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Riflessioni sull’acuta fase critica che attraversa la società italiana
Il governo Renzi ha surrettiziamente trasformato l’attuale legislatura, nata con un indirizzo rivolto all’emergenza – sostanzialmente non diverso da quelli che hanno caratterizzato i governi Mario Monti ed Enrico Letta – in legislatura costituente. Con ciò frodando palesemente, non tanto un astratto “corpo elettorale”, ma quel popolo italiano che è sempre più insofferente sia nei confronti del presente regime che alla sua “vociante”, e modestissima, classe dirigente.
Mario Bozzi Sentieri tratta in questo numero de Il Sestante le pretese riforme del Governo Renzi ponendo in risalto come materie di vitale contenuto costituzionale ed istituzionale per l’Italia siano trattate, non solo superficialmente, ma anche portando modifiche che acuiranno la negatività del presente regime politico condizionando il futuro dell’Italia.
L’argomento, come è noto, è all’attenzione del CESI fin dalla sua costituzione ed ha presentato già due anni fa un Appello agli italiani per una autentica Assemblea Costituente, che prescinda dai condizionamenti dell’attuale assetto politico e soprattutto dai suoi miopi esponenti. L’Appello è stato pubblicato insieme con un articolato Manifesto Politico e Programmatico per la Rifondazione dello Stato. Nel corso del 2015 il CESI cercherà di aggiornare i contenuti del Manifesto e soprattutto di riprendere i punti essenziali da esprimere con sintesi d’immediata e chiara comprensione per un pubblico sempre più vasto.
Il numero attuale del bollettino tratta, poi, alcune riflessioni che vengono spontanee da coloro che guardano con occhi aperti la situazione politica italiana. Se ne fa interprete lo scrittore Lorenzo Puccinelli Sannini.
Di notevole utilità è poi la ripresa storica riguardante il cammino dell’idea unitaria dell’Europa, a cura del prof. Vincenzo Pacifici, il quale cita autori che non dovrebbero essere dimenticati perchè illuminano la colpevole inanità dell’attuale “non protagonismo” dell’Unione Europea. Sarebbe invece estremamente necessario che essa assumesse decisive iniziative nell’attuale fase che prelude a gravi mutamenti degli scenari geopolitici.
Completa questo numero le analisi del prof. Francesco Pezzuto, relative al necessario collegamento della scuola col mondo del lavoro, tenendo però presente quel primato formativo che deve comunque avere la scuola perché i giovani che escono da essa, una volta completati gli studi, non si troveranno di fronte a situazioni statiche, ma ad un dinamismo che incide sia nelle consapevolezze civile che nei processi produttivi, con ripercussioni riguardanti tutti gli spazi di un mondo sempre più globalizzato. (g.r.)

SOMMARIO

- La “riformetta” di Renzi. Un’occasione perduta di Mario Bozzi Sentieri

- L’agonia ingloriosa dell’attuale regime. I nuovi emigranti di Lorenzo Puccinelli Sannini

- Di fronte all’attuale non protagonismo della UE. Spunti per la storia dell’unificazione europea di Vincenzo Pacifici

- I pericoli di riforme autonomistiche che abbassano il livello scolastico. Perseguire il primato formativo della scuola pur nel collegamento col mondo del lavoro di Francesco Pezzuto

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La crisi greca emblematica della crisi UE e UEM
Questa fase fortemente evolutiva della vita dell’Europa, cui si sommano i problemi che nascono dall’aumento demografico mondiale e dalle pressioni che vengono dagli Stati-Continenti, in accentuata concorrenza fra loro, impegna tutti coloro che tentano di effettuare analisi e proposte politiche a tener conto delle conseguenze che saranno sempre più complesse nel prossimo futuro. Il CESI, pur con i limitati mezzi di cui dispone, tenta di affrontare di volta in volta le questioni emergenti. Naturalmente non intende affatto esprimersi in maniera esaustiva e nemmeno pensare di essere in grado di affrontare tutte le questioni sul tappeto. Tuttavia di volta in volta cercherà di esser presente riportando ogni questione alle cause prime e alle possibili soluzioni, nonché di rimanere fuori da strumentalizzazioni e polemiche superficiali.
In questo numero de Il Sestante, si affrontano questioni d’immediata incombenza quali sono quelle derivanti da un nuovo Presidente della Repubblica Italiana il quale, nel giurare al momento del suo insediamento a rispettare la Costituzione, dovrebbe essersi impegnato anche a farne attuare quelle parti che dal momento della sua entrata in vigore, ben quasi settanta anni fa, non sono state realizzate attraverso istituti operativi. Sull’argomento interviene tempestivamente Mario Bozzi Sentieri il quale si occupa di uno dei più importanti istituti non attuati (articolo 46) e cioè quello della partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili dell’impresa. Argomento di particolare attualità anche perché da esso, insieme con la giustizia sociale, viene a realizzarsi quell’aumento di produttività, quantitativa e qualitativa, che è necessario per superare la crisi economica. Altro argomento di estrema attualità è quello che tratta della necessità e urgenza di una unica politica economica europea, a carattere programmatico, proprio al fine di risolvere i problemi delle aree più deboli e tutto ciò superando i gretti concetti di una mera contabilità riferita ai bilanci pubblici. La politica monetaria deve diventare un ramo, certamente importante, ma soltanto parziale e non risolutivo, di un’unica globale politica di sviluppo paritario riguardante tutte le nazioni del Continente che aderiscono sia alla UE che alla UEM. Il caso greco, che in questi giorni è all’esame delle burocrazie di vertice dell’Europa, è emblematico della necessità di affrontare il problema con urgenza prescindendo, anzi superando, la vecchia ideologia liberista così dannosa nei confronti del ruolo che spetta all’Europa, non solo per lo sviluppo interno, ma anche per la sua presenza con adeguato peso nelle vicende sia ucraino-russe che medio-orientali. Chiudono il numero la rubrica “Dibattito” con una lettera-articolo di Lorenzo Puccinelli Sannini dal titolo “Il fenomeno dell’immigrazione islamica” e le rubriche “La Biblioteca” e “I Libri del Sestante” sulle ultime novità meritevoli di lettura. (g.r.)

