull’alto grado di conflittualità che dopo il 1945 caratterizzò l’esperienza italiana: mentre la politica dell’anticomunismo divideva e indeboliva il grande potenziale riformatore che si era accumulato nel fronte socialmente e politicamente assai eterogeneo dell’antifascismo, la risposta dell’antifascismo era tale per cui esso tendeva incessantemente a riproporsi non tanto e non solo come insieme di valori più o meno condivisi dall’insieme delle forze che agiscono nello spazio repubblicano, ma come linea politica tendente a rimettere in discussione le divisioni interne fissatesi con il regime della guerra fredda, e quindi a identificarsi con una parte, quella “socialcomunista”. Poi ci furono gli errori degli anni Settanta: la sconfitta della politica del compromesso storico comportò la sconfitta dell’antifascismo, che era stato strettamente associato a quella politica. Il problema della condivisione dei valori fondanti della Repubblica è più aperto che mai. Ma un Paese si può dividere sulle scelte politiche senza rischiare di perdersi come comunità solo se tutti, forze politiche e cittadini, sentono il vincolo dell’identità nazionale. Se sono consapevoli, pur nel contrasto, che il “destino” degli italiani è uno solo. Non c’è alternativa a una riconsiderazione e a una reinterpretazione dell’antifascismo e del “patriottismo costituzionale” come spazio repubblicano super partes: quali altri ideali abbiamo se non quelli che ci hanno ispirato nella lotta di Liberazione? L’unica alternativa è una repubblica priva di ogni elemento identitario, complesso di procedure gestite da una classe politica sempre più “castale”: una prospettiva inaccettabile. Il ruolo dei partiti antifascisti è stato decisivo per la Resistenza e per la Costituzione, ma i conflitti del dopoguerra e gli errori degli anni Settanta hanno fatto sì che fossero i partiti stessi, con la loro crisi, a far tramontare la stella dell’antifascismo. Oggi i partiti non ci sono più, o almeno non ci sono più quelli veri, radicati nel popolo. Molti cittadini non credono più in nulla, e si astengono dal voto: c’è una crisi anche della società civile “partigiana”. Per un ragazzo di oggi la Resistenza, cioè il fondamento della Repubblica, si confonde nel magma indistinto della storia. In una fase così difficile non bisogna andare a commemorare Biggini ma ricordare i partigiani e i contadini, le donne, i sacerdoti che li accolsero e protessero ai monti. E oggi ricordare tutti coloro che, il 29 novembre di settantun’anni fa, furono ferocemente rastrellati dai nazifascisti in Val di Magra. Nel nostro Pantheon sta la gente comune, stanno le donne e gli uomini semplici che dalla Resistenza a oggi si sono battuti per la libertà e la democrazia, indipendentemente dalla loro appartenenza politica. Bisogna tener viva la loro memoria, non quella dei gerarchi.

 

Domenica 29 novembre 2015, Città della Spezia

 

 

 

Il 56% di chi ha votato il sondaggio di CDS ritiene giusto “non ridurre la sua figura esclusivamente all’attività politica”.

 

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La Spezia – Negli ultimi giorni sul caso sollevato martedì da CDS relativo all’organizzazione a Sarzana di un convegno sul ministro fascista Carlo Alberto Biggini e alla presenza del sindaco Alessio Cavarra per i saluti iniziali, si sono espressi un po’ tutti. Dagli esponenti dei partiti politici – da destra a sinistra – fino ai cittadini, al nipote dell’accademico sarzanese e alle associazioni dei partigiani. Sul tema abbiamo chiesto un parere anche voi lettori, in particolare sull’opportunità o meno di celebrare, nel settantesimo anniversario della Liberazione, un uomo politico legatissimo al fascismo e a Mussolini.
Da martedì ad oggi il 56,76% dei 414 votanti totali ha optato per la prima risposta: “Si. E’ stato un protagonista della vita pubblica locale e nazionale lasciando una preziosa eredità documentata nelle sue opere e nei suoi insegnamenti. Dopo tanti anni sarebbe inutile ridurre la sua figura esclusivamente all’attività politica”.
Il restante 43,24 ha invece ritenuto il convegno “poco rispettoso nei confronti della tradizione antifascista di Sarzana” e dunque anche poco consona la scelta del sindaco il quale ieri ha nuovamente ribadito come i valori della Resistenza, nei quali crede non possano essere messi in discussione dalla partecipazione all’apertura del convegno in programma dalle 9.30 di domattina presso il Loggiato di Gemmi a Sarzana.
Nella sala della Repubblica inizierà invece alle 10.00 la conferenza dedicata a Rudolf Jacobs, il militare tedesco che passò a lottare con i partigiani e morì in un’azione al Laurina.

