Author: marsen

L’Italia in crisi sistemica e le incombenti vicende internazionali
Il panorama che presenta la scena politica italiana in queste ultime settimane pone in evidenza un’accelerazione della sua crisi sistemica che si aggiunge a un quadro internazionale sempre più complicato: dalle tensioni americano-russe che tendono a coinvolgere l’Europa in contrasto con i propri interessi all’acuirsi nel vicino Oriente delle lotte interne nell’islamismo tra sciiti e sunniti; dalla continua espansione dell’ideologia politico-religiosa dell’Islam al dilatarsi dei fenomeni migratori tra l’Africa e l’Europa mediterranea e alle analoghe vicende che interessano le terre del Sud-est asiatico.
Questo quadro internazionale richiede sempre di più – da parte dei mezzi di informazione italiana e soprattutto da parte di quelli che effettuano analisi e dovrebbero indicare orientamenti e comportamenti – un’attenzione continua al fine di creare i presupposti non solo per una autentica politica estera europea, ma anche per una più impegnata partecipazione decisionale dell’Italia ad essa. Il CESI dovrà particolarmente impegnarsi nei prossimi mesi su questi problemi mondiali.
Intanto il numero attuale de Il Sestante affronta alcuni precedenti storici nazionali a carattere socio-sindacale e politico-istituzionale considerandoli importanti per le valutazioni che debbono essere conformi alla verità dei fatti. Bisogna tenere sempre presente che le forzature nelle analogie che sembrano simili, sono altrettanto pericolose quanto quelle relative ad una radicale diversità interpretativa delle vicende che sembrano differenti. In altre parole è necessario avere il senso del cambiamento e dei relativi diversi comportamenti pur mantenendo fermi principi e valori che comunque non possono sempre avere le stesse modalità esplicative. (g.r.)

SOMMARIO

- Nel 65° anniversario della Cisnal, oggi Ugl. Sindacalismo nazionale e nuova sovranità italiana nell’Europa unita. Sommario: 1° – Attualità del sindacalismo nazionale. 2° – Gli organismi internazionali condizionanti lo sviluppo dell’Italia. 3° – La finalità degenerativa cui pervengono gli enti del “finanzialcapitalismo”. 4° – L’Ugl aveva previsto e denunciato la “globalizzazione anarchica”. 5° – I nuovi compiti del sindacalismo: battersi per una moderna socialità nazionale nell’Europa unita.

- Le forzature storiografiche non giovano alla radicale modifica dell’attuale sistema politico. L’impossibile analogia della crisi italiana odierna con le vicende postrisorgimentali di Vincenzo Pacifici

- Il problema epocale della migrazione dei disperati. L’Europa non è ancora all’altezza dei suoi compiti storici di Innocenzo Cruciani

- “I Libri del Sestante”. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri

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Les Expulsés: un milione di civili tedeschi uccisi nell’indifferenza”

La traduzione in francese dell’opera di R.M. Douglas, “Les Expulsés”, è ormai disponibile presso la casa editrice Flammarion. L’autore americano ritorna su uno dei grandi crimini di massa del XX secolo: la deportazione e la messa a morte da parte degli Alleati dei civili germanofoni subito dopo la Seconda guerra mondiale.
In totale 14 milioni di persone espulse dalla Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia…”La maggor parte erano donne e ragazzi minori di 16 anni”, sottolinea lo storico. Al termine del cammino, la morte nei campi di concentramento, sulle strade europee dell’esodo o nei carri bestiame. E’ “uno dei più grandi episodi di violazione dei diritti umani della storia moderna”, scrive R.M. Douglas.
Egli calcola una stima minima di 500.000 vittime ed una massima di 1,5 milioni di morti. Il professore di storia contemporanea all’università Colgate (New York) ricorda le sofferenze che “ebbero luogo alla luce del sole, sotto gli occhi di dozzine di migliaia di giornalisti, diplomatici, lavoratori umanitari e osservatori vari”. Il libro presenta i meccanismi di questa espulsione di massa, l’arcipelago dei campi di concentramento, le conseguenze delle espulsioni in materia di diritto internazionale ed il ruolo sotto-stimato degli Alleati in questa epurazione su vasta scala.
Questi sradicamenti brutali e mortali sono oggi quasi completamente dimenticati fuori dalla Germania. Fanno parte della lunga lista dei crimini contro l’umanità perpetrati dai Britannici, Americani e Sovietici durante gli anni ’40. Anthony Beevoir, nella sua ultima opera, “La Seconda Guerra mondiale”, consacra per esempio un intero capitolo ai “bombardamenti strategici” degli Alleati che fecero più di 300.000 morti tra il 1942 2d il 1945. Lo scopo: radere al suolo le città tedesche (Colonia,Amburgo,Dresda…) ed uccidere il massimo dei civili. Questa politica di terrore lanciò 1.350.000 tonnellate di munizioni sulla Germania.Ossia come potenza l’equivalente di 25 volte la bomba atomica sganciata su Hiroshima nel 1945…
“Abbiamo ucciso cinque o sei milioni di tedeschi e prima della fine della ne uccideremo un altro milione…c’è quindi abbastanza posto nella Germania occidentale per quelli che saranno espulsi.” W. Churchill a Yalta, 7 febbraio 1945 Per inciso, W C. si riferisce a Civili Tedeschi.