SOMMARIO

- Un invito a Mattarella (purtroppo non eletto direttamente dal popolo). Signor Presidente, sia “garante” per la cogestione inapplicata di Mario Bozzi Sentieri

- La crisi greca è frutto dell’ideologia liberistica che impera in Europa. Indilazionabile un’unica politica economica europea. (Sommario: 1°. UE e UEM: non motore di sviluppo paritario per tutti. 2. Le conseguenze della non soluzione del problema greco. 3°. Le prospettive immediate della disgregazione dell’Eurozona. 4. Unica alternativa: un vero governo europeo). di Gaetano Rasi

- Rubriche: “Dibattito”. Il fenomeno dell’immigrazione islamica di Lorenzo Puccinelli e risposta del Presidente G.Rasi. “ La Biblioteca” e “I Libri del Sestante”. Rassegna di novità librarie, a cura di Mario Bozzi Sentieri.

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È necessario ricuperare alcune concezioni fondamentali

Ogni analisi ed ogni proposta nel campo politico non può non avere dietro di sé la consapevolezza della concatenazione di processi e di percorsi che vengono da lontano e che debbono far tesoro delle ragioni che hanno originato vicende umane e dell’ambiente in cui continuano a svolgersi.

L’attenzione posta in questo numero del bollettino CESI riguarda molteplici aspetti della problematica attuale cercando appunto di scandagliare i contenuti con quelle riflessioni più profonde che danno luogo alle ideologie.

Un economista, Stefano Taddei, effettua una cognizione storica ed esamina la moderna funzione della moneta al fine di poter effettuare, con ulteriori approfondimenti, adeguate riflessioni di politica non solo monetaria e quindi più in generale di politica economica.

I recenti clamorosi avvenimenti relativi all’estremismo islamico sono l’occasione da parte di Lorenzo Puccinelli Sannini per affrontare da varie angolazioni la problematica della crisi socio-economica, oltre che politica, in atto e denuncia l’insufficienza delle attuali classi dirigenti europee.

In un successivo scritto Roberto Marraffa contrappone l’antinatura del pensiero cosiddetto “progressita” in quanto avulso dalla considerazione che negando le proprie radici e combattendo quelli che sono i valori perenni della civiltà si realizza non un avanzamento, ma una regressione umana e quindi si creano i presupposti anche per la rovina dell’ambiente naturale in cui l’umanità vive il proprio destino. L’ampia citazione filosofica e scientifica arricchisce la diagnosi di Marraffa predisponendo la prosecuzione dell’argomento perché siano affrontati anche altri angosciosi problemi che incombono sul futuro.

Completano questo numero due rubriche: “Dibattito” nella quale, a seguito di una lettera di Oscar Strano, si affronta il problema del degrado delle periferie cittadine, mentre nella rubrica “Segnalazioni” viene riportato per intero una nota del sociologo Francesco Alberoni che invita a distinguere tra il terrorismo islamistico, che va combattuto con ogni mezzo «anche con la guerra se necessario» e la convivenza con i musulmani che siano rispettosi dei valori della civiltà europea. E ciò anche prendendo ad esempio la saggezza del sistema vigente nell’antico Impero Romano. (g.r.)

SOMMARIO
– Ricognizione storica e moderna funzione della moneta.“Quantitative easing” per l’economia reale o per la speculazione finanziaria? di Stefano Taddei
– Riflessioni necessarie oltre il terrorismo islamico. Rassegnazione o rinascita? di Lorenzo Puccinelli Sannini
– L’antinatura del “progressismo” non realizza autentiche conquiste civili. Nella concezione dei valori perenni sta la vera conoscenza della realtà naturale di Roberto Marraffa
– Rubriche: “Dibattito”: L’errore più grande di Oscar Strano; “Segnalazioni”: L’unico baratto che possiamo fare con l’islam di Francesco Alberoni.