 

Venerdì 20 novembre 2015, Città della Spezia

Il 19 novembre 1945, a soli 43 anni, si spegneva Carlo Alberto Biggini ministro importante della Rsi e studioso di primo piano.

Appunto di Marcello Veneziani

Carlo Alberto Biggini sarebbe stato uno dei personaggi chiave per un’Italia postbellica che avesse avuto il coraggio e la possibilità di digerire e superare il fascismo anziché esorcizzarlo e criminalizzarlo. Comprendere che un’epoca era finita, una storia si era irrimediabilmente conclusa, ma alcuni germi, alcune tracce, alcune intuizioni, potevano ancora dare frutti importanti. Uomini come Biggini avrebbero potuto rappresentare la transizione indolore, nel segno della continuità dell’Italia dal fascismo al postfascismo, evitando la schizofrenia di un Paese che aveva tributato entusiasmo e consenso al fascismo e poi lo aveva ripudiato come il Male Assoluto. Biggini non appartenne alla generazione del fronte che aveva fatto la Grande Guerra e ne era stata segnata. Per ragioni anagrafiche – adolescente al tempo della guerra non visse l’esperienza terribile della trincea – Biggini si trovò a vivere in toto la parabola dal fascismo, dalla sua nascita al suo tramonto. Ma visse quell’esperienza senza mai cedere al fanatismo e all’estremismo, cercando un’esperienza sociale oltre il socialismo e un’esperienza di libertà oltre il liberalismo, collegandosi alla tradizione nazionale. Biggini non fu neanche repubblicano per scelta ideale ma solo per necessità storica. E fu soprattutto uomo di frontiera, che pur schierandosi schiettamente dalla parte di Mussolini al tempo del Gran Consiglio del fascismo, cercò tuttavia di capire i motivi di chi scelse la via opposta. Monarchico e conservatore sul piano dei principi quanto rivoluzionario sul piano degli assetti, Biggini riconosceva nella Corona uno dei riferimenti unitari della nostra storia e dunque visse drammaticamente la frattura tra dinastia e regime, tra regno e regime. E dopo, quando scoppiò la guerra civile, pur avendo assunto un ruolo così importante nella repubblica sociale, nonostante fosse all’inizio recalcitrante, cercò di tenere vivo e aperto un canale di dialogo coi partigiani, cercando di cucire la frattura tra le due Italie e tra fascismo e antifascismo. Sarebbe stato perciò un personaggio decisivo per ricomporre l’Italia lacerata uscita dalla guerra, e per far capire ai duellanti fratricidi che la storia passa ma l’Italia resta, salvando al tempo stesso la sovranità dell’Italia dalla soggezione in cui poi si lasciò vivere.

