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Da ilfattobresciano.it

In Italia, si sa, spesso le buone azioni e gli atti di eroismo vengono insabbiati se a compierli sono i “cattivi” e non i “buoni”.

Questa è la storia di come si è evitata una strage che avrebbe ricordato quella avvenuta a Sant’Anna di Stazzema.

E’ il 1944, a Forno, un piccolo paese in provincia di Massa, la situazione sta per degenerare.
Il nostro testimone, Angelo Fialdini, è un sopravvissuto alla strage e per la prima volta racconta, in esclusiva per il Fatto Bresciano, come si sono svolti i fatti: ” I tedeschi erano a Massa e mai si sarebbero sognati di addentrarsi tra i monti per raggiungere il nostro paese, non ne avevano nessuna motivazione. I partigiani, però,  compirono un’azione di guerriglia lasciando cadere dal fianco della montagna un masso su una vettura tedesca, causando vittime tra i soldati nazisti”.
I tedeschi non vogliono lasciare impunita questa azione di rappresaglia, decidono quindi di invadere Forno per cercare i responsabili tra i partigiani che lì avevano trovato rifugio. A Forno c’era una caserma dei Carabinieri alla quale soprintendeva il maresciallo Ciro Siciliano che aveva permesso ai partigiani di nascondersi tra i boschi che circondavano il paese. I Carabinieri avrebbero dovuto denunciare la presenza di partigiani, ma il maresciallo Siciliano non lo fece. I tedeschi, per prima cosa, raggrupparono l’intero paese sulla sponda del fiume Frigido e rinchiusero i partigiani più giovani nella caserma con l’intenzione di deportarli in Germania. Gli altri partigiani, dopo essere stati catturati, vennero uniti al resto del paese in attesa di essere fucilati.
A Forno non c’erano solo partigiani, Carabinieri, donne e bambini, ma, come conferma Fialdini “anche membri delle brigate nere”. Quando questi ritornarono in paese e videro che cosa stava accadendo ai loro famigliari e compaesani, chiamarono immediatamente la caserma di Lucca dalla quale partì l’ordine di fermare subito le fucilazioni”. Non tutti gli abitanti purtroppo si salvarono: la notte del 13 giugno 1944 furono uccise 67 persone, tra cui il maresciallo Siciliano. “Pensavamo di morire, – dice Fialdini – sarò eternamente grato a quelle persone che hanno salvato la vita a me, ai miei fratelli e alla mia mamma. Mio padre era un membro delle Brigate Nere, ma ha compiuto insieme ai suoi compagni un atto di grande misericordia e meriterebbero un riconoscimento!”. La medaglia d’oro al merito civile è stata, però, attribuita al maresciallo Ciro Siciliano che, a differenza di quello che vogliono farci credere, non ebbe alcun ruolo nell’azione.
Fialdini ora vive a Brescia e tiene a precisare: ” Qualche anno fa ho potuto constatare che a Forno non sono l’unico a pensare che si debbano incolpare il maresciallo Siciliano e i partigiani per quello che è avvenuto, e che si debbano ringraziare gli uomini che hanno fatto quella telefonata a Lucca”. Questo dovrebbe far riflettere tutti noi: un colore politico non può essere associato a priori al bene o al male, al giusto o allo sbagliato.

 

In qualità di direttore responsabile della testata, sento l’obbligo di precisare che né la giornalista Panni, né nessun membro della redazione de il Fatto Bresciano, ha simpatie verso il fascismo e le sue ideologie. Tutti noi condanniamo qualsiasi forma di governo dittatoriale.
La scelta di pubblicare questo articolo risponde al diritto – e dovere – di cronaca.
Il direttore responsabile,
MS

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