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Articolo originale

Il nome di Gramsci è oggi un mito, una bandiera sventolata sia dalla sinistra, sia dalla destra (ricordiamo l’inserimento del pensatore sardo nel “Pantheon” di Alleanza Nazionale). Peccato che, oltre a brandire il suo nome, pochi abbiamo letto i suoi scritti ma, evidentemente, ciò non è importante. Serve utilizzare politicamente la sua immagine, quella costruita dalla mano manipolatrice dei togliattiani, per presentare un comunismo dal volto umano e non stalinista, rendere presentabile il PCI agli intellettuali degli anni ’50 che fino a qualche anno prima avevano vestito con orgoglio la camicia nera, salvo disfarsene nel momento della sconfitta del Regime. Insomma, nulla di nuovo: l’utilizzo di un personaggio per fini politici, la manipolazione del suo pensiero e dei suoi scritti non rigidamente allineati con il “servizio” che devono rendere al Partito Comunista. Quindi, quando oggi si parla di pensiero gramsciano ci si deve porre la domanda: quale? Quello che è stato divulgato dal PCI? Ovviamente, qualche problema sorge spontaneo, così come quando si parla di “egemonia culturale” – estrapolata dagli scritti gramsciani – che i “gendarmi della memoria” hanno interpretato come il “diritto morale” di manipolare la storia. No, non siamo davanti a gramsciani in questo caso, ma davanti a mascalzoni, a semplici delinquenti del pensiero. Gramsci fu sempre una persona intellettualmente onesta, non merita di essere confuso con questi cialtroni al servizio di una ideologia fallita di odio, miseria e terrore.
Tra i molti libri che parlano del pensatore sardo, particolare interesse ha suscitato in noi il volume di Luigi Nieddu, L’ombra di Mosca sulla tomba di Gramsci e il Quaderno della Quisisana (Le Lettere, Firenze 2014) che ripercorre la vita di Antonio Gramsci senza quella sudditanza da sempre imposta dalla vulgata di sinistra. Nieddu ha illustrato con dovizia di particolari i lati oscuri della “vicenda Gramsci”, la sua emarginazione da parte dei compagni, la tutela cui fu sottoposto durante la sua traversia giudiziaria da parte di elementi al servizio dell’Unione Sovietica e, soprattutto, le agghiaccianti problematiche relative alla sua misteriosa morte. Sì, perché la vita del pensatore sardo non è certo quella che tutti conoscono, ossia quella della vittima del fascismo. Scopriamo così che Antonio Gramsci non fu il fondatore del Partito Comunista d’Italia, né de “L’Unità”. Visse sempre ai margini, ignorato dalle masse e anche dai suoi stessi collaboratori di partito. La stessa ricerca del consenso e dell’egemonia culturale da lui propugnata erano solo “cavalli di troia” con i quali la dirigenza comunista – incapace di farsi maggioranza, così come di scatenare un’insurrezione – potesse aggregare intorno a sé elementi di diversa provenienza ideologica (intellettuali, borghesi, ecc.) e costruire un “fronte comune” in grado di conquistare il potere. A questo punto, gettata la maschera, con l’ausilio della violenza anche contro questi “compagni di viaggio” si sarebbe potuta instaurare la dittatura del proletariato, fine ultimo da conseguire. Tutte tecniche di conquista del potere originali e interessanti. Bisogna tuttavia evidenziare che vennero elaborate anche in altri “fronti”: pensiamo a Giuseppe Bottai e al ruolo della cultura nell’edificazione dello Stato totalitario fascista; oppure alle direttive sui “fronti popolari” allora emanate dall’Unione Sovietica ai partiti comunisti.
Arrestato e condannato quale esponente del PCdI per aver commesso “fatti diretti a far sorgere in armi gli abitanti del Regno contro i poteri dello Stato, per instaurare violentemente la Repubblica Italiana dei Soviet”, Gramsci – già da tempo isolato e posto sotto stretta sorveglianza dagli stalinisti russi e italiani – iniziò la sua lunga traversia penitenziaria, in gran parte scontata – per intervento di Mussolini – in cliniche di cura private di primissimo piano, ove gli fu permessa ampia libertà, diversi privilegi e, addirittura, la possibilità di scrivere i famosi Quaderni, un vero e proprio “vangelo” per i suoi apologeti. Ben strana dittatura quella fascista…
Gramsci doveva diventare, a questo punto, il “martire” della violenza fascista. E il PCdI fece di tutto perché così fosse, anche ostacolando le trattative per una sua liberazione. Espulso dal collettivo carcerario comunista e denunciato al Centro estero di Parigi per la sua dissociazione dallo stalinismo, Gramsci divenne un problema per il Partito Comunista d’Italia che progettò un suo rapimento e un trasferimento in URSS (visto che il pensatore sardo si era sottratto ad ogni ipotesi di fuga all’estero e, soprattutto, all’idea di raggiungere la Russia, dove – poteva ben immaginarlo – l’attendeva il carcere duro, quello vero, non certo le cliniche di cura). A tal proposito, come Nieddu evidenzia, le misure di sorveglianza cui fu posto Gramsci non servivano a impedire una sua improbabile fuga, quanto quella di un suo rapimento da parte dei compagni: il pensatore sardo “preferiva stare in Italia vigilato, e di fatto, protetto dalla polizia fascista, piuttosto che ‘libero’ nella Russia di Stalin”.
Si arrivò così al 21 Aprile 1937, quando Gramsci divenne a tutti gli effetti di legge un uomo libero. Non passarono pochi giorni, però, che – secondo quanto si sostiene – venne colpito da una emorragia celebrare e morì. Erano gli anni della Guerra civile spagnola e dello sterminio da parte degli stalinisti di tutti i compagni non allineati: a tal proposito, una rilettura meriterebbero anche le morti dei fratelli Rosselli e di Guido Picelli, probabilmente fatti fuori dai soviettisti che mal tolleravano la loro “devianza” ideologica.
Sulla fine del pensatore sardo, nonostante la versione ufficiale diffusa, permangono troppi misteri, tutti evidenziati da Nieddu. Testimonianze contraddittorie, foto e documenti scomparsi o manipolati, norme di legge disattese impunemente. Un po’ troppo per una morte naturale. E così si cita una misteriosa “caduta” dalla finestra di Gramsci: si stava sottraendo a qualcuno che voleva rapirlo per farlo espatriare clandestinamente senza il suo consenso? Così come si profila il sospetto che, invece, di una morte naturale, il pensatore sardo potesse essere stato avvelenato. Così come l’incomprensibile incenerimento del corpo, non richiesto eppure eseguito dalla sua “tutrice” sovietica Tatiana, disattendendo tutte le norme di legge e potendo contare, quindi, su coperture di primo livello. E Nieddu cita l’ombra di Helfand, uno spietato Agente del NKVD, che gestiva de facto l’Ambasciata Sovietica a Roma ed era un amico del Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano. Ma non solo. Nieddu ci ricorda della scomparsa dell’ultimo Quaderno di Gramsci, quello che abbraccia gli ultimi due anni della sua vita, durante i quali si vorrebbe far credere che il pensatore sardo non abbia scritto nulla. Invece, furono anni importanti, probabilmente di riflessione, non solo sul Regime sovietico, ma anche su quello fascista (è noto che leggesse anche giornali e libri di autori fascisti, come Attilio Fanelli, Giuseppe Bottai o Telesio Interlandi, solo per citarne alcuni). E allora si profila anche l’ipotesi – più che logica – di un allontanamento progressivo dal comunismo di Gramsci, un allontanamento che doveva essere spiegato nelle riflessioni contenute nell’ultimo Quaderno, quello che opportunamente venne fatto sparire. Gramsci doveva essere un “martire” della violenza fascista, il volto umano di un comunismo presentabile agli Italiani. Insomma, di là dell’uomo, di là della realtà dei fatti, di là addirittura del suo vero pensiero, serviva una “figurina” da propaganda. E il Partito Comunista Italiano la fece questa “figurina”, sulla pelle di Antonio Gramsci.