Quando questo libro venne pubblicato per la prima volta alla fine degli anni Ottanta, il mondo rimase sconvolto e il suo autore venne attaccato da più parti per aver raccontato il destino di oltre 790mila soldati tedeschi morti nei campi di prigionia francesi e americani e di oltre 500mila scomparsi nei campi sovietici. Ma l’autore ha continuato a raccogliere testimonianze e documenti che non solo confermano ciò che è stato pubblicato nella prima edizione ma ampliano il tragico scenario delle morti di massa dei soldati tedeschi che si erano arresi alle truppe alleate. Un libro destinato a scatenare un violento dibattito.

Alla fine della seconda guerra mondiale almeno quattro milioni di soldati tedeschi furono tenuti prigionieri nei campi francesi ed americani all’aperto, esposti alle intemperie, mancando delle più elementi strutture igienico-sanitarie, sottonutriti, ben presto cominciarono a soffrire di fame e malattia.Si trattava di soldati arresisi dopo l’8 maggio 1945, ad essi vanno aggiunti i civili, donne bambini ed anziani. Morirono nell’indifferenza delle autorità francesi ed americane. Queste morti,intenzionalmente volute e causate dagli ufficiali che avevano risorse sufficienti per mantenere in vita i prigionieri e che negarono, sono registrate come “Altre perdite”, nella realtà un crimine di guerra (perchè si voleva perpetuare l’annientamento del popolo tedesco ben oltre la fine delle ostilità) e contro l’umanità.
L’ICRC ( Comitato Internazionale della Croce Rossa con sede a Ginevra), negli anni ’80, rifiuta di rilasciare documenti essenziali ai ricercatori che stanno lavorando sui campi americani e francesi. In compenso, consente al altri ricercatori di accedere agli archivi per cercare materiale sui campi nazisti. Salvo poi renderli inaccessibili ,vedasi il caso dell’archivio del Servizio internazionale di ricerche dipendente dalla Croce Rossa Internazionale, ad Arolsen, in Germania; allorchè in uno dei processi contro Ernst Zuendel, il prof. Robert Faurisson aveva fatto richiesta esplicita di consultarli e renderli pubblici. Perchè rimettere la Vulgata in discussione e complicarsi la vita?
Meglio, molto meglio, sbarrare a tutti le porte dell’archivio e affidarne le chiavi ad un certo numero di Stati: tra questi “l’unica democrazia del Medio Oriente”. Chiusura obbligata e chiavi in mani sicure.
Ma è troppo presto per recitare il de profundis per i ricercatori storici seri. Legge o non legge