Nella Repubblica sociale Biggini proseguì la lezione di Gentile e di Bottai, non solo in senso ideale e ideologico, ma anche da ministro e riformatore, sia per quel che riguarda la scuola e la cultura che la salvaguarda dell’ambiente e il dialogo con il dissenso e la tutela degli antifascisti.
Il suo disegno costituzionale sarebbe stato la transizione perfetta da un regime autoritario con consenso popolare quale fu il fascismo a uno Stato libero, sovrano e democratico, partecipativo sul piano politico, sociale ed economico. Il suo fu un progetto di “democrazia responsabile” prima che diretta, in cui chi governa si assume tutta la responsabilità di decidere e di governare e poi risponde in pieno, senza alibi, di ciò che ha fatto e non ha fatto, al popolo.
Uno Stato comunitario e partecipativo, organico e nazionale, in cui la vita reale del popolo prevale sugli assetti contabili della finanza e in cui l’interesse  pubblico nazionale prevale sugli interessi oligarchici privati. Uno Stato nazionale del lavoro, fondato su una visione comunitaria.
Sarebbe interessante vedere quanti elementi sotto falso nome, provenienti da Biggini, ma anche da Gentile, da Rocco e da Bottai, sono presenti nella Carta costituzionale della nostra democrazia. Ho sempre avuto il sospetto che il famoso compromesso di alto profilo tra le culture del dopoguerra su cui si impiantò il patto costituzionale e poi la vigente Costituzione non riguardasse solo la cultura cattolico-democratica, quella laico-democratica e quella socialcomunista, ma coinvolgesse anche quella cultura nazionale e sociale da cui proveniva Biggini. A partire dall’articolo 1 e dalla configurazione di una repubblica fondata sulla centralità del lavoro. Resta un mistero comprendere perché la sinistra – a cominciare da Togliatti, la Cgil e il Partito comunista – non abbia recepito dell’ultimo fascismo e della Costituzione repubblicana di Salò la partecipazione agli utili e alla gestione delle imprese, che pure è contemplata nella Costituzione all’art. 46 ma che non fu mai di fatto tentata e incoraggiata. Fu salvato il Concordato con la Chiesa, il Codice Rocco, pur considerato frutto velenoso di un regime dittatoriale, furono salvate le leggi sull’ambiente di Bottai e alcuni importanti tratti di economia mista, di partecipazione pubblica, di formazione scolastica; ma non fu recepita la più avanzata apertura al mondo del lavoro tramite l’applicazione effettiva della partecipazione agli utili e alla gestione delle aziende, prevista nella Carta di Verona come nel progetto di Biggini. Nel nome utopico dell’autogestione operaia e nel segno della lotta di classe, si respingeva ogni progetto di collaborazione tra capitale e lavoro, dipendenti e proprietari, ma si lasciava di fatto l’impresa nelle mani del Capitale pur di non avviare quella fase di cogestione che era il corrispettivo della democrazia partecipata nel mondo del lavoro. D’altra parte non è un mistero che ai tempi della Rsi e della Resistenza, la Fiat di Valletta, i nuclei partigiani e le forze occupanti naziste raggiunsero in Torino accordi per boicottare la cogestione prevista dalla Repubblica sociale.

Il progetto di Biggini non era socialista o protocomunista perché non prevedeva l’abolizione della proprietà privata e nemmeno la sua statalizzazione o collettivizzazione; venivano salvaguardate la proprietà privata e la natura privata delle aziende ma era assegnata loro una funzione sociale, comunitaria.
Perciò quando si parla di Biggini non si fa solo riferimento a un esperimento in laboratorio di ingegneria costituzionale, rimasto virtuale, ma si parla di una grande occasione perduta per l’Italia di darsi un assetto coerente, originale ed efficace di democrazia partecipativa. Non è il tecnicismo della sua costituzione a colpirci e a rivelare una sorprendente, inesplorata attualità; ma l’umanità che anima e sorregge la visione politica e sociale di Biggini e del suo progetto.
Non è il “patriottismo della costituzione” che ispira il disegno di Biggini ma al contrario una Costituzione pervasa da amor patrio, fondata sulla tradizione nazionale e sorretta da una visione comunitaria e organica che dista anni luce dal nostro presente, individualista, cinico e globale. Non è una Carta che può suscitare amor patrio; semmai è l’inverso, è l’amor patrio che può generare una buona Costituzione. Perciò non diremo, alla Benigni, che quella di Biggini fu la più bella costituzione del mondo ma che restò bella e intonsa, nella sua verginità di promessa incompiuta. Fu un modello ideale, un archetipo celeste, ma non ha perso tuttavia il fascino delle cose realizzabili, ardue ma non impossibili, che possono ancora farsi attuali e calarsi nella realtà presente.

http://www.marcelloveneziani.com/biggini-e-lrsquoitalia-che-poteva-essere-e-non-egrave-stata.html

Mario Bozzi Sentieri del 20 novembre 2015

 

Si ha un bel dire che siamo fuori dal tunnel delle vecchie ideologie e delle “eredità” storiche. A settant’anni dalla fine della guerra civile, crea ancora imbarazzo (con l’inevitabile strascico di polemiche) il ricordo di Carlo Alberto Biggini, docente universitario di dottrina dello Stato, Rettore dell’Università di Pisa nel 1941, Ministro dell’Educazione Nazionale nella Rsi dal 1943 al 1945.

Domani, a Sarzana, sua città d’origine, è previsto un convegno promosso dall’Istituto Biggini e patrocinato dalla Regione Liguria dove verrà ricordato “l’uomo, il professore e il politico”.