Pietro Cappellari

Riflessioni e puntualizzazioni sulle problematiche incombenti.
Questo numero del bollettino è dedicato a tre argomenti cruciali di natura politica, istituzionale e internazionale, nonché ad una analisi relativa al grave problema della scuola italiana per il XXI secolo.
Lo scrittore Mario Bozzi Sentieri, Consigliere CESI, commentando il sempre più diffuso astensionismo in sede elettorale, tratta dell’inadeguatezza del nostro sistema di rappresentanza politica la quale modernamente può essere realizzata solo attraverso precise riforme costituzionali su base partecipativa e di efficienza. Di qui riafferma l’estrema attualità delle indicazioni contenute nell’Appello agli italiani per l’Assemblea Costituente e nel Manifesto politico e programmatico per la rifondazione dello Stato lanciato dal CESI nel giugno 2013.
Il giornalista Innocenzo Cruciani, pure Consigliere CESI, prendendo spunto dall’imminente elezione da parte del Parlamento del nuovo capo dello Stato, denuncia come l’elezione del primo cittadino (o prima cittadina) della Repubblica abbia luogo nell’ambito di giochi interni alla partitocrazia estranei alla selezione effettuata dal popolo e quindi auspica che si passi quanto prima ad una riforma costituzionale per l’elezione diretta da parte di tutti gli italiani di chi deve rappresentare l’unità della Nazione.
Una riflessione sulla costante crisi ucraino-russa viene effettuata dal prof. Carlo Vivaldi-Forti, Consigliere del CESI, che avvalendosi della sua profonda conoscenza delle vicende storiche riguardanti il popolo e la letteratura russi, prospetta la modifica dell’atteggiamento dell’Europa nei confronti dell’economia e degli scambi culturali con la Russia e ciò nell’interesse di una Europa più indipendente.
Un’articolata analisi riguardante l’ambizioso, e per alcuni aspetti anche poco chiaro, progetto governativo dal titolo “La buona scuola” viene effettuata da un esperto dirigente scolastico come è il prof. Roberto Santoni. I temi trattati riguardano le linee guida per il futuro dei rapporti tra la società, la cultura, l’economia con l’insegnamento scolastico. I temi sono: le nuove assunzioni; la formazione e le carriere dei docenti; i problemi che nascono dall’autonomia nell’insegnamento e quelli riguardanti gli apprendimenti, ossia l’introduzione sin dalla scuola primaria della storia dell’arte, della musica e delle attività sportive. Il prof. Santoni tratta pure del rapporto tra la scuola e il mondo del lavoro, nonché del finanziamento non solo statale.(g.r.).

SOMMARIO
– Oltre il “non-voto”. Costruire l’alternativa partecipativa di Mario Bozzi Sentieri

- L’elezione del capo dello Stato deve essere fatta direttamente dal popolo. Sottrarre al partitismo la scelta del Presidente della Repubblica di Innocenzo Cruciani

- Una necessaria riflessione sulla crisi ucraino-russa. L’Europa manca di una vera politica nei confronti della Russia di Carlo Vivaldi-Forti

- Punti fermi nei confronti di un ambizioso progetto governativo. “La buona scuola”: solo promesse? di Roberto Santoni