Una nuova edizione riveduta del saggio che ha fatto conoscere un evento senza precedenti nella storia del mondo civile: l’esodo di centinaia di migliaia di civi…li tedeschi che nell’inverno del 1944 fuggirono verso Occidente nel disperato tentativo di sottrarsi all’Armata Rossa lanciata in direzione di Berlino. Erano gli abitanti delle regioni orientali del Reich, nella quasi totalità donne, vecchi, bambini e, mischiati a loro, sfollati in quelle zone, fuggiaschi dei Paesi baltici, prigionieri di guerra. Chi non ebbe fortuna cadde in mano nemica. Fu, per quella gente inerme, l’inizio di un calvario che si prolungò oltre la fine del conflitto: alle atrocità, alle deportazioni in terra sovietica, seguirono i campi di concentramento, le spoliazioni da parte di polacchi e di cechi e, infine, la drammatica espulsione dalle loro terre per decisione alleata.

da ilprimatonazionale.it

Roma, 9 mag – Questo 8 maggio – giorno della resa della Germania – cade il 70esimo anniversario di quella che è stata definita la “Finis Europae”: fine non solo della Germania, dell’Italia e delle nazioni loro alleate, ma anche del potere globale delle “vincitrici” Francia e Inghilterra, rapidamente eclissato negli anni seguenti da USA e URSS.

Fine evidente più che mai in questi mesi, con una “Unione Europea” completamente divisa in ogni campo e una Russia sempre più isolata, e che festeggerà il suo anniversario della fine della Grande Guerra Patriottica il 9 maggio boicottata da quasi tutte le nazioni occidentali, con presenti invece Cina, Cuba e una schiera di nazioni in via di sviluppo, parterre che ci sembra far tornare all’apice della Guerra Fredda.

Ma tornando a settanta anni fa, non tutti deposero le armi alla fine ufficiale delle ostilità.

Iniziamo con l’Italia: se il 25 aprile 1945, giorno dell’Insurrezione proclamata dal CLN, viene comunemente usato come data della fine della guerra in Italia, e il 28 aprile Mussolini viene assassinato a Giulino, sono decine le unità della RSI che continuarono a combattere contro partigiani e Alleati.

Ricordiamo infatti i reparti della Divisione Decima schierati sul “Fronte Sud”, tra il Senio e Comacchio, sul settore orientale della Linea Gotica: i Battaglioni Lupo, Barbarigo, Freccia e gli artiglieri del Colleoni, infatti, ripiegarono combattendo ben oltre il 25 aprile contro inglesi, partigiani e badogliani del “Cremona”, marciando verso nord per cercare di rischierarsi sul confine orientale contro l’avanzante IX Korpus di Tito, passando il Po con mezzi di fortuna; e sulla riva nord di questo fiume combattevano gli adolescenti delle Fiamme Bianche, assegnati come artiglieri ai pezzi Flak da 88 mm capitanati da veterani tedeschi alla Divisione Etna della GNR. Testimonianza d’archivio del coraggio di questi “ragazzi del 99” del Fascismo, un rapporto post operazione dell’esercito americano citerà che “l’attraversamento del Po fu ostacolato dal tiro preciso di 88”: erano quei ragazzini ai loro cannoni, che li caricavano e sparavano tra la pioggia di granate e bombe al fosforo dei cacciabombardieri nemici. Nonostante i loro sforzi, la strada dei marò della Decima fu tagliata dai reparti corazzati nemici, costringendoli ad accettare la resa con l’onore delle armi presso Padova il 29 aprile 1945.

Nel settore occidentale e centrale della Linea Gotica ripiegarono combattendo aliquote della Monterosa e della Italia dalla Garfagnana e della San Marco dall’Abetone, assieme a unità bersaglieri e altri reparti dell’Esercito Nazionale Repubblicano e della GNR, e i giovanissimi Arditi del Battaglione Forlì, aggregati alla 278. Infanterie-Division e ritenuti dal Generale comandante, il prussiano Harry Hoppe, tra i suoi soldati migliori. Anche per essi, la fine della guerra fu il 29 aprile, vicino a Rovigo, dopo un durissimo combattimento di ripiegamento contro l’enorme superiorità terrestre e aerea Alleata.