L’ appuntamento, al quale prenderanno parte storici, giornalisti, scrittori e docenti, sarà introdotto dal primo cittadino di Sarzana Alessio Cavarra. Immediate le critiche della locale sezione del Partito Democratico, il partito del sindaco, che con Matteo Delvecchio dichiara “Un sindaco rappresenta tutti ma ha l’onere di fare scelte. Fossi primo cittadino non interverrei ad un convegno su un ministro fascista. Neppure a settant’anni di distanza, neppure per buon vicinato. Prendo atto che guarda caso nella concomitanza di due convegni (uno su Jacobs in sala della Repubblica patrocinato dal Comune e l’altro in un locale privato su Biggini) il rappresentante di una città medagliata al valore militare per la Resistenza va al secondo”. Il tutto accompagnato dall’hashtag #noninmionome.
Che Biggini sia stata una personalità di spicco, ben oltre la sua appartenenza politica, ma certamente all’interno del fascismo, è fuori discussione. Quello che crea imbarazzo è proprio questo: Biggini è un uomo di cultura raffinato, aderisce al fascismo da giovanissimo (nasce nel 1902), firmando – tra l’altro – nel 1925, il manifesto degli intellettuali fascisti, ma è anche uomo di prima linea, che, dopo l’8 settembre, raggiunto a Viareggio, dove abita con la famiglia, accetta di diventare ministro dell’Educazione nazionale, nella Rsi, confermando peraltro la sua autonomia intellettuale, al punto da porsi anche in contrasto con i tedeschi ed avendo un ruolo nella liberazione del filosofo e giurista Norberto Bobbio e di Egidio Meneghetti, capo del CLN Veneto. Una personalità complessa, in definitiva, rispetto a cui non si addicono le facile schematizzazioni ideologiche.

E qui bisogna dare atto al sindaco di Sarzana, sotto attacco da parte del suo partito, di avere difeso una memoria, non solo locale, con chiarezza: “Quella di Biggini è una personalità troppo complessa e variegata per poter essere liquidata con etichette riduttive quali “gerarca fascista”, “ministro dell’Istruzione” o “studioso del diritto””. “Nel corso della storia – ha spiegato il primo cittadino di Sarzana, Alessio Cavarra – spesso la cancellazione della memoria si è abbattuta sui monumenti come è avvenuto un po’ ovunque con i simboli nobiliari dopo la Rivoluzione francese e anche a Sarzana, basti pensare al monumento a Benedetto Celso nell’atrio del Municipio o alla distruzione della statua raffigurante San Giorgio e il drago di Matteo Civitali, un tempo al centro della piazza. In altre situazioni – ha aggiunto – l’intento di rimuovere ciò che è stato, nel bene e nel male, si è concretizzato nella reticenza oppure in una riscrittura della storia che tende a far scomparire o scivolare in secondo piano alcune figure. Credo che a tale processo di rimozione ci si debba opporre con fermezza, soprattutto con iniziative come quella promossa sabato alla quale parteciperanno numerosi studiosi ed esperti. A Biggini si riconosce ad esempio anche il merito di aver voluto da Ministro dell’Istruzione l’istituzione del Liceo a Sarzana e la costruzione di un edificio scolastico all’avanguardia. Sono convinto – ha concluso – che la giornata consentirà di conoscerlo meglio non solo come uomo politico ma anche come pensatore, studioso e teorico del diritto”.

Un appello che sottoscriviamo: favorire la conoscenza e lavorare per ricucire l’identità nazionale. E’ – in fondo – l’abc della “buona Storia”, che evidentemente a Sarzana, ma non solo, non tutti conoscono.

 

