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Le leggi sul lavoro determinano lo sviluppo

Anche chi non segue con particolare attenzione le vicende complesse e a volte drammatiche della grande crisi italiana dei nostri giorni ha comunque chiaro sentore della centralità e della criticità delle leggi sul lavoro, delle leggi cioè che disciplinano i rapporti tra i lavoratori ed i datori di lavoro e che determinano aspetti fondamentali della vita dei cittadini e dello sviluppo dell’economia. Problemi come quelli del precariato, dei contratti a termine o a tempo indeterminato, della cosiddetta flessibilità in entrata ed in uscita, della riforma dell’art. 18 o ancora problemi più vasti come il livello di disoccupazione o come quello della stagnante produttività del sistema economico italiano sono direttamente o indirettamente condizionati dalle modalità di approccio ai rapporti di lavoro.

Tale aspetto cruciale della vita economica e sociale della Nazione può essere profondamente innovato e sostanzialmente migliorato con l’introduzione dell’istituto della cogestione nel nostro ordinamento giuridico. L’idea base della cogestione , come è anche intuibile, concerne l’associazione dei lavoratori alla conduzione dell’impresa e comporta quindi la loro responsabilizzazione, la loro partecipazione alle decisioni di investimento e di ordinario esercizio costituendo con ciò anche la premessa per la condivisione diretta dei benefici e delle difficoltà dell’impresa stessa. La condivisione dei benefici concerne chiaramente la partecipazione alla distribuzione degli utili e dei dividendi mentre la condivisione delle difficoltà in tempo di crisi può comportare la ripartizione paritaria del minor lavoro tra i soggetti interessati (da contrapporre ad esempio alla messa in cassa integrazione, cioè all’espulsione a volte temporanea e a volte no, di una aliquota dei lavoratori normalmente impiegati).

2° Concretezza della cogestione

Occorre chiarire che nelle attuali condizioni economiche e sociali dell’Italia e dell’ Occidente in generale la cogestione è ben lungi oggi dal costituire un sogno utopistico . L’innalzamento del livello culturale della popolazione nel suo complesso, la diffusione di mansioni lavorative complesse esercitate da operatori in condizioni di sempre maggiore autonomia, lo svuotamento delle ideologie marxiste sulla lotta di classe che contrapponevano in modo

preconcetto lavoratori da una parte e “padroni” dall’altra rendono oggi concrete ed attuali le aspirazioni ad una più stretta collaborazione tra “produttori” a livello di azienda con reciproci e generali vantaggi. Tale collaborazione ha assunto nei vari paesi forme diverse: nei paesi anglosassoni ad esempio , più culturalmente legati al modello capitalistico classico, si è diffuso l’azionariato popolare, la detenzione cioè di azioni del capitale dell’impresa da parte dei dipendenti che però in concreto, almeno sinora , ha riguardato soprattutto le fasce alte del personale , dirigenti aziendali in particolare ; tale soluzione però chiaramente non incide nell’ordinamento della governance aziendale e per quanto positiva ai fini di una maggiore motivazione dei soggetti coinvolti non incide significativamente nel miglioramento delle relazioni industriali.

La co-determinazione motore della crescita tedesca.

Assai più efficace in termini di coesione aziendale , di buoni rapporti di lavoro e di alta produttività deve considerarsi l’esperienza tedesca della Mitbestimmung (traducibile in partecipazione , co-determinazione o più direttamente cogestione) anche valutata come fortemente adatta a costituire un buon precedente per la situazione italiana ed in ogni caso considerata un punto di forza dell’ economia tedesca.

Il notissimo manager italo-tedesco Giuseppe Vita, alto dirigente di grandi aziende come la Schering ed oggi presidente di Unicredit in dichiarazioni recenti ha menzionato la cogestione come un fondamentale vantaggio competitivo dell’industria tedesca. Dal canto suo l’autorevole storico e fondista del Corriere Sergio Romano si è così espresso: “non so se i sindacati italiani sarebbero pronti ad accettare gli oneri della cogestione ma per quelli della Repubblica Federale è stata una scuola di responsabilità aziendale che ha reso più facile la riforma del mercato del lavoro.. …da cui dipende la crescita dell’economia tedesca negli ultimi anni”.