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Il quadro geopolitico mondiale e le prospettive per l’Italia
All’inizio del nuovo anno il CESI intende richiamare l’attenzione sul fatto che ogni svolgimento dell’attività politica interna del nostro Paese deve tener presente, ora molto più di prima, dell’avvenuta evoluzione del quadro internazionale e delle assurde limitazioni che ancora ritardano la formazione dell’Europa Nazione come coprotagonista nel mondo.
Negli ultimi vent’anni sono andati a formarsi Stati che hanno caratteristiche territoriali e demografiche continentali i quali hanno assunto una consapevolezza della loro potenza che prima non avevano. Pertanto da parte dell’Italia non può essere prospettato per se stessa altro che un ruolo importante e decisivo soltanto nell’ambito di un’entità continentale quale avrebbe dovuto essere l’Europa unita.
Il problema quindi per il nostro Paese è quello di concepire la sovranità nazionale in maniera diversa da quella che ha caratterizzato il suo percorso unitario dalla seconda metà dell’Ottocento fino a tutto il Novecento. Di conseguenza, debbono essere individuati i settori che vanno messi in comune con le altre nazioni del nostro continente e i settori della società nazionale che invece rimangono specifici senza con questo essere conflittuali, ma al contrario solidali e complementari con le altre nazioni europee.
La crisi dell’economia reale europea è frutto soprattutto di aver concepito una moneta unica senza aver contemporaneamente introdotto una unica regolamentazione fiscale ed una unica legislazione riguardante una struttura partecipazionistica e produttivistica comune a tutte le imprese europee.
Sul piano della politica estera e di quella militare è mancata l’unificazione sia nella visione del ruolo dell’Europa nei confronti degli altri Stati continentali e in particolare nei confronti dei problemi ad Est riguardanti i rapporti con la Russia; nel Medio Oriente riguardanti i sommovimenti nei Paesi arabi.
Dobbiamo perciò considerare ogni necessario cambiamento costituzionale e istituzionale italiano nell’ambito di una nuova situazione geopolitica e geoeconomica la cui evoluzione nei prossimi immediati decenni sarà sempre più condizionante.
Il CESI perciò pubblica molto volentieri l’illustrazione degli scenari mondiali quali si presentano all’inizio del 2015 effettuata da uno specialista della materia, l’Ambasciatore, e già Ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Santagata, autorevole socio del CESI. Lo ringraziamo vivamente di questo contributo anche perché può dare spunto ad un dibattito focalizzato sul ruolo dell’Europa più autonoma rispetto ad una America la quale, seppur capace di una sua ripresa di prosperità interna, inevitabilmente dovrà considerare ridotto e comunque non decisiva la sua presenza nel mondo.
Questo numero è completato dalla consueta Rubrica I Libri del Sestante a cura di Mario Bozzi Sentieri, riguardante brevi recensioni di libri recentemente pubblicati. (g.r.).

SOMMARIO
– Agenda 2015. Gli scenari mondiali che interessano l’Italia nel nuovo anno di Giulio Terzi di Santagata

- I Libri del Sestante. Rassegna di novità librarie a cura di Mario Bozzi Sentieri