Venerdì 20 Novembre 2015, Destra.it

Pubblichiamo una lettera di Sandro Bertagna

Vedremo cosa uscirà dal convegno sul ministro della repubblica di Salò C.A. Biggini. Le dichiarazioni rese da alcuni nei giorni scorsi legittimano qualche dubbio: un’operazione strapaesana di rivalutazione del personaggio sarzanese e quindi di manipolazione della storia, oppure un serio approfondimento storiografico sugli ultimi contorcimenti del fascismo alla vigilia della disfatta? Vedremo. Certo che ad intorbidire le attese ha contribuito, almeno un poco e forse involontariamente, lo stesso sindaco di Sarzana parlando del “senso dello Stato e della giustizia di Biggini”. Ma di che parla Cavarra? Ha mai studiato qualcosa sull’argomento e su quel periodo storico? Biggini fu certamente un fascista integrale, dalla testa ai piedi, indubitabilmente un gerarca del fascismo, dato che così loro stessi si autodefinivano. Certo non abbiamo atteso il convegno di Sarzana per scoprire che non tutti i dirigenti fascisti erano assassini o privi di cultura.  Gentile o Biggini non erano Pavolini, così come Bottai non era Starace. Ma tutti assieme, diretti da Mussolini, portarono l’Italia e gli italiani alla catastrofe. Ciò detto, poi possiamo anche discernere ed approfondire i nodi ed i passaggi storici. Tra questi, quello cruciale del ’43. Già alla fine del ’42 e nei primi mesi del ’43 è chiaro che la Germania, e con essa l’Italia, hanno perso militarmente sui fronti decisivi del Nord Africa (battaglia di El Alamein-Nov. ’42) e su quello orientale (Stalingrado, Febbraio ’43) e, quindi, l’intera guerra. E’ chiaro anche a Biggini che lo riconosce parlando con Concetto Marchesi. E’ chiaro pure che la monarchia – anche per preservare se stessa- si accinge a liquidare il governo Mussolini alla prima occasione utile; essa si profilerà nel luglio successivo. Nel frattempo Mussolini, d’intesa con alcuni di sua stretta fiducia, cerca di prevenire e pilotare gli eventi, ad evitare che essi precipitino. Su richiesta di Sforza, segretario del partito fascista, e quindi ovviamente di Mussolini, si chiede al mentore del fascismo, al più noto tra gli intellettuali fascisti, al filosofo Gentile, di lanciare un’offensiva propagandistica, patriottica e monarchica che si sostanziò nel giugno ’43 col “Discorso agli Italiani” che fu letto da Gentile a Roma nella sede de Campidoglio. Era un appello rivolto a tutti gli italiani, fascisti e non, a unirsi tutti attorno al re e al duce per salvare l’Italia ed il fascismo. Incredibilmente ed esplicitamente l’appello si rivolge anche ai comunisti “in nome dei loro ideali di fondo” che egli supponeva di conoscere. In realtà probabilmente egli sapeva che già dalla fine del ’42 i comunisti erano in contatto con esponenti di primissimo piano dell’esercito e che, per il tramite della principessa Maria Josè, avevano invitato il re a destituire Mussolini e a dar vita ad un governo presieduto da un generale che chiudesse l’epoca fascista. Il “Discorso agli italiani” di Gentile ci dice due cose: quanto fosse disperata l’angoscia del vertici del fascismo e parimenti quanto essi non avessero più il polso del paese reale e i veri obiettivi di tutte le forze politiche avverse al fascismo. Peraltro l’iniziativa di Gentile fu pubblicamente ed aspramente criticata dai settori più intransigenti del fascismo: da Farinacci a Preziosi, a Pavolini, oltre al famigerato Mario Carità, per citarne alcuni. Poi tutto precipita. Nella notte fra 24 e 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo critica e mette in minoranza, 19 a 8 e 1 astenuto, il duce e i suoi fedelissimi. C.A. Biggini fu uno dei 7 fedeli. Nello stesso giorno 25 Luglio Mussolini si presenta a Villa Savoia, per riferire al re, il quale lo destituisce e lo fa arrestare. Contemporaneamente dà l’incarico di formare il nuovo governo al Maresciallo Badoglio. E’ il crollo istituzionale e politico del fascismo. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, i tedeschi liberano Mussolini e invadono l’Italia del Centro Nord. Trasferiscono il duce deposto a Monaco, dove sarà indotto, con le lusinghe e con le minacce, a dar vita al governo fantoccio della Repubblica Sociale Italiana, più nota come Repubblica di Salò, che si insediò nei territori militarmente occupati dalle divisioni tedesche. Nel frattempo si passò in Italia dall’antifascismo alla sollevazione popolare della Resistenza aperta ed armata contro l’invasore tedesco e contro il fascismo reinsediato. Come ricorda lo storico De Felice, Mussolini è il primo ad essere convinto che il suo governo sia “un fantoccio nelle mani dei tedeschi” Ne è convinto anche il Biggini che prima tentenna ad entrare a far parte del governo di Salò, per poi accettare la carica di Ministro all’Istruzione su sollecitazione personale del duce. Gentile resistette un po’ di più ad aderire al governo repubblichino di Salò. Per poi tornare all’ovile su espresso interessamento di Mussolini e di Biggini. Fu quest’ultimo che organizzò, su richiesta esplicita del duce, un incontro riservato tra il capo del fascismo e Gentile poco dopo il rientro di Mussolini dalla Germania. Il colloquio avvenne sul Garda il 17 Novembre ’43.  