Che si aspetta dunque in Italia a mettere mano con coraggio alla revisione dei rapporti di lavoro e ad introdurre la cogestione ?

L’insegnamento dei precedenti storici

L’idea della cogestione, da noi, non può considerarsi nuova. C’è un precedente storico importante che sfortunatamente ha costituito per la classe dirigente postbellica, più una remora che un incentivo ad operare; come noto infatti la cogestione ( o più precisamente la socializzazione delle imprese) fu introdotta in Italia dal governo fascista della RSI nel febbraio del ’44 vale a dire nel periodo più tragico della guerra e della guerra civile . Si trattava di una forma avanzata e radicale di cogestione che prevedeva dettagliatamente ( come dal decreto legislativo n.375 del 12 febb. 1944) la partecipazione paritetica dei lavoratori nell’Assemblea della società e nel Collegio Sindacale oltre che nel Consiglio di Amministrazione o di Gestione. Nella versione tedesca odierna invece la rappresentanza paritetica dei lavoratori ha luogo nel Consiglio di Sorveglianza (Aufsichtsrat), un organo intermedio tra l’Assemblea degli Azionisti ed il Consiglio di Amministrazione o il Comitato Esecutivo. Per gli storici di parte però la socializzazione della RSI fu solo una specie di testamento-vendetta del fascismo morente verso il sistema capitalistico e questa affrettata interpretazione favorì nel dopoguerra le forze più mentalmente pigre, incoraggiate a trascurare il problema nella sua vera essenza. Successivamente negli anni sessanta e settanta la socializzazione divenne una sorta di rivendicazione- bandiera della destra sociale e l’MSI in più occasioni presentò anche in Parlamento precise proposte per introdurre la cogestione nelle imprese a partecipazione statale.

La timida proposta confindustriale

In anni più vicini la cogestione si è riproposta per forza propria all’attenzione delle forze politiche e sociali. Nella Confindustria della Marcegaglia si è parlato della cogestione come di una soluzione da introdurre volontariamente in singole aziende per accordo tra le parti. I segretari confederali dei maggiori sindacati hanno spesso menzionato la cogestione con apparente interesse guardandosi bene peraltro dall’assumere iniziative concrete.

Ciò che brilla chiaramente all’occhio dell’osservatore indipendente è il colossale conflitto d’interesse che caratterizza gli attuali rappresentanti delle forze sociali nell’affrontare il problema. In quanto rivolta alla responsabilizzazione ed alla diretta partecipazione dei lavoratori alla conduzione delle aziende la cogestione si pone infatti in netto contrasto con i contratti nazionali negoziati dalle burocrazie centrali dei sindacati e per contro chiaramente orientata verso il decentramento e la flessibilità dei livelli salariali da commisurare, con evidente vantaggio della competitività , alle specifiche contingenze aziendali.

Appello alle forze politiche nazionali

In queste condizioni è temerario e vano sperare che siano le forze sociali così come oggi rappresentate a fare dei passi avanti. Spetta invece alle forze politiche, anche nel drammatico difficilissimo stato che oggi le contraddistingue, assumersi la responsabilità di un iniziativa che può avere un grande impatto nel tessuto e nello sviluppo della Nazione.

E’ comunque con delusione e tristezza che si deve rilevare la latitanza al riguardo di praticamente tutte le formazioni politiche che in qualche modo si rifanno alla cultura della destra nazionale; sono esse infatti che almeno in teoria dovrebbero avere il massimo interesse a sostenere la cogestione come strumento di giustizia e coesione sociale e di maggiore competitività del sistema economico italiano .

 

Gian Galeazzo Tesei

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