A Piacenza, si svolse invece l’ultimo combattimento tra carri della campagna d’Italia, quando alcuni carri medi Ansaldo M 14, mezzi obsoleti ma con carristi eredi dello spirito di El Alamein, affrontarono con i loro pezzi da 47 mm un numero di gran lunga superiore di carri Sherman, pesanti il doppio e con cannoni da 76 mm, riuscendo a fermare per un’intera giornata l’avanzata americana, grazie anche al sacrificio di una compagnia di SS italiane che distrusse alcuni degli Sherman, seppur venendo quasi annientata durante i combattimenti successivi.

Diverso settore ma simile epopea la vissero gli uomini della base ovest dei mezzi d’assalto di superficie della Xa MAS e i militari della RSI in ripiegamento dal ponente ligure, tra Imperia e Savona, assieme ai marinai della Kriegsmarine e ai granatieri tedeschi della 34. Infanterie-Division del generale Lieb. Direttisi verso nord, sfondarono ogni sbarramento partigiano dall’Appennino Ligure al basso Piemonte, cedendo le armi solo agli Alleati nella zona di Ivrea l’8 maggio 1945, dopo aver percorso centinaia di chilometri, mentre un troncone della San Marco, partito sempre dal ponente Ligure, aveva puntato invece verso Novara; il suo Gruppo Esplorante, gli Arditi specialisti della controbanda del colonnello Marcianò si sciolsero a Magenta il 1° maggio, Ecco la testimonianza di Luigi del Bono, ufficiale medico della Xa:

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Si è svolto il Convegno Nazionale CESI
Il 23 aprile 2015 presso la suggestiva sala del Tempio di Adriano in Roma si è svolto Terzo Convegno Nazionale CESI dal titolo Un nuovo modello di sviluppo per una nuova Italia protagonista in Europa.
Di fronte a numeroso e qualificato pubblico il Convegno è stato aperto da Marco de’ Medici e presieduto dal nuovo Presidente CESI Giancarlo Gabbianelli.
Vi hanno tenuto relazioni Gaetano Rasi su “I modelli di sviluppo nell’economia reale”, Angelo Scognamiglio su “Economia finanziaria e sviluppo”, Carlo Vivaldi Forti su “Un nuovo modello di sviluppo”, Mario Bozzi Sentieri su “Sviluppo e partecipazione sociale”, Giulio Terzi Sant’Agata su “Sviluppo e processi di internazionalizzazione”, Franco Tamassia su “Sviluppo e istituzioni costituzionali: analisi critica delle riforme”, Giancarlo Gabbianelli ha poi concluso i lavori.
Gli Atti del Convegno contenente tutte le relazioni saranno pubblicati quanto prima.

SOMMARIO

- L’Europa bloccata dagli intrecci politico-affaristici. Necessario un progetto di impegno diretto presso le nazioni africane di Vincenzo Pacifici

- A proposito dell’iniziativa Fiat – Chrysler. È vera “partecipazione agli utili”? di Mario Bozzi Sentieri

- Ulteriori considerazioni sulla “buona scuola” del governo Renzi. Non è un progetto educativo la cosiddetta riforma di Francesco Pezzuto

- Rubrica “I Libri del “Sestante” Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri.

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Vita breve e intensa quella di Vanni Teodorani (1916-1964), entrato senza clamore nel gruppo familiare del Duce (sposò Rosina Mussolini, figlia di Arnaldo) senza volerne o riceverne vantaggi sociali, anche perché, al tempo del matrimonio, nel gennaio 1938, era già un giornalista affermato: collaboratore del Popolo d’Italia, di Azione sindacale, L’Ordine Corporativo, oltre che ufficiale segnalatosi in Eritrea, da cui diresse il Corriere Eritreo e poi, in Italia, la Cronaca Prealpina.

Rischiò piuttosto di pagare in proprio, con la vita, un obbligo di fedeltà quasi più personale che politico. Veniva infatti da quella sinistra fascista che, sempre più marginalizzata nella politica del regime, avrebbe potuto fargli compiere scelte comode nell’estate del 1943, a maggior ragione non avendo responsabilità politico-militari d’alcun rilievo; e che invece lo condusse a Salò.

Qui, oltre a continuare un’attività giornalistica diretta a tentare di «veder armonicamente fusi il rosso e il nero», ricoprì l’incarico di capo della Segreteria militare di Mussolini, da cui fu incaricato di missioni riservate in Italia e oltre confine su cui – ricorda Giuseppe Parlato nell’introduzione al Quaderno. 1945-1946 dello stesso Teodorani (Stilgraf, pp. 245, euro 12), si sa ancora ben poco.