Fu Biggini stesso a ricordare ciò, nell’elogio funebre in memoria di Gentile: “Quando ebbe il suo primo incontro col Duce, dopo la sua liberazione, uscì dal colloquio con le lacrime agli occhi e profondamente commosso mi disse: “O l’Italia si salva con Lui, oppure è perduta per qualche secolo”. Sappiamo, sempre da Renzo De Felice quale fu il succo e l’obiettivo politico di quel commovente incontro. Egli riporta la testimonianza di un filologo antifascista che, rifiutando la collaborazione che Gentile gli offriva, si sentì così rispondere “Tu non capisci niente, sei troppo giovane e non hai visto quell’uomo, Mussolini, cui io devo tutto, tutto, distrutto dall’angoscia e che quattro mesi fa mi chiedeva aiuto per  salvare il salvabile.” Il governo di Salò, con decreto del ministro Biggini, lo ringraziò per l’avallo e l’aiuto promesso nominandolo subito dopo Presidente dell’Accademia d’Italia. Si spiega così il notissimo articolo di Giovanni Gentile, apparso sul “Corriere della Sera” il 28 dicembre successivo, col titolo “Ricostruire”. In esso riprende i temi patriottici dell’unità degli italiani tutti attorno al duce, questa volta però omettendo il re, già anticipati nel discorso al Campidoglio. Di nuovo, rispetto al giugno precedente, c’è l’invito o invocazione ai partigiani a deporre le armi senza nulla ugualmente richiedere all’esercito tedesco che nel frattempo occupava l’Italia e massacrava gli italiani. Promette inoltre un nuovo fascismo del domani, sempre guidato da Mussolini. Chiede insomma la resa incondizionata della Resistenza. Negli stessi giorni il duce chiede al giurista Biggini, suo ministro, di stendere una bozza di una Costituzione ottriata del prospettato neofascismo. La bozza fu sollecitamente scritta dal Biggini e tale rimase. E’ di quel periodo il fiorire di ammiccamenti e offerte, a dritta e a manca, per procacciarsi una qualche “captatio benevolentiae” per l’avvenire. Biggini, a Padova, dove aveva sede il suo ministero, cerca e in alcuni casi tiene rapporti con esponenti dell’antifascismo e del CLN veneto, mentre Gentile offre ad antifascisti, cattedratici o intellettuali, con l’avallo del Ministro  Mezzasoma, collaborazioni ben retribuite alla famosa rivista letteraria e culturale “Nuova Antologia”, da lui da poco diretta. All’attivismo ammiccante e propiziatorio degli intellettuali del regime rispose il Rettore dell’Università di Padova, Concetto Marchesi, prima con il famoso discorso d’apertura dell’anno accademico e poi, contemporaneamente alle sue dimissioni, con l’Appello agli Studenti “per l’insurrezione insieme con la gioventù operaia e contadina”. Marchesi, in risposta all’articolo “Ricostruire” di Gentile, fece pubblicare nel gennaio successivo il suo appello per l’insurrezione della gioventù italiana. A Roma l’appello apparve integralmente su “Il Popolo”, giornale della Democrazia Cristiana che non solo lo pubblicò per intero, ma lo accompagnò con un proprio commento in cui venivano con disprezzo chiamati in causa quegli intellettuali e studiosi che facevano “oggetto di mercato i valori dello spirito e del pensiero, innanzi tutto Giovanni Gentile e i suoi accoliti.” E con ciò finì la farsa degli ammiccamenti e degli inviti a deporre unilateralmente le armi e la resa ad un nuovo fascismo di là da venire. Nel suo appello scrisse Marchesi “Domani vedremo, ma tra l’oggi e il domani c’è la notte e poi l’aurora.” Mi auguro che il convegno di Sarzana, in corso mentre scrivo, dia un contributo di verità e di approfondimento, senza inseguire il fraintendimento della storia intesa come lo spazio dell’oblio in cui tutte le riabilitazioni sono alla lunga concesse. Per finire, leggo oggi la dichiarazione del sindaco Massimo Federici espressa in solidarietà a Cavarra. Anch’io, come Massimo, non ho mai dubitato “sulle scelte fondamentali di campo” di Alessio Cavarra. Ma talvolta, come a tutti, può capitare anche ai più sinceri antifascisti di proferire delle stupidaggini; come scorgere nella figura di Biggini “il senso dello Stato e della giustizia”. Fu forse, anche allora, senso dello Stato far parte del governo di Salò, imposto da Hitler ad un impaurito Mussolini?  E fu senso di giustizia adoperarsi a cercare la sopravvivenza della tirannide nazifascista? Ancora oggi rimane, con il ricordo, vivissimo il dolore e lo strazio nel leggere le lettere ai familiari dei condannati a morte dai tribunali fascisti, nel pensare alle stragi di militari e civili, da Cefalonia a Sant’Anna, a Marzabotto e alle Fosse Ardeatine:  a chi perse la vita per dare la libertà a tutti noi, per fondare l’Italia democratica. Si può forse anche provare pietà o commiserazione per le umane vicende di alcuni singoli personaggi di quei tempi. Ma comunque sempre nella chiarezza del giudizio storico su quell’infame accadimento e sulle responsabilità individuali e collettive di chi ne fu artefice.