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Siamo lieti di annunciare che verrà presto organizzata la proiezione del film “Il Segreto d’Italia” di Antonello Belluco. Il film, tanto atteso quanto boicottato sulla strage partigiana di Codevigo sarà proiettato presso il Cinema Astoria di Anzio nel mese di marzo in occasione della seconda edizione del Premio “Daniele Lembo”.
“Il film di Antonello Belluco – spiega il Dott. Pietro Cappellari – ha subito una lunga e travagliata gestazione, tra divieti e minacce, che hanno sconvolto non solo il normale lavoro di produzione, ma anche messo in serio dubbio la riuscita del progetto. Il tenace regista, tuttavia, ha incredibilmente perseverato ed ha compiuto un vero e proprio miracolo, facendo proprio l’antico detto: “Parlerò anche se l’Inferno stesso si spalancasse per ordinarmi di tacere”. E l’Inferno si era aperto, ordinando di tacere… Tutta l’intellighenzia italiana – quella che si spartisce i soldi pubblici, si intende – è insorta contro quello che era da considerarsi un reato di “lesa maestà”. La fascio-fobia ha di nuovo annebbiato le menti di professori e politici, condannando il progetto cinematografico alla consunzione per mancanza di fondi, minacciando tecnici, comparse e attori che volevano condividere il “percorso belluchiano”.
“Mobilitando amici e le coscienze di chi credeva fermamente in quel progetto – spiega Cappellari – Belluco è riuscito a produrre un lungometraggio straordinario, che supera di gran lunga le “telenovele” blasonate del cinema italiano (quelle, per intenderci, che – prive di contenuti, ma ricche di “bambole gonfiate” – divorano voracemente i contribuiti statali per la cinematografia). Si è registrata una mobilitazione di popolo, quella comunità che, il 18 Novembre, si è stretta con affetto e stima intorno al regista e ai suoi “ragazzi”. Quella comunità che ha permesso la realizzazione del film”. 
Ma cosa poteva contenere di così scandaloso “Il segreto di Italia”, tanto da mettere al bando dalla “società che conta” chiunque avesse osato collaborare con il maestro Belluco? Cosa ha scatenato quell’incredibile “epidemia” che ha fatto fuggire chi pure aveva, in prima battuta, accettato di lavorare con il coraggioso e determinato regista? Nulla. In un’Italia dove anche la pornografia è considerata un’“arte” e le perversioni sono il simbolo del progresso, il lungometraggio belluchiano aveva la “colpa” di raccontare una storia d’amore all’ombra di una delle più efferate stragi partigiane del dopoguerra: quella di Codevigo. Un massacro che doveva essere per sempre dimenticato. Eppure Il segreto di Italia non è un documentario, non è un film storico né di guerra, ma una “semplice” pellicola drammatica che, uscendo fuori dal dorato percorso del politicamente corretto, riportava alla luce una triste vicenda italiana che molti – moralmente complici – volevano cancellare”. Dopo il 28 Aprile 1945 crollato il fronte e ritiratisi i reparti italo-tedeschi, Codevigo venne occupata dall’8a Armata britannica, alle cui dipendenze operava il Gruppo di Combattimento “Cremona” e alcune bande partigiane, tra cui la 28a Brigata Garibaldi “Mario Gordini” al comando di Arrigo “Bulow” Boldrini, già Ufficiale della Milizia fascista. Quello che avvenne nei giorni successivi nella zona di Codevigo, ancor oggi, non ha responsabili. Si sa solo che in questa regione si scatenò una indiscriminata caccia al fascista che si trasformò in una delle più feroci mattanze che la storia d’Italia ricordi: quando nei primi anni ’60 fu possibile recuperare i corpi degli uccisi seppelliti in anonime fosse comuni, si contarono 136 cadaveri, di cui solo 114 vennero riconosciuti. Di decine di altri scomparsi in quei giorni di sangue non fu possibile ritrovare nulla, dispersi nelle campagne, trascinati via dai fiumi, inghiottiti dal “muro di gomma” che ha sempre circondato, con un’omertà diffusa, la strage antifascista”.
“Il Segreto di Italia – prosegue Cappellari – ci permette di riflettere, a tanti anni di distanza dall’impunito eccidio, sulla Resistenza, su cosa avvenne a Codevigo dopo la fine della guerra, contro gente disarmata cui nulla poteva essere imputato, se non la fede nella propria Patria e a un’idea. Ma non è un film storico, la sua impostazione è su un quadro di riferimento diverso, dove la strage – sebbene centrale – rimane sullo sfondo di unastraordinaria storia d’amore, quella che lega la giovane Italia (Gloria Rizzato) al fascista Farinacci (Alberto Vetri) e questi ad Ada (Maria Vittoria Casarotti Todeschini), moglie di un eroe della Regia Aeronautica disperso in Grecia, fuggita da Fiume ormai in balia degli slavo-comunisti. L’amore è presentato nel suo aspetto più puro, senza mai una sbavatura o una volgarità. Ci si innamora del sorriso della quindicenne Italia, degli sguardi straordinari di Ada, del volto pulito di Farinacci. La loro interpretazione è a dir poco magnifica, trasmettendo allo spettatore una miriade di sentimenti e di passioni che lo rapiscono e lo accompagnano per tutto il film. Quello che più colpisce, non è solo il coraggio e il tratto con cui Belluco dipinge la strage partigiana non dimenticando, ad esempio, il martirio della maestra Corinna Doardo. Si rimane impressionati dal talento degli attori, dalle loro interpretazioni a dir poco perfette. Mai una nota stonata, mai una caricatura: Fabrizio Romagnoli, Andrea Pergolesi, Valerio Mazzuccato, Giovanni Capalbo, Elisabetta De Gasperi, Amedeo Gagliardi, Monica Garavello e tutti gli altri attori hanno dimostrato una professionalità rara nel panorama cinematografico italiano. Quanto è bello leggere i nomi di attori italiani, in un film italiano!
Alla fine, quello che rimane dentro al cuore, è un leggero dolore. Come il colpo di cannone che, sovente, si ascolta durante la proiezione annunciando l’arrivo della tempesta, dell’odio antifascista. Quel dolore che ho potuto scorgere negli occhi di Stelvio Dal Piaz, che ha rivissuto il momento del triste abbandono di Arezzo insieme al papà, proprio su una Balilla uguale a quella con cui la famiglia di Italia fugge da Codevigo durante la mattanza partigiana. Il dolore che ho visto negli occhi di Giuliana Tofani, figlia di un caduto della Repubblica Sociale Italiana, che ha ripensato a suo padre, alla sua fine, al suo messaggio d’amore per la Patria e l’idea”.
“Il Segreto di Italia – conclude Cappellari – è un film da vedere e rivedere, non solo perché il sorriso di Italia (Gloria Rizzato) e gli occhi di Ada (Maria Vittoria Casarotti Todeschini) ci hanno letteralmente rapito. Il lungometraggio ha avuto un merito: quello di dare voce, dopo tanti anni, a chi voce non l’ha mai avuta. Ai caduti della RSI, uccisi ingiustamente fisicamente e, poi, vigliaccamente anche nella memoria collettiva. Di loro non si doveva parlare. Non erano degni di nessun ricordo. E quanto hanno sofferto i parenti delle vittime, aggiunge solo dolore al dolore. Il martirio e il silenzio. Obbligato. Quante sofferenze e quante dure lotte ha dovuto sostenere l’Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi della RSI per poter aver almeno un piccolo luogo dove pregare i nostri morti, i morti per l’Italia. Quel piccolo sacrario che, oggi, si può visitare, con il cuore che si stringe, a Codevigo. Tra i nomi incisi sul marmo ecco il S.Ten. Farinacci Fontana, che è anche uno dei protagonisti del film, su cui si posa, come ad accarezzarlo, la mano di un’ormai anziana Italia (Romina Power). Oggi, possiamo dire, che Farinacci – e tutti i caduti nella strage di Codevigo – non sono più soli e hanno una voce. Grazie Antonello, Romina, Gloria, Maria Vittoria, Alberto… e a tutti coloro che hanno permesso questo miracolo, non solo cinematografico”