Una figura e un’esperienza che si presta dunque a una doppia lettura: quella sempre affascinante del mistero e, nella fattispecie, dell’ultima missione per salvare Mussolini; e quella della sua esperienza politica che però, dopo la guerra e il pericolo ripetutamente corso d’una fucilazione sommaria, lo avrebbe visto attivo all’interno del Msi su posizioni filo-centriste, in opposizione alla divergente linea “terzista” del partito, fino a scontrarsi a duello con Giorgio Almirante. Circostanze descritte da Parlato con la nota competenza dello studioso di quella particolare destra del dopoguerra.

Ma queste pagine di Teodorani saranno particolarmente care ai numerosi “dongologi” (sempre in aumento con effetto moltiplicatore di ipotesi e fantasie), dato che offrono una testimonianza diretta e coeva proprio sulle tragiche giornate passate dal 25 al 28 aprile 1945 tra Milano e l’alto Lario. Cronaca vivida, al limite dell’irrealtà, quella che fornisce Teodorani del pomeriggio del 25 aprile a Milano, con gli incontri di Mussolini in prefettura e all’arcivescovado, tra un assieparsi angosciato non solo dei noti protagonisti, ma di comparse che chiedono di parlare al Duce del proprio porto d’armi o per riferirgli voci di biasimo sulla sua vita privata.

Un susseguirsi di casualità vedono Teodorani e suo cognato, Vito Mussolini, raggiungere Como senza accodarsi all’autocolonna del Duce, poi bloccata a Musso dai partigiani garibaldini di Pier Bellini delle Stelle che condurranno tutti i fermati al municipio di Dongo e di lì al loro tragico destino. A Como, nei locali della prefettura, Teodorani incontra «un certo Guastoni (…) da molti anni agente dell’Intelligence Service (sic), e il comandante Dessy», ufficiale della Marina del Governo del sud; con costoro stringe subito un rapporto di cordialità, ombrata dalle spacconate anticomuniste dell’agente dell’Oss statunitense. Proprio questi, scrive Teodorani, «ci assicura il miglior trattamento», proponendo di «recuperare» il Duce «e portarlo in campo americano».

A loro si aggiungerà poco dopo, in rappresentanza di Raffaele Cadorna, comandante militare del Cln, il colonnello Sardagna – che però non farà parte del gruppo in partenza alla ricerca del Duce.
È la testimonianza dell’operazione, tentata nelle ultime ore, di portare Mussolini nella “zona franca” della Val d’Intelvi dove, con tutti gli altri fascisti, avrebbe dovuto essere consegnato alle truppe Usa, sottraendolo alle contemporanee ricerche di agenti inglesi del Soe che avevano il contrario obiettivo di eliminarlo.

Con due auto, una scorta partigiana e tutti i lasciapassare del caso (rivelatasi regolarmente inutili) e col sopraggiunto Pino Romualdi, si corre per le sponde del lago. Cernobbio, Menaggio, Cadenabbia, Tremezzo sono tappe di un’avventura pericolosa: ai posti di blocco, partigiani di diverso colore, disobbedienti ai propri comandanti (spesso improvvisati sul momento), animati dai peggiori propositi, ritardano, ostacolano, infine bloccano la comitiva arrestando tutti i componenti che davvero miracolosamente scampano alla fucilazione.

Teodorani, tornato e nascosto a Como, saprà della morte di Mussolini da radio e giornali. Saprà di altre esecuzioni sommarie, di suicidi di amici. Lasciata Como, rimarrà nascosto ancora per un anno. Poi riprenderà l’attività politica e giornalistica all’Asso di bastoni, da cui avvierà la prima contro-inchiesta sulla morte di Mussolini. Fonderà e dirigerà dal ’54 la Rivista romana, cui collaborarono Gedda e Ronca, alla ricerca di quella “conciliazione” tra spiritualità religiosa e nazionale, ormai però lacerata irrimediabilmente.

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