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Regionalismo e localismo: cancro istituzionale e costituzionale
I mass media italiani hanno quasi sempre stigmatizzato soprattutto i costi dell’Istituto della Regione e gli sperperi di cui i loro amministratori si sono resi colpevoli. Famose, a tal proposito, le inchieste di Gian Antonio Stella e di Sergio Rizzo (e non solo di loro). Ma non è stato un buon giornalismo. Le inchieste, infatti, hanno parlato soprattutto alla “pancia” degli italiani e dello sperpero dei soldi presi dalle loro tasche. In realtà i maggiori e più gravi danni ai cittadini italiani sono venuti, per il presente e per il futuro, dalle inefficienze procurate con la creazione di barriere territoriali, artificialmente suscitate e pervicacemente attuate.
Già nella Costituzione del ’48 era previsto l’Istituto della Regione, ma con la riforma del Titolo V nel 2001, introdotta dalla maggioranza del centro-sinistra che sosteneva il governo Amato, è avvenuta l’attribuzione legislativa ed esecutiva alle Regioni, in concorrenza con lo Stato, di materie che dovevano invece essere di sua esclusiva competenza, e quindi ugualmente valide per tutti gli italiani su tutto il territorio nazionale
Fra le molte disfunzioni, oltre gli esorbitanti costi diversificati, vi è stato quella del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Invece di operare come un apparato organico unitario, la sua organizzazione è stata frantumata in 20 servizi sanitari tanti quante sono le Regioni italiane. Purtroppo le disfunzioni regionali non solo queste: basti pensare, per esempio, al pessimo funzionamento dei trasporti regionali (autolinee e treni), alla ostilità sistematica riguardante l’installazione di ulteriori pur necessarie fonti di energia, alla frantumazione della promozione turistica e all’aver addirittura aperto all’estero, ciascuna Regione, una propria ambasciata.
Ora, nel confuso dibattito riguardante sia la riforma della legge elettorale che le modifiche costituzionali, si aggiunge un ulteriore elemento di disgregazione dello Stato: quello previsto al suo vertice, della trasformazione del Senato della Repubblica in Camera delle Regioni e/o delle Autonomie.
È necessario che l’argomento venga affrontato in tutta la sua pericolosità perché al funzionamento periferico disomogeneo e contraddittorio si aggiungerebbe quello legislativo e governativo centrale della nazione italiana. Il suo avvenire sarebbe definitivamente compromesso.
Non possiamo perciò che condividere l’auspicio, come al solito sornione, ma intelligente, di Giovanni Sartori che fin dal novembre scorso aveva concluso un suo fondo sul Corriere della Sera con le seguenti parole: «Il federalismo di Bossi per fortuna è morto; ed ora potremmo senza danno (lo sussurro e basta) sopprimere anche le Regioni. Ma lo dico di sfuggita. Una scarica di “vaffa” alla volta» (g.r.).

SOMMARIO DI QUESTO NUMERO

- I pericoli del ritorno del federalismo costituzionale.
Suicida la trasformazione del Senato in Camera delle Regioni e/o delle Autonomie locali.

- A proposito dell’accordo Berlusconi-Renzi
Assurda una Camera di non eletti, ma di delegati dal lobbismo localistico.

- Per chi vuole una Italia unita ed efficiente
Imprescindibile la radicale riforma del Titolo V della Costituzione

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