Sandro Bertagna

 

Domenica 22 novembre 2015, La Spezia oggi

Il primo cittadino spezzino: “Recentemente anche la prestigiosa accademia Capellini si è intrattenuta sulla stessa figura senza che ciò generasse dibattito alcuno”.

 

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La Spezia – Alla vigilia del discusso convegno sarzanese su Carlo Alberto Biggini, ma anche sulla conferenza in ricordo di Rudolf Jacobs, oggi il sindaco Alessio Cavarra ha ricevuto un messaggio di solidarietà da parte del collega spezzino Massimo Federici. Poche parole ma significative in difesa del primo cittadino duramente attaccato da numerose forze politiche per la sua scelta di partecipare anche all’apertura dell’evento sull’ex ministro fascista.

“Caro Alessio – ha scritto – in merito alle polemiche sul tuo intervento di saluto al convegno di domani sulla figura di Biggini non posso che esprimere il mio rammarico per gli equivoci e le strumentalizzazioni di cui sei oggetto. Mi è parso davvero arbitrario gettare ombre sulle scelte di campo di cui sei da sempre fermo interprete. Sotto il profilo prettamente storico e alla luce del rigore storico tutti i temi meritano di essere trattati. Recentemente – ha sottolineato Federici – qui alla Spezia la prestigiosa accademia Capellini si è intrattenuta sulla stessa figura senza che ciò generasse dibattito alcuno. Mi è parso pertanto, di fronte alla pretestuosità della polemica in corso, doveroso manifestarti la mia solidarietà”.

 

Venerdì 20 novembre 2015, dal quotidinano Città di Sarzana

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Sarzana – “La fede democratica e antifascista del sindaco di Sarzana non può essere messa in discussione per la sua partecipazione, con un messaggio di saluto, ad un convegno. È questo, in sintesi, l’atto di difesa, convinto e determinato, della lista civica “Noi per Sarzana” a sostegno di Alessio Cavarra all’indomani delle polemiche legate al suo intervento all’incontro di studio dedicato a Carlo Alberto Biggini. Andrea Antola, capogruppo in consiglio comunale, interviene così aggiungendo: “Ogni tentativo di strumentalizzare la presenza ad un convegno, per gettare un’ombra revisionista sul sindaco – chiarisce – si scontra con un bagaglio culturale arricchito da anni di impegno politico nelle file della sinistra, con l’inizio di mandato scandito dall’omaggio ai sindaci antifascisti della nostra città, dall’adesione alle molteplici iniziative delle associazioni partigiane, ma ancor più con l’immagine che di Alessio Cavarra ha chi, come noi, lavora quotidianamente al suo fianco: un sincero democratico, capace di essere il sindaco di tutti, interprete rispettoso e convinto dei valori fondanti  della tradizione democratica e antifascista della città”.
“Non avremmo mai pensato – conclude – di dover ribadire pubblicamente l’impegno, la trasparenza e le coerenti convinzioni personali di Alessio, chiari a chi lo ha visto lavorare ogni giorno e a qualunque cittadino che conosca il proprio sindaco, ma il dibattito di questi giorni ce lo impone”.

 

Venerdì 20 novembre 2015, dal quotidinano Città di Sarzana

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