di Lemmonio Boreo
La mattina del 21 Gennaio 2015 una delegazione del Comune di Anzio ha deposto una corona di fiori  al  Campo  della  Memoria  di  Nettuno,  il  Sacrario  militare  che  raccoglie  le  spoglie  dei  caduti della Repubblica Sociale Italiana immolatisi sul fronte di Nettunia nella Primavera 1944.
Con  questo  atto  dall’alto  valore  simbolico  si  sono  aperte  le  manifestazioni  del  71°  Anniversario dello Sbarco Alleato del 22 Gennaio 1944. Il fatto che il Campo della Memoria sia stato scelto come primo luogo per la deposizione di un omaggio floreale da parte delle Istituzioni ha onorato i ragazzi dell’associazione che da anni curano il sacrario della RSI.
Presenti  alla  manifestazione  le  rappresentanze  ufficiali  dell’Arma  dei  Carabinieri  e  della  Polizia Locale di Anzio, nonché alcuni reduci della Repubblica Sociale Italiana e il Paracadutista nettunese Santo Pelliccia, combattente di El Alamein,  che non ha mancato di ricordare chi ha sacrificato la propria vita per un ideale di Patria, per la libertà e l’onore della nostra Nazione.
Quel 22 Gennaio 1944, Nettunia fu occupata dalle truppe angloamericane che, con una massiccia operazione anfibia, speravano così di far crollare il fronte di Cassino. Ma i Germanici resistettero su tutta le linea. Il fallimento dell’intera operazione fu subito evidente e Nettunia si trasformò per ben quattro mesi  nel più grande “campo di prigionieri di  guerra autogestito” dell’intero conflitto. Qui, infatti,  rimasero  impanate  le  migliori  unità  degli  Eserciti  angloamericani,  tra  cui  ricordiamo  i Ranger che, nei pressi di Cisterna di Littoria,  subirono una delle più umilianti sconfitte della storia dell’intera Seconda Guerra Mondiale.
Sul  fronte  di  Nettunia  vennero  impiegati  anche  i  primi  reparti  della  neonata  Repubblica  Sociale Italiana come la Decima MAS, i Paracadutisti del “Nembo” e del “Folgore”, i reparti Aerosiluranti che si ricoprirono di gloria e dimostrarono al mondo il valore del soldato italiano, scrivendo pagine memorabili della storia militare della nostra Nazione.  I combattenti della RSI parteciparono così alla  difesa  di  Roma,  alto  onore  concesso  a  chi  amava  la  Patria  sopra  ogni  cosa.  Il  loro  sacrificio volontario fu necessario per dimostrare che vi erano degli Italiani pronti a sacrificare la propria vita in  nome  di  un  sacro  ideale  e  che  non  erano  disposti  a  vivere  come  schiavi  sotto  l’imperialismo angloamericano che, proprio allora, allungava le sue mire sul suolo della nostra Nazione.

Anche questo nostro intervento per smentire le fandonie di RAIBUFALA

Agli inizi degli anni Trenta fu concepita una apertura fra il Governo di Roma e i Paesi arabi. Tra il 1930 e il 1936 Roma cercò di accentuare la ua azione culturale ed economica nel Medio Oriente e nell’area araba-islamica in generale. Nel 1930 fu concepita la Fiera del Levante di Bari. Convegni furono organizzati dai Gruppi Universitari Fascisti nel 1933 e nel 1934 allo scopo di far incontrare a Roma gli studenti islamici. Radio Bari iniziò a trasmettere in lingua araba notiziari e programmi culturali. Tutto ciò mirava ad una penetrazione pacifica politica-culturale nel mondo arabo. Si diede anche maggior impulso agli studi arabi e a quelli sull’islamologia. L’impulso era orientato principalmente verso il mondo giovanile arabo che rispose creando affiliazioni fra le quali il Partito Giovane Egitto (Hisb al Folà) di Ahmad Hussayn e le Falangi Libanesi (al-Kadr al Lubnòniyya), e le Camicie Azzurre (al-Qumsàn az Zarqǎ) organizzazioni egiziane che si ispiravano, anche se vagamente, al Fascismo. Per conferire maggior impulso a questa politica, dal 12 al 21 marzo 1937 il Duce si recò in Libia dove, fra l’altro inaugurò la grande strada litoranea, detta Baldia opera gigantesca che si estendeva dai confini della Tripolitania a quello della Cirenaica con l’Egitto con un percorso di 1882 chilometri. Tempo impiegato: un anno; inaugurò, quindi la Fiera di Tripoli. Pose la prima pietra per la costruzione di un sanatorio e per una scuola elementare. <Quando il Duce appare a cavallo sulla più alta duna, esplose il triplice grido “Ulad!” I cavalieri prescelti offrono al Duce la spada lampeggiante dell’Islam in oro massiccio intarsiato (…) Il Duce snuda la spada e l’alza fieramente puntata verso il sole, lanciando a voce altissima il grido “Ulad!” (…). Il Duce lascia la duna e si avvia verso Tripoli, seguito da duemila cavalieri galoppanti> (Il Popolo d’Italia, 19/3/1937).

   La Spada dell’Islam, in oro massiccio, finemente cesellata dagli artigiani berberi, assumeva un notevole valore simbolico e venne consegnata al Duce da uno dei capi berberi Lusuf Kerbisc: era il riconoscimento di una sostanziale parte del mondo islamico, per la politica filo-araba del fascismo. Il viaggio in Libia fu programmato in previsione di un piano quinquennale per l’insediamento di 53mila coloni in Tripolitania. Negli anni 1938-39, in due riprese, sbarcarono in terra d’Africa 20mila coloni veneti scelti fra i non proprietari di terra e trasportati nei nuovi villaggi. Ad essi vennero assegnate case coloniche con apprezzamento di terreno; ogni casaera fornita da pozzi artesiani con quanto necessario per il pompaggio di acqua potabile. Ogni giorno automezzi dell’Ente Nazionale della Libia riforniva le famiglie di quanto necessario per vivere, nonché di attrezzi e sementi per rendere quelle terre aride in verdi di piante. La stessa assistenza veniva fornita anche ai libici, i cui possedimenti furono inseriti fra quelli dei coloni italiani affinché apprendessero le tecniche più moderne per il migliore sfruttamento del suolo. Così in quegli anni mai si dovette assistere a carrette del mari che, come in questi periodi trasportano disperati che navigano verso l’Europa e che tanti morti hanno causato. E tu, caro lettore, non ti chiedi perché RaiBufata, e i suoi coi detti storici, mai trattano anche questo argomento?

