La nobilissima nazione armena custodisce gelosamente l’onore che le compete quale primo regno dell’antichità convertito alla fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo.
L’Occidente dovrebbe amare e onorare gli armeni, perseguitati dai maomettani a causa della loro indefettibile fedeltà alla religione cristiana e vittime dell’atroce persecuzione organizzata dagli efferati turchi, i quali, approfittando della distrazione umanitaria causata dalla grande guerra, nel 1914 avviarono un colossale genocidio, il primo Olocausto del secolo sanguinario.
Purtroppo la tragedia armena è stata ed è tuttora oggetto di una infame censura negazionista, orchestrata dai media sotto controllo democratico dei governi occidentali (occidente significa, appunto, terra dell’oscuramento), poteri che con ogni mezzo tentano di impedire il disturbo procurato dalla verità agli esigenti alleati turchi.
L’epurazione della verità storica fu a tal punto implacabile che i futuri autori del film La masseria delle allodole, i fratelli Taviani, nella cui casa prestava servizio un’esule armena, giudicarono inverosimile la notizia del massacro compiuto dai turchi.
La diffusione delle notizie sull’Olocausto armeno è curata unicamente da scrittori, registi ribelli e da editori irriducibili, personalità che sono sistematicamente costrette al margine dal sistema della menzogna, trionfante nell’Occidente liberale, umanitario e pseudo-ecumenico.
Ora da Chieti l’impavida, disobbediente casa editrice Tabula Fati propone ai lettori italiani Melania,l’avvincente/struggente storia spirituale scritta dalla figlia di una donna armena, scampata allo sterminio del suo popolo.
Melania è un’opera dolente e struggente, scritta dalla figlia di una donna coraggiosa, rara superstite e testimone della immane tragedia vissuta dal cristianissimo popolo armeno.
Renata Dalmasso e Giovanni Franceschi, due liguri autori della toccante presentazione del volume, disegnano il profilo religioso di Melania, “nei suoi ultimi giorni immersa in una dimensione spirituale accesa, palesa alla figlia la forza della sua proiezione verso il Regno Celeste, quella proiezione infusa dalla Patria Armena” .
Melania era una donna eccezionale: parlava sei lingue e possedeva una straordinaria attitudine a ricostruire e narrare la storia del suo popolo e della sua famiglia.
I suoi genitori erano originari di Gurun, nell’Anatolia Orientale. Laboriosi, “coltivavano terre fertili attraversate da torrenti pescosi“. Oltre agli orti e ai campi possedevano generosi frutteti, “solo di noci ne avevano di cinque tipi“.
Melania, che era nata nel 1909, nel 1914, diventata orfana di padre, fu ricoverata in orfanotrofio. In quell’anno ebbe inizio la tragedia degli armeni. Alla figlia Melania rammenta i primi segnali dell’atroce pulizia etnica concepita e compiuta dai turchi: “Cominciarono a giungere notizie di massacri, di teste mozzate, di donne squartate da due cavalli in corsa, di olio bollente, di accecamenti, di impalamenti, di capezzoli femminili strappati ed esibiti a mo’ di manifesto truculento sui davanzali delle finestre delle sventurate abitatrici”.
Da una zia, che visitò l’orfanotrofio prima di iniziare la fuga dalla scena del crimine, Melania apprese che sua madre, sua nonna e le sue tre sorelle erano state cacciate dalla loro casa e chiuse dai turchi nella stalla, su cui era segnata con sangue una croce.
Trascorsero alcuni anni e finalmente anche gli orfani armeni scampati alla morte furono espulsi dal loro territorio. Gli esuli “non poterono rifugiarsi in Grecia, perché nel frattempo cominciavano a giungere in quel paese altri profughi a migliaia, altri infedeli per i Turchi: i Greci di Turchia. … Quei pochi Armeni, giovanissimi, poveri e soli, furono mandati chi in Egitto, chi in Francia, dove almeno non li si respingeva“.
Fino agli anni Venti, Melania trovò rifugio in un orfanotrofio gestito da Patriarcato Armeno del Cairo, che abbandonò per diventare la governante della famiglia del direttore del Canale di Suez. Alla direzione del canale lavorava un telegrafista italiano, Carlo Garibaldi, il quale si innamorò di Melania e la sposò. La coppia ebbe due figli Carlo e Concetta-Nunufar, la quale rimase con la madre finché questa visse. Nel 1956, a causa della guerra di Suez, la famigli di Melania fu costretta a emigrare in Italia, non senza fare esperienza della giustizia inglese: “Carlo, nonostante trentanove anni di onorato servizio presso la Società del Telegrafo, di proprietà della Gran Bretagna, non poté godere della pensione, negatagli in quanto cittadino di un paese nemico durante la Seconda Guerra Mondiale”.
Gli ultimi anni della sua vita Melania li trascorse nella tranquilla riviera ligure, a Bordighera. A novant’anni decise di confessarsi a un frate cappuccino, “al momento del commiato del frate ella volle alzarsi dalla sedia e si mise a cantare Alleluja … il pentimento dei propri peccati era così ben riuscito che in Cielo si era fatta festa e gli angeli avevano cantato in coro sul capo della vecchina”.
Il tramonto di Melania fu accompagnato da presenze celesti. Rammenta la figlia: “aveva accettato di essere olocausto per il resto della sua vita. A me non disse nulla dei segreti che le erano consegnati, ma a due persone estranee alla famiglia disse: Dio ha creato il mondo pieno di saggezza e bellezza e l’ha donato agli uomini con le sue benedizioni. Ma gli uomini non le vogliono”.
Melania morì nella gioia di raggiungere finalmente la sua vera Patria, l’Armenia celeste. “Il suo viso sorridente emanava un senso di pace e beata tranquillità a tutti quelli che l’hanno visitata.“