A Tripoli e Bendasi vi erano due ospedali, di moderna concezione, dove potevano accedere – al contrario di quanto accadeva al di fuori delle nostre colonie – anche cittadini autoctoni. Le stazioni dei carabinieri erano composte anche da militari indigeni perché, come vedremo più avanti, considerati Italiani della Quarta Sponda; la criminalità era inesistente.

Per ritornare al viaggio del Duce in Libia, è interessante ricordare alcune tappe. Mussolini visita la piccola città di Sirte dove <la popolazione indigena adunata intorno ai vessilli dell’Islam, lo accoglie con fervide dimostrazioni di fedeltà e di entusiasmo; il Duce, che traversa la città in piedi sull’automobile risponde con il saluto romano alle intense acclamazioni della folla>.Quindi si sposta a Tauroga, poi a Misurata, dove ispeziona i lavori di bonifica e di irrigazione; quindi si porta a Bir Tumina, ove scaturisce acqua da un pozzo artesiano, capace di irrigare tremila ettari di terreno. Quindi è la volta di Tripoli, ove giunto al tramonto scende dalla macchina, monta a cavallo e, alla testa di duemilaseicento cavalieri entra in città. Il giorno dopo, in occasione dell’inaugurazione della Fiera di Tripoli, loda il lavoro compiuto in poco meno di un decennio <le città si sono trasformate e abbellite e nelle campagne i forti rurali italiani svegliano, col vomero temprato, una terra che dormiva da secoli>.

Prima di rientrare in Patria affermò: <Nei Paesi della cosiddetta democrazia, questo continuo allarmismo nevrotico, questa seminaggione di panico e sospetto non serve certamente alla causa della pace, perché turba profondamente l’atmosfera fra i popoli. Entro il Mediterraneo e fuori noi desideriamo di vivere in pace con tutti e offriamo la nostra collaborazione a coloro che manifestino un’identica volontà>. Ricordiamo che questo discorso fu tenuto nel pieno ella guerra civile spagnola, quando tutto il mondo era schierato contro il nostro Paese.

Appena rientrato, il 18 marzo Mussolini concesse un’intervista al giornalista Ward Price del Daily Mail, e così espresse il suo pensiero in merito ad una paventata guerra europea: <Anche soltanto dal punto di vista pratico del profitto e delle perdite, nulla potrei guadagnare da una guerra europea, mentre esporrei l’Italia a un terribile rischio>. Alla domanda di Price se <fosse pronto a dichiarare che l’Italia è ora interamente soddisfatta> il Duce così rispose: <Sì, dichiaro che dal punto di vista coloniale l’Italia è soddisfatta. L’Etiopia è un territorio immenso, colmo di enormi possibilità. Lo sviluppo di questo richiede tempo, energia e capitali ed è ragionevole che l’Italia desideri cooperare con le nazioni europee che hanno colonie in Africa, continente che rappresenta il complemento dell’Europa ed è necessario ai suoi interessi economici>.

Proprio in quei giorni si verificherà un avvenimento unico nella storia e che, da solo, dovrebbe vanificare le bufale raccontate da soggettini come RaiBufala e dai suoi cosiddetti storici, sempre se si raccontasse la STORIA, quella vera e non le bufale raccontate per annullare il valore di quell’Uomo e di quel Regime. Ecco i fatti:

NELLA 179° RIUNIONE DEL “GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO” TENUTASI IL 26 OTTOBRE 1938, ESAMINANDO LA POSIZIONE DELLA LIBIA, RELATORE ITALO BALBO, VENNE APPROVATA UNA MOZIONE CHE STABILISCE “CHE LE QUATTRO PROVINCE DELLA LIBIA ENTRANO A FAR PARTE DEL TERRITORIO NAZIONALE”>. Questo provvedimento non è che l’estensione del R.D.Legge 3 dicembre 1934 XIII N° 2012 e del R.D. 8 aprile 1937 XV N° 431, nel quale l’articolo 4 riconosce: <una cittadinanza italiana speciale per i nativi musulmani delle quattro province libiche che fanno parte integrante del Regno d’Italia>. Con questa legge i libici divennero gli ITALIANI DELLA QUARTA SPONDA.

Un decreto veramente rivoluzionario: mai nulla di simile era stato realizzato da alcun Paese coloniale. Ma questo determinò un ulteriore motivo di attrito con Londra e Parigi, che mal sopportavano qualsiasi mutamento allo status quo che considerava le colonie delle semplici terre di sfruttamento e gli autoctoni degli schiavi.

Anche e sottolineo anche in questo caso la soluzione si trova ispirandosi alla politica del mai sufficientemente deprecato ventennio. La dissennata politica dell’accoglienza è un danno per noi europei e per coloro che fuggono dall’inferno. C’è un solo modo di risolvere il problema: portare la civiltà europea e la capacità di lavoro sul posto: in Africa. All’incirca come si fece nell’infame periodo. Che sempre sia benedetto

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